Secondo l’Istat, la riforma dell’imposta e le decontribuzioni portano un aumento medio di 586 euro. L’abolizione del reddito di cittadinanza ha colpito 850.000 nuclei, ma ha innalzato l’occupazione e permesso di distribuire le risorse in modo più equo. I 5 stelle hanno già fatto rullare i tamburi. Non gli è sembrato vero di poter piegare a loro uso consumo i dati dell’Istat sugli effetti del passaggio dal reddito di cittadinanza (Rdc) all’assegno di inclusione (Adi) e poter sbraitare che il governo Meloni ha messo in povertà 850.000 famiglie. Una lettura più attenta e senza pregiudizi della rilevazione dell’Istituto di statistica fornisce uno scenario diverso, indica che è vero che l’assegno per alcuni percettori si è abbassato ma è altrettanto vero che i soldi sono stati spalmati in modo più ampio e alcune categorie hanno avuto maggiori benefici. La sostituzione del reddito di cittadinanza, peraltro già depotenziato nel 2023, con l’Adi, rappresenta quella svolta di politica economica per riequilibrare un mercato del lavoro che con la misura del governo Conte era nel segno dell’assistenzialismo e aveva prodotto gli abusi e gli illeciti di cui sono state piene le cronache, per restituire al sussidio la forma del sostegno economico propedeutico all’inserimento professionale. Ma veniamo ai dati. Secondo l’Istituto di statistica, 850.000 famiglie che percepiscono il nuovo sostegno hanno perso, in media, 2.600 euro all’anno. Come abbiamo detto questo rientra nella logica di non avere una forma assistenziale permanente ma transitoria in attesa dell’accesso al mercato del lavoro. Certo fanno notizia i titoloni spinti dai 5 stelle e dalla stampa ostile al governo, che parlano del 3,2% delle famiglie residenti che hanno visto peggiorare le proprie condizioni economiche con la fine del reddito di cittadinanza. Leggendo oltre sempre nelle rilevazioni dell’Istat, emerge che per circa 400.000 famiglie il passaggio all’Adi non comporta una variazione del reddito disponibile perché continuano a ricevere lo stesso importo. Infine, ci sono circa 100.000 famiglie che hanno tratto un beneficio con il nuovo assegno, di circa 1.200 euro. Il vantaggio deriva dal diverso trattamento dei componenti con disabilità insito nel metodo di calcolo della scala di equivalenza Adi rispetto a quella Rdc. L’indennità una tantum di 100 euro per i lavoratori dipendenti si stima abbia raggiunto circa 3 milioni di famiglie (11,6% delle famiglie residenti), generando una variazione del reddito disponibile pari in media allo 0,2%. Un vantaggio lo hanno avuto circa 750.000 lavoratrici madri che, grazie all’esonero totale dei contributi, si stima registrino un guadagno, rispetto al 2023, pari a poco più di 1.000 euro. Un quarto di queste, avendo una retribuzione annua lorda superiore ai 35.000 euro, non erano destinatarie dell’esonero parziale previsto per i lavoratori dipendenti nel 2023. Queste ultime, quindi, registrano il guadagno medio maggiore, pari a oltre 1.800 euro.Sempre dall’Istat si apprende che la riforma dell’Irpef, insieme alle due forme di decontribuzione previste per il 2024, ha comportato un miglioramento del reddito disponibile per 11,8 milioni di famiglie con almeno un percettore di reddito da lavoro dipendente, per un ammontare medio annuo di 586 euro. Si tratta di quasi il 45% delle famiglie residenti in Italia e del 78,5% delle famiglie con almeno un lavoratore dipendente.Il guadagno derivante dalla riforma, in termini di minori imposte dirette dovute, è pari in media a 251 euro all’anno e comporta un incremento dello 0,5% del reddito disponibile.Va ricordato come si è arrivati all’inserimento dell’assegno di inclusione. Bankitalia a suo tempo fece i conti dell’impatto del Rdc sul bilancio pubblico che in virtù di mance e mancette, nel 2019 è aumentato di 29 miliardi di euro, raggiungendo quota 2.409 miliardi. Nei primi tre anni, il reddito e la pensione di cittadinanza sono stati erogati a 2 milioni di nuclei familiari, per un totale di 4,65 milioni di persone, e per una spesa di quasi 20 miliardi di euro (per l’esattezza 19,83 miliardi). Dal rapporto annuale della Corte dei Conti sulla gestione dell’Inps e dai report di audit è emerso che il 50% delle persone che hanno ottenuto il reddito di cittadinanza non ne avevano i requisiti. Si è scoperto che una persona su due faceva auto dichiarazioni false per ottenere i soldi. Un danno di 1,7 miliardi di euro stimato dalla Corte dei Conti: 900 milioni tra il 2019 e il 2020 e 800 milioni tra il 2021 e 2022.Quando è partita la misura nel 2019 non era previsto nessun controllo preventivo e l’erogazione avveniva automaticamente solo sulla base dei dati auto dichiarati mentre i controlli venivano fatti successivamente e solo su segnalazione delle forze dell’ordine o dell’autorità giudiziaria. In questo 50% c’è di tutto, dai criminali e usurai ai finti nullatenenti, da chi dichiarava di aver ricevuto una riduzione dell’orario di lavoro a chi dichiarava di aver perso il lavoro con contratto indeterminato.Numerosi immigrati hanno ricevuto il sussidio avendo richiesto il codice fiscale poco prima della presentazione della domanda e nonostante non risiedessero in Italia da almeno 10 anni. Inoltre il Rdc ha drogato il mercato del lavoro; chi percepiva il sussidio non era incentivato a cercare un’occupazione o almeno richiedeva una remunerazione al nero pur di continuare ad avere l’aiuto pubblico.
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