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2021-04-12
La guerra Anglo-irachena del 1941: l'Italia, la Germania e l'Islam radicale
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Guerrieri tribali iracheni all'assalto di un blindato inglese nel maggio 1941 (Getty Images)
I protagonisti, i tempi, le cause
Il Regno dell'Iraq, precedentemente regione mesopotamica, era stato creato dopo la sconfitta dell'Impero Ottomano nella Grande Guerra. La Lega delle Nazioni ne fece un Mandato Britannico, come la vicina Palestina dopo la sollevazione della popolazione araba sobillata dagli ex generali ottomani contro l'occupazione inglese. Il Mandato durò fino al 1932, quando l'Iraq ottenne un'indipendenza fortemente condizionata dagli interessi di Londra che dettarono le condizioni con un trattato bilaterale nel 1930 il quale garantiva l'accesso alle fonti petrolifere e alla presenza militare inglese con due basi della Royal Air Force. Il trattato garantiva inoltre il transito senza limitazioni delle truppe britanniche nella tratta strategica tra l'Egitto, la Giordania verso il Golfo Persico e quindi l'India britannica.
Il Regno dell'Iraq ebbe negli anni trenta una vita molto turbolenta. I termini del trattato risvegliarono le forze nazionaliste arabe con una pressione continua sul debole governo-fantoccio imposto da Londra e guidato da Nuri Al-Said. Le spinte antibritanniche venivano alimentate anche dalla Palestina, anch'essa territorio sottoposto all'amministrazione di Londra e teatro di una importante immigrazione ebraica stabilita anni prima dal rapporto Balfour. Il forte aumento degli ebrei in Palestina generò un violenta reazione da parte dei nazionalisti arabi che sfociò in due gravi rivolte nel 1936 e 1939, alla vigilia della guerra. I fatti di Palestina influenzarono molto da vicino la politica irachena, caratterizzata da forte instabilità e dalla presenza malsopportata degli inglesi. Allo scoppio della guerra, l'Iraq romperà le relazioni diplomatiche con Berlino come imposto da Londra, lasciando tuttavia aperte le relazioni con l'Italia. Sarà proprio attorno alla rappresentanza diplomatica italiana che andrà sviluppandosi il cambio di fronte sfociato poco più tardi in un colpo di stato a Baghdad. Epicentro delle trame politiche antibritanniche fu un influente personaggio e guida religiosa, il Gran Muftì di Gerusalemme Amin Al-Husayni. Già punto di riferimento delle rivolte antibritanniche di Palestina negli anni dell'immigrazione ebraica. Il membro dell'influente famiglia palestinese era stato un precursore dell'applicazione della Jihad, la guerra santa, e nel 1929 fu fra i sobillatori dell'orribile massacro di Hebron in Cisgiordania nella quale furono trucidati 67 coloni ebrei, bambini compresi. L'anno precedente aveva aderito alla lega dei nazionalisti arabi,chiamata i "Fratelli musulmani". Dopo i fatti di Palestina fu raggiunto da un mandato di cattura britannico e fuggì in Libano, dove rimase fino al 1939 quando si trasferì a Baghdad negli anni della maggiore instabilità politica per il paese. Durante il soggiorno in Libano Husayni mantenne contatti costanti con i tedeschi e in particolare modo tramite l'allora console generale germanico, il braccio destro di Himmler e SS-Obergruppenfuhrer Karl Wolff per stendere i piani di una stretta alleanza tra il Terzo Reich e i nazionalisti arabi. A questo punto la presenza del Muftì fu determinante per i rivolgimenti politici che culminarono con il colpo di stato del 1941, portato a termine da quattro generali dell'esercito iracheno (noti come il "quadrato d'oro") favorevoli all'Asse. Il già debolissimo governo di Tana Al-Hashimi fu destituito con la forza e sostituito dal regime di Rashid Ali Al Gaylani, un avvocato dal forte passato nazionalista, già leader del partito islamico iracheno "Fratellanza Nazionale". Dopo la sua presa del potere Rachid Ali radunò tutte le forze filo-Asse attorno all'ambasciata italiana a Baghdad, dichiarando contemporaneamente l'incostituzionalità del trattato Anglo-iracheno del 1930 e iniziando la mobilitazione delle classi dell'esercito nazionale. La prova della forte influenza del Muftì Al-Husayni durante la preparazione della guerra contro gli inglesi ci è giunta dalle memorie storiche del Regio Esercito per l'anno 1941. Il ruolo centrale italiano nella fase immediatamente precedente le ostilità si evince dalla fitta corrispondenza tra il rappresentante diplomatico italiano Gino Butti e il Comando Supremo del Regio Esercito, nelle quali il diplomatico italiano si fece portavoce delle pressanti richieste di aiuti militari da parte di Rachid Ali, timoroso di un rapido colpo di mano britannico per riportare l'Iraq sotto il suo controllo diretto. A tutte le sedute svoltesi nell'Ambasciata di Baghdad fu presente Al-Husayni, il quale riportò l'urgenza di una stretta collaborazione con la Germania nazista per un disegno politico che suona di grande attualità ai giorni nostri: la creazione negli ex mandati britannici (con la Siria alleata di Vichy) di un grande ed unico Stato Islamico, che prevedeva naturalmente lo sterminio totale degli ebrei.
Aprile-maggio 1941. Le ostilità
Mentre i colloqui avvenivano, l'esercito di Rashid Ali mosse alla volta della base della Royal Air Force di Al-Habbaniya, cercando di vietarne l'attività di volo con la scusa di un'esercitazione irachena in corso.Il Vice-maresciallo dell'Aria Smart, comandante della base nella quale si trovavano circa 1.000 militari e alcune migliaia di civili rifugiati per paura dei disordini, respinse fermamente la richiesta e considerò ogni impedimento all'attività della base come un atto di guerra.
La guerra Anglo irachena era formalmente iniziata, e fu un conflitto da un punto di vista degli armamenti di assoluto secondo piano. La base della RAF era infatti una semplice scuola di volo, dove erano presenti numerosi allievi tra cui un contingente di aspiranti piloti ellenici. I velivoli erano antiquati, tranne un solo bombardiere medio Bristol Blenheim. Per il resto erano biplani del periodo tra le due guerre. L'aviazione irachena possedeva circa 110 velivoli, ma non tutti in condizioni di poter combattere. Alle forniture inglesi del periodo del mandato si erano aggiunti velivoli italiani, come i cacciabombardieri Breda Ba.65 e i Savoia Marchetti S.79 in versione bimotore.
La resistenza ad oltranza della base Raf permise agli inglesi riorganizzare le forze in campo, soprattutto contando sull'arrivo di contingenti dalla Palestina attraverso la Transgiordania ma soprattutto di un corpo di spedizione meccanizzato formato da "Gurkha" indiani. Nonostante la superiorità numerica e la presenza di artiglieria irachena, la base di Al-Habbaniya fu in grado di sferrare attacchi non senza importanti sacrifici con la perdita di 29 velivoli e sortite continue (anche 6 per ogni aereo al giorno). L'arrivo dalle basi palestinesi di due bombardieri medi Vickers Wellington fecero respirare gli assediati mentre l'aeroporto di Baghdad dove era concentrata la maggior parte della forza aerea irachena fu pesantemente colpita con la perdita di numerosi aerei al suolo.
Soltanto ai primi di maggio del 1941 l'Italia e la Germania si decisero ad inviare rinforzi, limitandosi alla sola presenza aeronautica. La Luftwaffe inviò in territorio iracheno e nelle basi siriane alleate cacciabombardieri di "seconda linea", vista la carenza di velivoli a causa dell'imminente sforzo in Russia. Anche la Regia Aeronautica non poté fare molto di più, inviando 12 biplani Fiat C.R.42, un bombardiere S.79 e un aereo da trasporto S.81. Le forze aeronautiche dell'Asse furono rinominate rispettivamente "Fliegerfuhrer Iraq" e "Squadriglia Irak", formata da elementi del 155° Gruppo Caccia di Roma Ciampino. Per un momento, parve di tornare alla Guerra Civile Spagnola perché gli aerei tedeschi ed italiani furono rapidamente ridipinti nella livrea dell'aviazione irachena e si stabilirono in parte nelle basi settentrionali del Paese sotto il controllo iracheno (Kirkuk, Mosul) e in parte negli aeroporti della vicina Siria alleata di Vichy. L'attività delle forze aeree dell'Asse fu un fuoco fatuo, perché la resistenza della base britannica e il contemporaneo sbarco di contingenti inglesi a Bassora resero sempre più difficile il tentativo di offensiva irachena, le cui truppe mostravano una scarsa combattività e pochissima preparazione. L'arrivo del contingente dei "Gurkha" dall'India diede una svolta definitiva alle sorti del conflitto, mentre le forze aeree tedesche furono subito localizzate anche grazie ad una "falla" nella sicurezza delle comunicazioni riservate dell'Ambasciata italiana che erano state intercettate e decifrate dagli Inglesi. Molti furono i velivoli tedeschi colti al suolo dai bombardamenti dei Wellington della RAF, mentre i Fiat C.R. 42 nei pochi giorni di combattimento in terra irachena furono in grado di ingaggiare battaglia con alcuni biplani Gloster Gladiator, avendo ragione su due di questi a fronte della perdita di un biplano italiano. Furono gli eventi internazionali a spingere gli alleati di Rashid Ali a lasciare la terra dell'antica Mesopotamia. Nel maggio 1941 l'Italia perdeva l'Etiopia, dopo aver già capitolato nel mese precedente nella colonia di Eritrea. I Tedeschi erano dovuti intervenire nei Balcani per impedire l'avanzata greca supportata dagli Inglesi e si stavano preparando all'avventura in Russia. Per l'Iraq non c'erano più risorse. Prima di perdere ulteriori mezzi, la "Squadriglia Irak" fu richiamata a Rodi e qui utilizzata nella difesa dell'isola.
La capitale Baghdad, ormai assediata, fu teatro di un terribile pogrom portato a termine dai fedelissimi di Al-Husayni e Rachid Ali. Il 1 giugno 1941 la minoranza ebraica della capitale, già sottoposta a pesantissime restrizioni da Rachid Ali, fu massacrata da una folla sobillata dalla propaganda del Muftì durante il vuoto di potere che anticipò la riconquista britannica del Paese. il numero delle vittime non fu mai accertato, ma ricerche successive indicano un bilancio di circa 700 morti. La strage fu seguita da una polemica promossa dalle comunità ebraiche a causa dell'inspiegabile ritardo degli Inglesi nella conquista di Baghdad, giunti ormai a pochi chilometri dalla cintura della capitale. Rachid Ali Al-Gaylani fuggì inizialmente a Berlino dove Hitler lo riconobbe come unico reggente dell'Iraq, per poi trovare rifugio in Arabia Saudita. Per quanto riguardò l'ispiratore principale della jihad nazi-islamica, il Muftì Al-Husayni, fuggì prima in Persia con un passaporto italiano falso a nome di Giuseppe Rossi prima di passare per Bari e terminare la fuga a Berlino, dove proseguirà l'opera di propaganda del grande Stato Islamico, offrendo a Hitler la propria influenza nell'arruolamento delle Waffen-SS musulmane reclutate tra la popolazione di religione musulmana dei Balcani. La fama e l'influenza del capo religioso filonazista non terminarono dopo la guerra, anche perché le autorità britanniche sacrificarono il suo arresto quale criminale di guerra a causa della delicatissima situazione che si stava profilando in Palestina e che sfocerà nella prima guerra Arabo-Israeliana. Dopo aver mantenuto la sua influenza carismatica dai lunghi anni in esilio in Egitto, il precursore dell'integralismo islamico morirà a Beirut nel 1974.
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Ottant'anni fa, nelle terre dell'antica Mesopotamia, fu combattuta una guerra-lampo ormai pressoché dimenticata. Durò poco più di un mese, ma fu importante per le successive vittorie alleate a causa dell'importanza strategico-logistica di quel territorio. La "piccola guerra" alla quale parteciparono anche gli Italiani con un contingente della Regia Aeronautica, fu messa in secondo piano dalle potenze dell'Asse le quali erano massicciamente impegnate sui fronti balcanico e nordafricano mentre si profilava l'operazione "Barbarossa", la campagna tedesca contro l'Unione Sovietica. L'Italia dal canto suo faticava sul fronte greco-albanese ed era impegnata pesantemente nella difesa all'ultimo colpo dei territori coloniali di Libia e dell'Africa Orientale posti sotto attacco dalle forze britanniche. La guerra Anglo-irachena fu anche un momento fondamentale per comprendere i rapporti particolari tra il nazionalismo islamico e il Terzo Reich.I protagonisti, i tempi, le causeIl Regno dell'Iraq, precedentemente regione mesopotamica, era stato creato dopo la sconfitta dell'Impero Ottomano nella Grande Guerra. La Lega delle Nazioni ne fece un Mandato Britannico, come la vicina Palestina dopo la sollevazione della popolazione araba sobillata dagli ex generali ottomani contro l'occupazione inglese. Il Mandato durò fino al 1932, quando l'Iraq ottenne un'indipendenza fortemente condizionata dagli interessi di Londra che dettarono le condizioni con un trattato bilaterale nel 1930 il quale garantiva l'accesso alle fonti petrolifere e alla presenza militare inglese con due basi della Royal Air Force. Il trattato garantiva inoltre il transito senza limitazioni delle truppe britanniche nella tratta strategica tra l'Egitto, la Giordania verso il Golfo Persico e quindi l'India britannica.Il Regno dell'Iraq ebbe negli anni trenta una vita molto turbolenta. I termini del trattato risvegliarono le forze nazionaliste arabe con una pressione continua sul debole governo-fantoccio imposto da Londra e guidato da Nuri Al-Said. Le spinte antibritanniche venivano alimentate anche dalla Palestina, anch'essa territorio sottoposto all'amministrazione di Londra e teatro di una importante immigrazione ebraica stabilita anni prima dal rapporto Balfour. Il forte aumento degli ebrei in Palestina generò un violenta reazione da parte dei nazionalisti arabi che sfociò in due gravi rivolte nel 1936 e 1939, alla vigilia della guerra. I fatti di Palestina influenzarono molto da vicino la politica irachena, caratterizzata da forte instabilità e dalla presenza malsopportata degli inglesi. Allo scoppio della guerra, l'Iraq romperà le relazioni diplomatiche con Berlino come imposto da Londra, lasciando tuttavia aperte le relazioni con l'Italia. Sarà proprio attorno alla rappresentanza diplomatica italiana che andrà sviluppandosi il cambio di fronte sfociato poco più tardi in un colpo di stato a Baghdad. Epicentro delle trame politiche antibritanniche fu un influente personaggio e guida religiosa, il Gran Muftì di Gerusalemme Amin Al-Husayni. Già punto di riferimento delle rivolte antibritanniche di Palestina negli anni dell'immigrazione ebraica. Il membro dell'influente famiglia palestinese era stato un precursore dell'applicazione della Jihad, la guerra santa, e nel 1929 fu fra i sobillatori dell'orribile massacro di Hebron in Cisgiordania nella quale furono trucidati 67 coloni ebrei, bambini compresi. L'anno precedente aveva aderito alla lega dei nazionalisti arabi,chiamata i "Fratelli musulmani". Dopo i fatti di Palestina fu raggiunto da un mandato di cattura britannico e fuggì in Libano, dove rimase fino al 1939 quando si trasferì a Baghdad negli anni della maggiore instabilità politica per il paese. Durante il soggiorno in Libano Husayni mantenne contatti costanti con i tedeschi e in particolare modo tramite l'allora console generale germanico, il braccio destro di Himmler e SS-Obergruppenfuhrer Karl Wolff per stendere i piani di una stretta alleanza tra il Terzo Reich e i nazionalisti arabi. A questo punto la presenza del Muftì fu determinante per i rivolgimenti politici che culminarono con il colpo di stato del 1941, portato a termine da quattro generali dell'esercito iracheno (noti come il "quadrato d'oro") favorevoli all'Asse. Il già debolissimo governo di Tana Al-Hashimi fu destituito con la forza e sostituito dal regime di Rashid Ali Al Gaylani, un avvocato dal forte passato nazionalista, già leader del partito islamico iracheno "Fratellanza Nazionale". Dopo la sua presa del potere Rachid Ali radunò tutte le forze filo-Asse attorno all'ambasciata italiana a Baghdad, dichiarando contemporaneamente l'incostituzionalità del trattato Anglo-iracheno del 1930 e iniziando la mobilitazione delle classi dell'esercito nazionale. La prova della forte influenza del Muftì Al-Husayni durante la preparazione della guerra contro gli inglesi ci è giunta dalle memorie storiche del Regio Esercito per l'anno 1941. Il ruolo centrale italiano nella fase immediatamente precedente le ostilità si evince dalla fitta corrispondenza tra il rappresentante diplomatico italiano Gino Butti e il Comando Supremo del Regio Esercito, nelle quali il diplomatico italiano si fece portavoce delle pressanti richieste di aiuti militari da parte di Rachid Ali, timoroso di un rapido colpo di mano britannico per riportare l'Iraq sotto il suo controllo diretto. A tutte le sedute svoltesi nell'Ambasciata di Baghdad fu presente Al-Husayni, il quale riportò l'urgenza di una stretta collaborazione con la Germania nazista per un disegno politico che suona di grande attualità ai giorni nostri: la creazione negli ex mandati britannici (con la Siria alleata di Vichy) di un grande ed unico Stato Islamico, che prevedeva naturalmente lo sterminio totale degli ebrei.Aprile-maggio 1941. Le ostilitàMentre i colloqui avvenivano, l'esercito di Rashid Ali mosse alla volta della base della Royal Air Force di Al-Habbaniya, cercando di vietarne l'attività di volo con la scusa di un'esercitazione irachena in corso.Il Vice-maresciallo dell'Aria Smart, comandante della base nella quale si trovavano circa 1.000 militari e alcune migliaia di civili rifugiati per paura dei disordini, respinse fermamente la richiesta e considerò ogni impedimento all'attività della base come un atto di guerra. La guerra Anglo irachena era formalmente iniziata, e fu un conflitto da un punto di vista degli armamenti di assoluto secondo piano. La base della RAF era infatti una semplice scuola di volo, dove erano presenti numerosi allievi tra cui un contingente di aspiranti piloti ellenici. I velivoli erano antiquati, tranne un solo bombardiere medio Bristol Blenheim. Per il resto erano biplani del periodo tra le due guerre. L'aviazione irachena possedeva circa 110 velivoli, ma non tutti in condizioni di poter combattere. Alle forniture inglesi del periodo del mandato si erano aggiunti velivoli italiani, come i cacciabombardieri Breda Ba.65 e i Savoia Marchetti S.79 in versione bimotore.La resistenza ad oltranza della base Raf permise agli inglesi riorganizzare le forze in campo, soprattutto contando sull'arrivo di contingenti dalla Palestina attraverso la Transgiordania ma soprattutto di un corpo di spedizione meccanizzato formato da "Gurkha" indiani. Nonostante la superiorità numerica e la presenza di artiglieria irachena, la base di Al-Habbaniya fu in grado di sferrare attacchi non senza importanti sacrifici con la perdita di 29 velivoli e sortite continue (anche 6 per ogni aereo al giorno). L'arrivo dalle basi palestinesi di due bombardieri medi Vickers Wellington fecero respirare gli assediati mentre l'aeroporto di Baghdad dove era concentrata la maggior parte della forza aerea irachena fu pesantemente colpita con la perdita di numerosi aerei al suolo. Soltanto ai primi di maggio del 1941 l'Italia e la Germania si decisero ad inviare rinforzi, limitandosi alla sola presenza aeronautica. La Luftwaffe inviò in territorio iracheno e nelle basi siriane alleate cacciabombardieri di "seconda linea", vista la carenza di velivoli a causa dell'imminente sforzo in Russia. Anche la Regia Aeronautica non poté fare molto di più, inviando 12 biplani Fiat C.R.42, un bombardiere S.79 e un aereo da trasporto S.81. Le forze aeronautiche dell'Asse furono rinominate rispettivamente "Fliegerfuhrer Iraq" e "Squadriglia Irak", formata da elementi del 155° Gruppo Caccia di Roma Ciampino. Per un momento, parve di tornare alla Guerra Civile Spagnola perché gli aerei tedeschi ed italiani furono rapidamente ridipinti nella livrea dell'aviazione irachena e si stabilirono in parte nelle basi settentrionali del Paese sotto il controllo iracheno (Kirkuk, Mosul) e in parte negli aeroporti della vicina Siria alleata di Vichy. L'attività delle forze aeree dell'Asse fu un fuoco fatuo, perché la resistenza della base britannica e il contemporaneo sbarco di contingenti inglesi a Bassora resero sempre più difficile il tentativo di offensiva irachena, le cui truppe mostravano una scarsa combattività e pochissima preparazione. L'arrivo del contingente dei "Gurkha" dall'India diede una svolta definitiva alle sorti del conflitto, mentre le forze aeree tedesche furono subito localizzate anche grazie ad una "falla" nella sicurezza delle comunicazioni riservate dell'Ambasciata italiana che erano state intercettate e decifrate dagli Inglesi. Molti furono i velivoli tedeschi colti al suolo dai bombardamenti dei Wellington della RAF, mentre i Fiat C.R. 42 nei pochi giorni di combattimento in terra irachena furono in grado di ingaggiare battaglia con alcuni biplani Gloster Gladiator, avendo ragione su due di questi a fronte della perdita di un biplano italiano. Furono gli eventi internazionali a spingere gli alleati di Rashid Ali a lasciare la terra dell'antica Mesopotamia. Nel maggio 1941 l'Italia perdeva l'Etiopia, dopo aver già capitolato nel mese precedente nella colonia di Eritrea. I Tedeschi erano dovuti intervenire nei Balcani per impedire l'avanzata greca supportata dagli Inglesi e si stavano preparando all'avventura in Russia. Per l'Iraq non c'erano più risorse. Prima di perdere ulteriori mezzi, la "Squadriglia Irak" fu richiamata a Rodi e qui utilizzata nella difesa dell'isola.La capitale Baghdad, ormai assediata, fu teatro di un terribile pogrom portato a termine dai fedelissimi di Al-Husayni e Rachid Ali. Il 1 giugno 1941 la minoranza ebraica della capitale, già sottoposta a pesantissime restrizioni da Rachid Ali, fu massacrata da una folla sobillata dalla propaganda del Muftì durante il vuoto di potere che anticipò la riconquista britannica del Paese. il numero delle vittime non fu mai accertato, ma ricerche successive indicano un bilancio di circa 700 morti. La strage fu seguita da una polemica promossa dalle comunità ebraiche a causa dell'inspiegabile ritardo degli Inglesi nella conquista di Baghdad, giunti ormai a pochi chilometri dalla cintura della capitale. Rachid Ali Al-Gaylani fuggì inizialmente a Berlino dove Hitler lo riconobbe come unico reggente dell'Iraq, per poi trovare rifugio in Arabia Saudita. Per quanto riguardò l'ispiratore principale della jihad nazi-islamica, il Muftì Al-Husayni, fuggì prima in Persia con un passaporto italiano falso a nome di Giuseppe Rossi prima di passare per Bari e terminare la fuga a Berlino, dove proseguirà l'opera di propaganda del grande Stato Islamico, offrendo a Hitler la propria influenza nell'arruolamento delle Waffen-SS musulmane reclutate tra la popolazione di religione musulmana dei Balcani. La fama e l'influenza del capo religioso filonazista non terminarono dopo la guerra, anche perché le autorità britanniche sacrificarono il suo arresto quale criminale di guerra a causa della delicatissima situazione che si stava profilando in Palestina e che sfocerà nella prima guerra Arabo-Israeliana. Dopo aver mantenuto la sua influenza carismatica dai lunghi anni in esilio in Egitto, il precursore dell'integralismo islamico morirà a Beirut nel 1974.
Il motore è un modello di ricavi sempre più orientato ai servizi: «La crescita facile basata sulla forbice degli interessi sta inevitabilmente assottigliandosi, con il margine di interesse aggregato in calo del 5,6% nei primi nove mesi del 2025», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert Scf. «Il settore ha saputo, però, compensare questa dinamica spingendo sul secondo pilastro dei ricavi, le commissioni nette, che sono cresciute del 5,9% nello stesso periodo, grazie soprattutto alla focalizzazione su gestione patrimoniale e bancassurance».
La crescita delle commissioni riflette un’evoluzione strutturale: le banche agiscono sempre più come collocatori di prodotti finanziari e assicurativi. «Questo modello, se da un lato genera profitti elevati e stabili per gli istituti con minori vincoli di capitale e minor rischio di credito rispetto ai prestiti, dall’altro espone una criticità strutturale per i risparmiatori», dice Gaziano. «L’Italia è, infatti, il mercato in Europa in cui il risparmio gestito è il più caro», ricorda. Ne deriva una redditività meno dipendente dal credito, ma con un tema di costo per i clienti. La «corsa turbo» agli utili ha riacceso il dibattito sugli extra-profitti. In Italia, la legge di bilancio chiede un contributo al settore con formule che evitano una nuova tassa esplicita.
«È un dato di fatto che il governo italiano stia cercando una soluzione morbida per incassare liquidità da un settore in forte attivo, mentre in altri Paesi europei si discute apertamente di tassare questi extra-profitti in modo più deciso», dice l’esperto. «Ad esempio, in Polonia il governo ha recentemente aumentato le tasse sulle banche per finanziare le spese per la Difesa. È curioso notare come, alla fine, i governi preferiscano accontentarsi di un contributo una tantum da parte delle banche, piuttosto che intervenire sulle dinamiche che generano questi profitti che ricadono direttamente sui risparmiatori».
Come spiega David Benamou, responsabile investimenti di Axiom alternative investments, «le banche italiane rimangono interessanti grazie ai solidi coefficienti patrimoniali (Cet1 medio superiore al 15%), alle generose distribuzioni agli azionisti (riacquisti di azioni proprie e dividendi che offrono rendimenti del 9-10%) e al consolidamento in corso che rafforza i gruppi leader, Unicredit e Intesa Sanpaolo. Il settore in Italia potrebbe sovraperformare il mercato azionario in generale se le valutazioni rimarranno basse. Non mancano, tuttavia, rischi come un moderato aumento dei crediti in sofferenza o gli choc geopolitici, che smorzano l’ottimismo».
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Il 29 luglio del 2024, infatti, Axel Rudakubana, cittadino britannico con genitori di origini senegalesi, entra in una scuola di danza a Southport con un coltello in mano. Inizia a colpire chiunque gli si pari davanti, principalmente bambine, che provano a difendersi come possono. Invano, però. Rudakubana vuole il sangue. Lo avrà. Sono 12 minuti che durano un’eternità e che provocheranno una carneficina. Rudakubana uccide tre bambine: Alice da Silva Aguiar, di nove anni; Bebe King, di sei ed Elsie Dot Stancombe, di sette. Altri dieci bimbi rimarranno feriti, alcuni in modo molto grave.
Nel Regno Unito cresce lo sdegno per questo ennesimo fatto di sangue che ha come protagonista un uomo di colore. Anche Michael dice la sua con un video di 12 minuti su Facebook. Viene accusato di incitamento all’odio razziale ma, quando va davanti al giudice, viene scagionato in una manciata di minuti. Non ha fatto nulla. Era frustrato, come gran parte dei britannici. Ha espresso la sua opinione. Tutto è bene quel che finisce bene, quindi. O forse no.
Due settimane dopo, infatti, il consiglio di tutela locale, che per legge è responsabile della protezione dei bambini vulnerabili, gli comunica che non è più idoneo a lavorare con i minori. Una decisione che lascia allibiti molti, visto che solitamente punizioni simili vengono riservate ai pedofili. Michael non lo è, ovviamente, ma non può comunque allenare la squadra della figlia. Di fronte a questa decisione, il veterano prova un senso di vergogna. Decide di parlare perché teme che la sua comunità lo consideri un pedofilo quando non lo è. In pochi lo ascoltano, però. Quasi nessuno. Il suo non è un caso isolato. Solamente l’anno scorso, infatti, oltre 12.000 britannici sono stati monitorati per i loro commenti in rete. A finire nel mirino sono soprattutto coloro che hanno idee di destra o che criticano l’immigrazione. Anche perché le istituzioni del Regno Unito cercano di tenere nascoste le notizie che riguardano le violenze dei richiedenti asilo. Qualche giorno fa, per esempio, una studentessa è stata violentata da due afghani, Jan Jahanzeb e Israr Niazal. I due le si avvicinano per portarla in un luogo appartato. La ragazza capisce cosa sta accadendo. Prova a fuggire ma non riesce. Accende la videocamera e registra tutto. La si sente pietosamente dire «mi stuprerai?» e gridare disperatamente aiuto. Che però non arriva. Il video è terribile, tanto che uno degli avvocati degli stupratori ha detto che, se dovesse essere pubblicato, il Regno Unito verrebbe attraversato da un’ondata di proteste. Che già ci sono. Perché l’immigrazione incontrollata sull’isola (e non solo) sta provocando enormi sofferenze alla popolazione locale. Nel Regno, certo. Ma anche da noi. Del resto è stato il questore di Milano a notare come gli stranieri compiano ormai l’80% dei reati predatori. Una vera e propria emergenza che, per motivi ideologici, si finge di non vedere.
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Una fotografia limpida e concreta di imprese, giustizia, legalità e creatività come parti di un’unica storia: quella di un Paese, il nostro, che ogni giorno prova a crescere, migliorarsi e ritrovare fiducia.
Un percorso approfondito in cui ci guida la visione del sottosegretario alle Imprese e al Made in Italy Massimo Bitonci, che ricostruisce lo stato del nostro sistema produttivo e il valore strategico del made in Italy, mettendo in evidenza il ruolo della moda e dell’artigianato come forza identitaria ed economica. Un contributo arricchito dall’esperienza diretta di Giulio Felloni, presidente di Federazione Moda Italia-Confcommercio, e dal suo quadro autentico del rapporto tra imprese e consumatori.
Imprese in cui la creatività italiana emerge, anche attraverso parole diverse ma complementari: quelle di Sara Cavazza Facchini, creative director di Genny, che condivide con il lettore la sua filosofia del valore dell’eleganza italiana come linguaggio culturale e non solo estetico; quelle di Laura Manelli, Ceo di Pinko, che racconta la sua visione di una moda motore di innovazione, competenze e occupazione. A completare questo quadro, la giornalista Mariella Milani approfondisce il cambiamento profondo del fashion system, ponendo l’accento sul rapporto tra brand, qualità e responsabilità sociale. Il tema di responsabilità sociale viene poi ripreso e approfondito, attraverso la chiave della legalità e della trasparenza, dal presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione Giuseppe Busia, che vede nella lotta alla corruzione la condizione imprescindibile per la competitività del Paese: norme più semplici, controlli più efficaci e un’amministrazione capace di meritarsi la fiducia di cittadini e aziende. Una prospettiva che si collega alla voce del presidente nazionale di Confartigianato Marco Granelli, che denuncia la crescente vulnerabilità digitale delle imprese italiane e l’urgenza di strumenti condivisi per contrastare truffe, attacchi informatici e forme sempre nuove di criminalità economica.
In questo contesto si introduce una puntuale analisi della riforma della giustizia ad opera del sottosegretario Andrea Ostellari, che illustra i contenuti e le ragioni del progetto di separazione delle carriere, con l’obiettivo di spiegare in modo chiaro ciò che spesso, nel dibattito pubblico, resta semplificato. Il suo intervento si intreccia con il punto di vista del presidente dell’Unione Camere Penali Italiane Francesco Petrelli, che sottolinea il valore delle garanzie e il ruolo dell’avvocatura in un sistema equilibrato; e con quello del penalista Gian Domenico Caiazza, presidente del Comitato «Sì Separa», che richiama l’esigenza di una magistratura indipendente da correnti e condizionamenti. Questa narrazione attenta si arricchisce con le riflessioni del penalista Raffaele Della Valle, che porta nel dibattito l’esperienza di una vita professionale segnata da casi simbolici, e con la voce dell’ex magistrato Antonio Di Pietro, che offre una prospettiva insolita e diretta sui rapporti interni alla magistratura e sul funzionamento del sistema giudiziario.
A chiudere l’approfondimento è il giornalista Fabio Amendolara, che indaga il caso Garlasco e il cosiddetto «sistema Pavia», mostrando come una vicenda giudiziaria complessa possa diventare uno specchio delle fragilità che la riforma tenta oggi di correggere. Una coralità sincera e documentata che invita a guardare l’Italia con più attenzione, con più consapevolezza, e con la certezza che il merito va riconosciuto e difeso, in quanto unica chiave concreta per rendere migliore il Paese. Comprenderlo oggi rappresenta un'opportunità in più per costruire il domani.
Per scaricare il numero di «Osservatorio sul Merito» basta cliccare sul link qui sotto.
Merito-Dicembre-2025.pdf
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