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2021-04-12
La guerra Anglo-irachena del 1941: l'Italia, la Germania e l'Islam radicale
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Guerrieri tribali iracheni all'assalto di un blindato inglese nel maggio 1941 (Getty Images)
I protagonisti, i tempi, le cause
Il Regno dell'Iraq, precedentemente regione mesopotamica, era stato creato dopo la sconfitta dell'Impero Ottomano nella Grande Guerra. La Lega delle Nazioni ne fece un Mandato Britannico, come la vicina Palestina dopo la sollevazione della popolazione araba sobillata dagli ex generali ottomani contro l'occupazione inglese. Il Mandato durò fino al 1932, quando l'Iraq ottenne un'indipendenza fortemente condizionata dagli interessi di Londra che dettarono le condizioni con un trattato bilaterale nel 1930 il quale garantiva l'accesso alle fonti petrolifere e alla presenza militare inglese con due basi della Royal Air Force. Il trattato garantiva inoltre il transito senza limitazioni delle truppe britanniche nella tratta strategica tra l'Egitto, la Giordania verso il Golfo Persico e quindi l'India britannica.
Il Regno dell'Iraq ebbe negli anni trenta una vita molto turbolenta. I termini del trattato risvegliarono le forze nazionaliste arabe con una pressione continua sul debole governo-fantoccio imposto da Londra e guidato da Nuri Al-Said. Le spinte antibritanniche venivano alimentate anche dalla Palestina, anch'essa territorio sottoposto all'amministrazione di Londra e teatro di una importante immigrazione ebraica stabilita anni prima dal rapporto Balfour. Il forte aumento degli ebrei in Palestina generò un violenta reazione da parte dei nazionalisti arabi che sfociò in due gravi rivolte nel 1936 e 1939, alla vigilia della guerra. I fatti di Palestina influenzarono molto da vicino la politica irachena, caratterizzata da forte instabilità e dalla presenza malsopportata degli inglesi. Allo scoppio della guerra, l'Iraq romperà le relazioni diplomatiche con Berlino come imposto da Londra, lasciando tuttavia aperte le relazioni con l'Italia. Sarà proprio attorno alla rappresentanza diplomatica italiana che andrà sviluppandosi il cambio di fronte sfociato poco più tardi in un colpo di stato a Baghdad. Epicentro delle trame politiche antibritanniche fu un influente personaggio e guida religiosa, il Gran Muftì di Gerusalemme Amin Al-Husayni. Già punto di riferimento delle rivolte antibritanniche di Palestina negli anni dell'immigrazione ebraica. Il membro dell'influente famiglia palestinese era stato un precursore dell'applicazione della Jihad, la guerra santa, e nel 1929 fu fra i sobillatori dell'orribile massacro di Hebron in Cisgiordania nella quale furono trucidati 67 coloni ebrei, bambini compresi. L'anno precedente aveva aderito alla lega dei nazionalisti arabi,chiamata i "Fratelli musulmani". Dopo i fatti di Palestina fu raggiunto da un mandato di cattura britannico e fuggì in Libano, dove rimase fino al 1939 quando si trasferì a Baghdad negli anni della maggiore instabilità politica per il paese. Durante il soggiorno in Libano Husayni mantenne contatti costanti con i tedeschi e in particolare modo tramite l'allora console generale germanico, il braccio destro di Himmler e SS-Obergruppenfuhrer Karl Wolff per stendere i piani di una stretta alleanza tra il Terzo Reich e i nazionalisti arabi. A questo punto la presenza del Muftì fu determinante per i rivolgimenti politici che culminarono con il colpo di stato del 1941, portato a termine da quattro generali dell'esercito iracheno (noti come il "quadrato d'oro") favorevoli all'Asse. Il già debolissimo governo di Tana Al-Hashimi fu destituito con la forza e sostituito dal regime di Rashid Ali Al Gaylani, un avvocato dal forte passato nazionalista, già leader del partito islamico iracheno "Fratellanza Nazionale". Dopo la sua presa del potere Rachid Ali radunò tutte le forze filo-Asse attorno all'ambasciata italiana a Baghdad, dichiarando contemporaneamente l'incostituzionalità del trattato Anglo-iracheno del 1930 e iniziando la mobilitazione delle classi dell'esercito nazionale. La prova della forte influenza del Muftì Al-Husayni durante la preparazione della guerra contro gli inglesi ci è giunta dalle memorie storiche del Regio Esercito per l'anno 1941. Il ruolo centrale italiano nella fase immediatamente precedente le ostilità si evince dalla fitta corrispondenza tra il rappresentante diplomatico italiano Gino Butti e il Comando Supremo del Regio Esercito, nelle quali il diplomatico italiano si fece portavoce delle pressanti richieste di aiuti militari da parte di Rachid Ali, timoroso di un rapido colpo di mano britannico per riportare l'Iraq sotto il suo controllo diretto. A tutte le sedute svoltesi nell'Ambasciata di Baghdad fu presente Al-Husayni, il quale riportò l'urgenza di una stretta collaborazione con la Germania nazista per un disegno politico che suona di grande attualità ai giorni nostri: la creazione negli ex mandati britannici (con la Siria alleata di Vichy) di un grande ed unico Stato Islamico, che prevedeva naturalmente lo sterminio totale degli ebrei.
Aprile-maggio 1941. Le ostilità
Mentre i colloqui avvenivano, l'esercito di Rashid Ali mosse alla volta della base della Royal Air Force di Al-Habbaniya, cercando di vietarne l'attività di volo con la scusa di un'esercitazione irachena in corso.Il Vice-maresciallo dell'Aria Smart, comandante della base nella quale si trovavano circa 1.000 militari e alcune migliaia di civili rifugiati per paura dei disordini, respinse fermamente la richiesta e considerò ogni impedimento all'attività della base come un atto di guerra.
La guerra Anglo irachena era formalmente iniziata, e fu un conflitto da un punto di vista degli armamenti di assoluto secondo piano. La base della RAF era infatti una semplice scuola di volo, dove erano presenti numerosi allievi tra cui un contingente di aspiranti piloti ellenici. I velivoli erano antiquati, tranne un solo bombardiere medio Bristol Blenheim. Per il resto erano biplani del periodo tra le due guerre. L'aviazione irachena possedeva circa 110 velivoli, ma non tutti in condizioni di poter combattere. Alle forniture inglesi del periodo del mandato si erano aggiunti velivoli italiani, come i cacciabombardieri Breda Ba.65 e i Savoia Marchetti S.79 in versione bimotore.
La resistenza ad oltranza della base Raf permise agli inglesi riorganizzare le forze in campo, soprattutto contando sull'arrivo di contingenti dalla Palestina attraverso la Transgiordania ma soprattutto di un corpo di spedizione meccanizzato formato da "Gurkha" indiani. Nonostante la superiorità numerica e la presenza di artiglieria irachena, la base di Al-Habbaniya fu in grado di sferrare attacchi non senza importanti sacrifici con la perdita di 29 velivoli e sortite continue (anche 6 per ogni aereo al giorno). L'arrivo dalle basi palestinesi di due bombardieri medi Vickers Wellington fecero respirare gli assediati mentre l'aeroporto di Baghdad dove era concentrata la maggior parte della forza aerea irachena fu pesantemente colpita con la perdita di numerosi aerei al suolo.
Soltanto ai primi di maggio del 1941 l'Italia e la Germania si decisero ad inviare rinforzi, limitandosi alla sola presenza aeronautica. La Luftwaffe inviò in territorio iracheno e nelle basi siriane alleate cacciabombardieri di "seconda linea", vista la carenza di velivoli a causa dell'imminente sforzo in Russia. Anche la Regia Aeronautica non poté fare molto di più, inviando 12 biplani Fiat C.R.42, un bombardiere S.79 e un aereo da trasporto S.81. Le forze aeronautiche dell'Asse furono rinominate rispettivamente "Fliegerfuhrer Iraq" e "Squadriglia Irak", formata da elementi del 155° Gruppo Caccia di Roma Ciampino. Per un momento, parve di tornare alla Guerra Civile Spagnola perché gli aerei tedeschi ed italiani furono rapidamente ridipinti nella livrea dell'aviazione irachena e si stabilirono in parte nelle basi settentrionali del Paese sotto il controllo iracheno (Kirkuk, Mosul) e in parte negli aeroporti della vicina Siria alleata di Vichy. L'attività delle forze aeree dell'Asse fu un fuoco fatuo, perché la resistenza della base britannica e il contemporaneo sbarco di contingenti inglesi a Bassora resero sempre più difficile il tentativo di offensiva irachena, le cui truppe mostravano una scarsa combattività e pochissima preparazione. L'arrivo del contingente dei "Gurkha" dall'India diede una svolta definitiva alle sorti del conflitto, mentre le forze aeree tedesche furono subito localizzate anche grazie ad una "falla" nella sicurezza delle comunicazioni riservate dell'Ambasciata italiana che erano state intercettate e decifrate dagli Inglesi. Molti furono i velivoli tedeschi colti al suolo dai bombardamenti dei Wellington della RAF, mentre i Fiat C.R. 42 nei pochi giorni di combattimento in terra irachena furono in grado di ingaggiare battaglia con alcuni biplani Gloster Gladiator, avendo ragione su due di questi a fronte della perdita di un biplano italiano. Furono gli eventi internazionali a spingere gli alleati di Rashid Ali a lasciare la terra dell'antica Mesopotamia. Nel maggio 1941 l'Italia perdeva l'Etiopia, dopo aver già capitolato nel mese precedente nella colonia di Eritrea. I Tedeschi erano dovuti intervenire nei Balcani per impedire l'avanzata greca supportata dagli Inglesi e si stavano preparando all'avventura in Russia. Per l'Iraq non c'erano più risorse. Prima di perdere ulteriori mezzi, la "Squadriglia Irak" fu richiamata a Rodi e qui utilizzata nella difesa dell'isola.
La capitale Baghdad, ormai assediata, fu teatro di un terribile pogrom portato a termine dai fedelissimi di Al-Husayni e Rachid Ali. Il 1 giugno 1941 la minoranza ebraica della capitale, già sottoposta a pesantissime restrizioni da Rachid Ali, fu massacrata da una folla sobillata dalla propaganda del Muftì durante il vuoto di potere che anticipò la riconquista britannica del Paese. il numero delle vittime non fu mai accertato, ma ricerche successive indicano un bilancio di circa 700 morti. La strage fu seguita da una polemica promossa dalle comunità ebraiche a causa dell'inspiegabile ritardo degli Inglesi nella conquista di Baghdad, giunti ormai a pochi chilometri dalla cintura della capitale. Rachid Ali Al-Gaylani fuggì inizialmente a Berlino dove Hitler lo riconobbe come unico reggente dell'Iraq, per poi trovare rifugio in Arabia Saudita. Per quanto riguardò l'ispiratore principale della jihad nazi-islamica, il Muftì Al-Husayni, fuggì prima in Persia con un passaporto italiano falso a nome di Giuseppe Rossi prima di passare per Bari e terminare la fuga a Berlino, dove proseguirà l'opera di propaganda del grande Stato Islamico, offrendo a Hitler la propria influenza nell'arruolamento delle Waffen-SS musulmane reclutate tra la popolazione di religione musulmana dei Balcani. La fama e l'influenza del capo religioso filonazista non terminarono dopo la guerra, anche perché le autorità britanniche sacrificarono il suo arresto quale criminale di guerra a causa della delicatissima situazione che si stava profilando in Palestina e che sfocerà nella prima guerra Arabo-Israeliana. Dopo aver mantenuto la sua influenza carismatica dai lunghi anni in esilio in Egitto, il precursore dell'integralismo islamico morirà a Beirut nel 1974.
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Ottant'anni fa, nelle terre dell'antica Mesopotamia, fu combattuta una guerra-lampo ormai pressoché dimenticata. Durò poco più di un mese, ma fu importante per le successive vittorie alleate a causa dell'importanza strategico-logistica di quel territorio. La "piccola guerra" alla quale parteciparono anche gli Italiani con un contingente della Regia Aeronautica, fu messa in secondo piano dalle potenze dell'Asse le quali erano massicciamente impegnate sui fronti balcanico e nordafricano mentre si profilava l'operazione "Barbarossa", la campagna tedesca contro l'Unione Sovietica. L'Italia dal canto suo faticava sul fronte greco-albanese ed era impegnata pesantemente nella difesa all'ultimo colpo dei territori coloniali di Libia e dell'Africa Orientale posti sotto attacco dalle forze britanniche. La guerra Anglo-irachena fu anche un momento fondamentale per comprendere i rapporti particolari tra il nazionalismo islamico e il Terzo Reich.I protagonisti, i tempi, le causeIl Regno dell'Iraq, precedentemente regione mesopotamica, era stato creato dopo la sconfitta dell'Impero Ottomano nella Grande Guerra. La Lega delle Nazioni ne fece un Mandato Britannico, come la vicina Palestina dopo la sollevazione della popolazione araba sobillata dagli ex generali ottomani contro l'occupazione inglese. Il Mandato durò fino al 1932, quando l'Iraq ottenne un'indipendenza fortemente condizionata dagli interessi di Londra che dettarono le condizioni con un trattato bilaterale nel 1930 il quale garantiva l'accesso alle fonti petrolifere e alla presenza militare inglese con due basi della Royal Air Force. Il trattato garantiva inoltre il transito senza limitazioni delle truppe britanniche nella tratta strategica tra l'Egitto, la Giordania verso il Golfo Persico e quindi l'India britannica.Il Regno dell'Iraq ebbe negli anni trenta una vita molto turbolenta. I termini del trattato risvegliarono le forze nazionaliste arabe con una pressione continua sul debole governo-fantoccio imposto da Londra e guidato da Nuri Al-Said. Le spinte antibritanniche venivano alimentate anche dalla Palestina, anch'essa territorio sottoposto all'amministrazione di Londra e teatro di una importante immigrazione ebraica stabilita anni prima dal rapporto Balfour. Il forte aumento degli ebrei in Palestina generò un violenta reazione da parte dei nazionalisti arabi che sfociò in due gravi rivolte nel 1936 e 1939, alla vigilia della guerra. I fatti di Palestina influenzarono molto da vicino la politica irachena, caratterizzata da forte instabilità e dalla presenza malsopportata degli inglesi. Allo scoppio della guerra, l'Iraq romperà le relazioni diplomatiche con Berlino come imposto da Londra, lasciando tuttavia aperte le relazioni con l'Italia. Sarà proprio attorno alla rappresentanza diplomatica italiana che andrà sviluppandosi il cambio di fronte sfociato poco più tardi in un colpo di stato a Baghdad. Epicentro delle trame politiche antibritanniche fu un influente personaggio e guida religiosa, il Gran Muftì di Gerusalemme Amin Al-Husayni. Già punto di riferimento delle rivolte antibritanniche di Palestina negli anni dell'immigrazione ebraica. Il membro dell'influente famiglia palestinese era stato un precursore dell'applicazione della Jihad, la guerra santa, e nel 1929 fu fra i sobillatori dell'orribile massacro di Hebron in Cisgiordania nella quale furono trucidati 67 coloni ebrei, bambini compresi. L'anno precedente aveva aderito alla lega dei nazionalisti arabi,chiamata i "Fratelli musulmani". Dopo i fatti di Palestina fu raggiunto da un mandato di cattura britannico e fuggì in Libano, dove rimase fino al 1939 quando si trasferì a Baghdad negli anni della maggiore instabilità politica per il paese. Durante il soggiorno in Libano Husayni mantenne contatti costanti con i tedeschi e in particolare modo tramite l'allora console generale germanico, il braccio destro di Himmler e SS-Obergruppenfuhrer Karl Wolff per stendere i piani di una stretta alleanza tra il Terzo Reich e i nazionalisti arabi. A questo punto la presenza del Muftì fu determinante per i rivolgimenti politici che culminarono con il colpo di stato del 1941, portato a termine da quattro generali dell'esercito iracheno (noti come il "quadrato d'oro") favorevoli all'Asse. Il già debolissimo governo di Tana Al-Hashimi fu destituito con la forza e sostituito dal regime di Rashid Ali Al Gaylani, un avvocato dal forte passato nazionalista, già leader del partito islamico iracheno "Fratellanza Nazionale". Dopo la sua presa del potere Rachid Ali radunò tutte le forze filo-Asse attorno all'ambasciata italiana a Baghdad, dichiarando contemporaneamente l'incostituzionalità del trattato Anglo-iracheno del 1930 e iniziando la mobilitazione delle classi dell'esercito nazionale. La prova della forte influenza del Muftì Al-Husayni durante la preparazione della guerra contro gli inglesi ci è giunta dalle memorie storiche del Regio Esercito per l'anno 1941. Il ruolo centrale italiano nella fase immediatamente precedente le ostilità si evince dalla fitta corrispondenza tra il rappresentante diplomatico italiano Gino Butti e il Comando Supremo del Regio Esercito, nelle quali il diplomatico italiano si fece portavoce delle pressanti richieste di aiuti militari da parte di Rachid Ali, timoroso di un rapido colpo di mano britannico per riportare l'Iraq sotto il suo controllo diretto. A tutte le sedute svoltesi nell'Ambasciata di Baghdad fu presente Al-Husayni, il quale riportò l'urgenza di una stretta collaborazione con la Germania nazista per un disegno politico che suona di grande attualità ai giorni nostri: la creazione negli ex mandati britannici (con la Siria alleata di Vichy) di un grande ed unico Stato Islamico, che prevedeva naturalmente lo sterminio totale degli ebrei.Aprile-maggio 1941. Le ostilitàMentre i colloqui avvenivano, l'esercito di Rashid Ali mosse alla volta della base della Royal Air Force di Al-Habbaniya, cercando di vietarne l'attività di volo con la scusa di un'esercitazione irachena in corso.Il Vice-maresciallo dell'Aria Smart, comandante della base nella quale si trovavano circa 1.000 militari e alcune migliaia di civili rifugiati per paura dei disordini, respinse fermamente la richiesta e considerò ogni impedimento all'attività della base come un atto di guerra. La guerra Anglo irachena era formalmente iniziata, e fu un conflitto da un punto di vista degli armamenti di assoluto secondo piano. La base della RAF era infatti una semplice scuola di volo, dove erano presenti numerosi allievi tra cui un contingente di aspiranti piloti ellenici. I velivoli erano antiquati, tranne un solo bombardiere medio Bristol Blenheim. Per il resto erano biplani del periodo tra le due guerre. L'aviazione irachena possedeva circa 110 velivoli, ma non tutti in condizioni di poter combattere. Alle forniture inglesi del periodo del mandato si erano aggiunti velivoli italiani, come i cacciabombardieri Breda Ba.65 e i Savoia Marchetti S.79 in versione bimotore.La resistenza ad oltranza della base Raf permise agli inglesi riorganizzare le forze in campo, soprattutto contando sull'arrivo di contingenti dalla Palestina attraverso la Transgiordania ma soprattutto di un corpo di spedizione meccanizzato formato da "Gurkha" indiani. Nonostante la superiorità numerica e la presenza di artiglieria irachena, la base di Al-Habbaniya fu in grado di sferrare attacchi non senza importanti sacrifici con la perdita di 29 velivoli e sortite continue (anche 6 per ogni aereo al giorno). L'arrivo dalle basi palestinesi di due bombardieri medi Vickers Wellington fecero respirare gli assediati mentre l'aeroporto di Baghdad dove era concentrata la maggior parte della forza aerea irachena fu pesantemente colpita con la perdita di numerosi aerei al suolo. Soltanto ai primi di maggio del 1941 l'Italia e la Germania si decisero ad inviare rinforzi, limitandosi alla sola presenza aeronautica. La Luftwaffe inviò in territorio iracheno e nelle basi siriane alleate cacciabombardieri di "seconda linea", vista la carenza di velivoli a causa dell'imminente sforzo in Russia. Anche la Regia Aeronautica non poté fare molto di più, inviando 12 biplani Fiat C.R.42, un bombardiere S.79 e un aereo da trasporto S.81. Le forze aeronautiche dell'Asse furono rinominate rispettivamente "Fliegerfuhrer Iraq" e "Squadriglia Irak", formata da elementi del 155° Gruppo Caccia di Roma Ciampino. Per un momento, parve di tornare alla Guerra Civile Spagnola perché gli aerei tedeschi ed italiani furono rapidamente ridipinti nella livrea dell'aviazione irachena e si stabilirono in parte nelle basi settentrionali del Paese sotto il controllo iracheno (Kirkuk, Mosul) e in parte negli aeroporti della vicina Siria alleata di Vichy. L'attività delle forze aeree dell'Asse fu un fuoco fatuo, perché la resistenza della base britannica e il contemporaneo sbarco di contingenti inglesi a Bassora resero sempre più difficile il tentativo di offensiva irachena, le cui truppe mostravano una scarsa combattività e pochissima preparazione. L'arrivo del contingente dei "Gurkha" dall'India diede una svolta definitiva alle sorti del conflitto, mentre le forze aeree tedesche furono subito localizzate anche grazie ad una "falla" nella sicurezza delle comunicazioni riservate dell'Ambasciata italiana che erano state intercettate e decifrate dagli Inglesi. Molti furono i velivoli tedeschi colti al suolo dai bombardamenti dei Wellington della RAF, mentre i Fiat C.R. 42 nei pochi giorni di combattimento in terra irachena furono in grado di ingaggiare battaglia con alcuni biplani Gloster Gladiator, avendo ragione su due di questi a fronte della perdita di un biplano italiano. Furono gli eventi internazionali a spingere gli alleati di Rashid Ali a lasciare la terra dell'antica Mesopotamia. Nel maggio 1941 l'Italia perdeva l'Etiopia, dopo aver già capitolato nel mese precedente nella colonia di Eritrea. I Tedeschi erano dovuti intervenire nei Balcani per impedire l'avanzata greca supportata dagli Inglesi e si stavano preparando all'avventura in Russia. Per l'Iraq non c'erano più risorse. Prima di perdere ulteriori mezzi, la "Squadriglia Irak" fu richiamata a Rodi e qui utilizzata nella difesa dell'isola.La capitale Baghdad, ormai assediata, fu teatro di un terribile pogrom portato a termine dai fedelissimi di Al-Husayni e Rachid Ali. Il 1 giugno 1941 la minoranza ebraica della capitale, già sottoposta a pesantissime restrizioni da Rachid Ali, fu massacrata da una folla sobillata dalla propaganda del Muftì durante il vuoto di potere che anticipò la riconquista britannica del Paese. il numero delle vittime non fu mai accertato, ma ricerche successive indicano un bilancio di circa 700 morti. La strage fu seguita da una polemica promossa dalle comunità ebraiche a causa dell'inspiegabile ritardo degli Inglesi nella conquista di Baghdad, giunti ormai a pochi chilometri dalla cintura della capitale. Rachid Ali Al-Gaylani fuggì inizialmente a Berlino dove Hitler lo riconobbe come unico reggente dell'Iraq, per poi trovare rifugio in Arabia Saudita. Per quanto riguardò l'ispiratore principale della jihad nazi-islamica, il Muftì Al-Husayni, fuggì prima in Persia con un passaporto italiano falso a nome di Giuseppe Rossi prima di passare per Bari e terminare la fuga a Berlino, dove proseguirà l'opera di propaganda del grande Stato Islamico, offrendo a Hitler la propria influenza nell'arruolamento delle Waffen-SS musulmane reclutate tra la popolazione di religione musulmana dei Balcani. La fama e l'influenza del capo religioso filonazista non terminarono dopo la guerra, anche perché le autorità britanniche sacrificarono il suo arresto quale criminale di guerra a causa della delicatissima situazione che si stava profilando in Palestina e che sfocerà nella prima guerra Arabo-Israeliana. Dopo aver mantenuto la sua influenza carismatica dai lunghi anni in esilio in Egitto, il precursore dell'integralismo islamico morirà a Beirut nel 1974.
«Gigolò per caso» (Amazon Prime Video)
Un infarto, però, lo aveva costretto ad una lunga degenza e, insieme, ad uno stop professionale. Stop che non avrebbe potuto permettersi, indebitato com'era con un orologiaio affatto mite. Così, pur sapendo che avrebbe incontrato la riprova del figlio, già inviperito con suo padre, Giacomo aveva deciso di chiedergli una mano. Una sostituzione, il favore di frequentare le sue clienti abituali, consentendogli con ciò un'adeguata ripresa. La prima stagione della serie televisiva era passata, perciò, dalla rabbia allo stupore, per trovare, infine, il divertimento e una strana armonia. La seconda, intitolata La sex gurue pronta a debuttare su Amazon Prime video venerdì 2 gennaio, dovrebbe fare altrettanto, risparmiandosi però la fase della rabbia. Alfonso, cioè, è ormai a suo agio nel ruolo di gigolò. Non solo. La strana alleanza professionale, arrivata in un momento topico della sua vita, quello della crisi con la moglie Margherita, gli ha consentito di recuperare il rapporto con il padre, che credeva irrimediabilmente compromesso. Si diverte, quasi, a frequentare le sue clienti sgallettate. Peccato solo l'arrivo di Rossana Astri, il volto di Sabrina Ferilli. La donna è una fra le più celebri guru del nuovo femminismo, determinata ad indottrinare le sue simili perché si convincano sia giusto fare a meno degli uomini. Ed è questa convinzione che muove anche Margherita, moglie in crisi di Alfonso. Margherita, interpretata da Ambra Angiolini, diventa un'adepta della Astri, una sua fedele scudiera. Quasi, si scopre ad odiarli, gli uomini, dando vita ad una sorta di guerra tra sessi. Divertita, però. E capace, pure di far emergere le abissali differenze tra il maschile e il femminile, i desideri degli uni e le aspettative, quasi mai soddisfatte, delle altre.
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iStock
La nuova applicazione, in parte accessibile anche ai non clienti, introduce servizi innovativi come un assistente virtuale basato su Intelligenza artificiale, attivo 24 ore su 24, e uno screening audiometrico effettuabile direttamente dallo smartphone. L’obiettivo è duplice: migliorare la qualità del servizio clienti e promuovere una maggiore consapevolezza dell’importanza della prevenzione uditiva, riducendo le barriere all’accesso ai controlli iniziali.
Il lancio avviene in un contesto complesso per il settore. Nei primi nove mesi dell’anno Amplifon ha registrato una crescita dei ricavi dell’1,8% a cambi costanti, ma il titolo ha risentito dell’andamento negativo che ha colpito in Borsa i principali operatori del comparto. Lo sguardo di lungo periodo restituisce però un quadro diverso: negli ultimi dieci anni il titolo Amplifon ha segnato un incremento dell’80% (ieri +0,7% fra i migliori cinque del Ftse Mib), al netto dei dividendi distribuiti, che complessivamente sfiorano i 450 milioni di euro. Nello stesso arco temporale, tra il 2014 e il 2024, il gruppo ha triplicato i ricavi, arrivando a circa 2,4 miliardi di euro.
Il progetto della nuova app è stato sviluppato da Amplifon X, la divisione di ricerca e sviluppo del gruppo. Con sedi a Milano e Napoli, Amplifon X riunisce circa 50 professionisti tra sviluppatori, data analyst e designer, impegnati nella creazione di soluzioni digitali avanzate per l’audiologia. L’Intelligenza artificiale rappresenta uno dei pilastri di questa strategia, applicata non solo alla diagnosi e al supporto al paziente, ma anche alla gestione delle esigenze quotidiane legate all’uso degli apparecchi acustici.
Accanto alla tecnologia, resta centrale il ruolo degli audioprotesisti, figure chiave per Amplifon. Le competenze tecniche ed empatiche degli specialisti della salute dell’udito continuano a essere considerate un elemento insostituibile del modello di servizio, con il digitale pensato come strumento di supporto e integrazione, non come sostituzione del rapporto umano.
Fondato a Milano nel 1950, il gruppo Amplifon opera oggi in 26 Paesi con oltre 10.000 centri audiologici, impiegando più di 20.000 persone. La prevenzione e l’assistenza rappresentano i cardini della strategia industriale, e la nuova Amplifon App si inserisce in questa visione come leva per ampliare l’accesso ai servizi e rafforzare la relazione con i pazienti lungo tutto il ciclo di cura.
Il rilascio della nuova applicazione è avvenuto in modo progressivo. Dopo il debutto in Francia, Nuova Zelanda, Portogallo e Stati Uniti, la app è stata estesa ad Australia, Belgio, Germania, Italia, Olanda, Regno Unito, Spagna e Svizzera, con l’obiettivo di garantire un’esperienza digitale omogenea nei principali mercati del gruppo.
Ma l’innovazione digitale di Amplifon non si ferma all’app. Negli ultimi anni il gruppo ha sviluppato soluzioni come gli audiometri digitali OtoPad e OtoKiosk, certificati Ce e Fda, e i nuovi apparecchi Ampli-Mini Ai, miniaturizzati, ricaricabili e in grado di adattarsi in tempo reale all’ambiente sonoro. Entro la fine del 2025 è inoltre previsto il lancio in Cina di Amplifon Product Experience (Ape), la linea di prodotti a marchio Amplifon già introdotta in Argentina e Cile e oggi presente in 15 dei 26 Paesi in cui il gruppo opera.
Già per Natale il gruppo aveva lanciato la speciale campagna globale The Wish (Il regalo perfetto) Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, oggi nel mondo circa 1,5 miliardi di persone convivono con una forma di perdita uditiva (o ipoacusia) e il loro numero è destinato a salire a 2,5 miliardi nel 2050.
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Francesco Borgonovo, Gianluca Zanella e Luigi Grimaldi fanno il punto sul caso Garlasco: tra nuove indagini, DNA, impronte e filoni paralleli, l’inchiesta si muove ormai su più livelli. Un’analisi rigorosa per capire a che punto siamo, cosa è cambiato davvero e quali nodi restano ancora da sciogliere.
Ansa
Ieri abbiamo raccontato che ha intestati circa 90 immobili acquistati alle aste giudiziarie senza dover accendere mutui. Ora La Verità è in grado di svelare che Abu Rawwa per operare ha aperto un’agenzia immobiliare e investe insieme a un giovane palestinese che appartiene a una famiglia molto religiosa e molto attiva nella difesa della causa palestinese. Ben 12 dei 90 immobili di cui è diventato proprietario per via giudiziaria Abu Rawwa, infatti, sono cointestati (al 50%) con Osama Qasim. Otto sono appartamenti. Alloggi residenziali inseriti nello stesso stabile, con metrature diverse e distribuiti su più piani. Blocchi compatti di unità abitative spalmati su tre strade dello stesso comune della provincia di Reggio Emilia: Castellarano.
Il resto delle proprietà non è abitativo. Ci sono due locali di servizio: accessori funzionali alle case. Gli ultimi due immobili sono strutture non ancora definite, volumi ampi, uno dei quali particolarmente esteso: 603 metri quadri. Entrambi i locali non sono pronti per essere abitati, né sono destinati a un uso immediato. Sono spazi da completare o da trasformare. Un’operazione da immobiliaristi.
Abu Rawwa e Qasim compaiono in visure camerali diverse. Il primo è amministratore unico e socio al 100% dell’Immobiliare My home srls, impresa costituita il 6 dicembre 2023 e iscritta al Registro imprese di Modena il 13 dicembre di quello stesso anno. Capitale sociale da 2.000 euro. Attività dichiarata: «Compravendita di beni immobili effettuata su beni propri», con una specificazione ampia che comprende edifici residenziali, non residenziali, strutture commerciali e terreni. La sede legale è a Sassuolo, in circonvallazione Nord Est. Un solo addetto risultante dai dati Inps.
Osama Qasim, nato a Sassuolo il 3 febbraio 1993, è invece amministratore unico della Qasim srls, società costituita il 24 maggio 2022 con capitale sociale da 3.000 euro. Anche qui l’attività prevalente è immobiliare: «Compravendita di beni immobili effettuata su beni propri». La sede è sempre a Sassuolo, in circonvallazione Nord Est, ma il civico è differente. I soci sono tre: Osama (che è il legale rappresentante e nel frattempo gestisce anche una società di ristorazione a Modena) detiene il 20%, Khawla Ghannam (60 anni), la mamma, il 60%, e Zahi Qasim (62 anni), il papà, il 20%. Un nucleo familiare di cui si sono interessati, negli anni, numerosi giornalisti ma anche la polizia. Su Internet si trova ancora un articolo dell’Herald tribune sulla famiglia Qasim, ripreso in Italia dal Secolo XIX, proprio il giornale di Genova. Risale a 20 anni fa, ma è molto interessante. Anche perché ci racconta che la famiglia di Osama è molto religiosa e ha ricevuto nel tempo anche la visita della polizia italiana dopo alcuni attentati dei tagliagole islamici.
Il padre, Zahi, classe 1963, all’epoca era caposquadra in fabbrica a Sassuolo ed era già «uno degli esponenti più impegnati della comunità». Sua moglie, Khawla, era un’insegnante che «parla fluentemente tre lingue». Osama, all’epoca era un bambino di 12 anni. Il cronista scriveva che il fratello, «l’esuberante Ali, un anno, adora gattonare sulle piastrelle della sala, decorata con illustrazioni di proverbi tratti dal Corano». I Qasim non offrirono né cibo, né bevande al giornalista «perché per loro era in corso il Ramadan». «Ci piacerebbe molto essere italiani», aveva dichiarato Ghannam, con indosso «un hijab color porpora». Ed ecco il passaggio più interessante dell’articolo: «La loro vita, sebbene economicamente agiata, è costellata da continui episodi che ricordano loro che non sono pienamente integrati in un Paese che definiscono casa da 20 anni. A seguito degli attentati a Londra di questa estate (del 2005, ndr), Qasim è stato più volte interrogato dalla polizia che gli ha anche perquisito la casa. L’uomo afferma anche che il suo cellulare è sotto controllo. Quando ha invitato a cena alcuni amici di Torino in occasione del Ramadan, la polizia lo ha chiamato per chiedergli chi fossero quelle persone e l’hanno rimproverato di non aver comunicato che avrebbe avuto ospiti. I tentativi di Qasim di comprare un edificio per aprirvi una scuola islamica domenicale sono stati ostacolati per quattro anni dalle istituzioni locali che ritenevano che il luogo non fosse idoneo per via della mancanza di spazi da adibire al parcheggio». Zahi disse: «È chiaro che tutto questo mi dà fastidio: succede perché sono musulmano e non accadrebbe lo stesso se fossi europeo».
Ricordiamo che all’epoca un islamico sospettato di aver preso parte agli attentati di Londra è stato catturato in Italia, dove si era rifugiato. Ghannam ha spiegato che l’inserimento non è stato sempre facile e che «suo figlio è stato spesso preso in giro per il suo nome, Osama, soprattutto dopo gli attentati dell’11 settembre». Quando i Qasim si trasferirono nel loro attuale appartamento, «i vicini italiani si mostrarono freddi e ostili. Tuttavia, il loro atteggiamento è migliorato nel tempo». Zahi ha anche dichiarato di «esser sempre stato trattato con rispetto a lavoro, e gli è stato persino consentito di pregare cinque volte al giorno».
L’articolo contiene anche un’altra notizia interessante: «La famiglia ha una casa a Ramallah e torna laggiù durante le vacanze estive». Anche se la famiglia non si sentiva sicura in Israele: «Ci sono aspetti dell’Islam che vanno bene in Palestina, ma non qui», ha concesso l’uomo con il cronista. Ha anche detto di credere che «gli arresti e il coprifuoco siano soltanto serviti ad aggravare la situazione in Francia». E ha spiegato che «è sbagliato ricorrere alla polizia». Il motivo? «Quando parli con gli altri li fai sentire parte della società. Se li fai sentire emarginati, prima o poi si ribelleranno». Alla fine l’intervistato aveva consegnato al cronista il motto che ripeteva al figlio Osama: «Ignora le offese, lavora più sodo dei tuoi compagni. In fondo i palestinesi sono abituati a essere controllati: pensa solo di essere a Ramallah». Papà Qasim è stato un grande animatore del centro «al Medina» (dell’Associazione della comunità islamica di Sassuolo), fondato nel 1993 da un gruppo di migranti nordafricani, chiuso e poi riaperto varie volte. Qui si riunivano per pregare a turni sino a 600 fedeli per volta. Nel 2018 Zahi, a Casalgrande, è stato tra i promotori del Villaggio islamico, che l’associazione islamica di Sassuolo voleva tirare su nell’area di un ex salumificio. E fu proprio Zahi, col piglio dell’immobiliarista, a spiegare: «Abbiamo comprato l’area per un guadagno, come qualsiasi altro cittadino. A Casalgrande, Veggia e Villalunga abbiamo comprato all’asta circa 6-7 appartamenti».
L’idea di acquistare dai tribunali qualche anno dopo è stata fatta propria dal figlio Osama e da Abu Rawwa. Le indagini della Procura di Genova dovranno stabilire se in questo shopping compulsivo c’entri Hamas.
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