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2021-04-12
La guerra Anglo-irachena del 1941: l'Italia, la Germania e l'Islam radicale
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Guerrieri tribali iracheni all'assalto di un blindato inglese nel maggio 1941 (Getty Images)
I protagonisti, i tempi, le cause
Il Regno dell'Iraq, precedentemente regione mesopotamica, era stato creato dopo la sconfitta dell'Impero Ottomano nella Grande Guerra. La Lega delle Nazioni ne fece un Mandato Britannico, come la vicina Palestina dopo la sollevazione della popolazione araba sobillata dagli ex generali ottomani contro l'occupazione inglese. Il Mandato durò fino al 1932, quando l'Iraq ottenne un'indipendenza fortemente condizionata dagli interessi di Londra che dettarono le condizioni con un trattato bilaterale nel 1930 il quale garantiva l'accesso alle fonti petrolifere e alla presenza militare inglese con due basi della Royal Air Force. Il trattato garantiva inoltre il transito senza limitazioni delle truppe britanniche nella tratta strategica tra l'Egitto, la Giordania verso il Golfo Persico e quindi l'India britannica.
Il Regno dell'Iraq ebbe negli anni trenta una vita molto turbolenta. I termini del trattato risvegliarono le forze nazionaliste arabe con una pressione continua sul debole governo-fantoccio imposto da Londra e guidato da Nuri Al-Said. Le spinte antibritanniche venivano alimentate anche dalla Palestina, anch'essa territorio sottoposto all'amministrazione di Londra e teatro di una importante immigrazione ebraica stabilita anni prima dal rapporto Balfour. Il forte aumento degli ebrei in Palestina generò un violenta reazione da parte dei nazionalisti arabi che sfociò in due gravi rivolte nel 1936 e 1939, alla vigilia della guerra. I fatti di Palestina influenzarono molto da vicino la politica irachena, caratterizzata da forte instabilità e dalla presenza malsopportata degli inglesi. Allo scoppio della guerra, l'Iraq romperà le relazioni diplomatiche con Berlino come imposto da Londra, lasciando tuttavia aperte le relazioni con l'Italia. Sarà proprio attorno alla rappresentanza diplomatica italiana che andrà sviluppandosi il cambio di fronte sfociato poco più tardi in un colpo di stato a Baghdad. Epicentro delle trame politiche antibritanniche fu un influente personaggio e guida religiosa, il Gran Muftì di Gerusalemme Amin Al-Husayni. Già punto di riferimento delle rivolte antibritanniche di Palestina negli anni dell'immigrazione ebraica. Il membro dell'influente famiglia palestinese era stato un precursore dell'applicazione della Jihad, la guerra santa, e nel 1929 fu fra i sobillatori dell'orribile massacro di Hebron in Cisgiordania nella quale furono trucidati 67 coloni ebrei, bambini compresi. L'anno precedente aveva aderito alla lega dei nazionalisti arabi,chiamata i "Fratelli musulmani". Dopo i fatti di Palestina fu raggiunto da un mandato di cattura britannico e fuggì in Libano, dove rimase fino al 1939 quando si trasferì a Baghdad negli anni della maggiore instabilità politica per il paese. Durante il soggiorno in Libano Husayni mantenne contatti costanti con i tedeschi e in particolare modo tramite l'allora console generale germanico, il braccio destro di Himmler e SS-Obergruppenfuhrer Karl Wolff per stendere i piani di una stretta alleanza tra il Terzo Reich e i nazionalisti arabi. A questo punto la presenza del Muftì fu determinante per i rivolgimenti politici che culminarono con il colpo di stato del 1941, portato a termine da quattro generali dell'esercito iracheno (noti come il "quadrato d'oro") favorevoli all'Asse. Il già debolissimo governo di Tana Al-Hashimi fu destituito con la forza e sostituito dal regime di Rashid Ali Al Gaylani, un avvocato dal forte passato nazionalista, già leader del partito islamico iracheno "Fratellanza Nazionale". Dopo la sua presa del potere Rachid Ali radunò tutte le forze filo-Asse attorno all'ambasciata italiana a Baghdad, dichiarando contemporaneamente l'incostituzionalità del trattato Anglo-iracheno del 1930 e iniziando la mobilitazione delle classi dell'esercito nazionale. La prova della forte influenza del Muftì Al-Husayni durante la preparazione della guerra contro gli inglesi ci è giunta dalle memorie storiche del Regio Esercito per l'anno 1941. Il ruolo centrale italiano nella fase immediatamente precedente le ostilità si evince dalla fitta corrispondenza tra il rappresentante diplomatico italiano Gino Butti e il Comando Supremo del Regio Esercito, nelle quali il diplomatico italiano si fece portavoce delle pressanti richieste di aiuti militari da parte di Rachid Ali, timoroso di un rapido colpo di mano britannico per riportare l'Iraq sotto il suo controllo diretto. A tutte le sedute svoltesi nell'Ambasciata di Baghdad fu presente Al-Husayni, il quale riportò l'urgenza di una stretta collaborazione con la Germania nazista per un disegno politico che suona di grande attualità ai giorni nostri: la creazione negli ex mandati britannici (con la Siria alleata di Vichy) di un grande ed unico Stato Islamico, che prevedeva naturalmente lo sterminio totale degli ebrei.
Aprile-maggio 1941. Le ostilità
Mentre i colloqui avvenivano, l'esercito di Rashid Ali mosse alla volta della base della Royal Air Force di Al-Habbaniya, cercando di vietarne l'attività di volo con la scusa di un'esercitazione irachena in corso.Il Vice-maresciallo dell'Aria Smart, comandante della base nella quale si trovavano circa 1.000 militari e alcune migliaia di civili rifugiati per paura dei disordini, respinse fermamente la richiesta e considerò ogni impedimento all'attività della base come un atto di guerra.
La guerra Anglo irachena era formalmente iniziata, e fu un conflitto da un punto di vista degli armamenti di assoluto secondo piano. La base della RAF era infatti una semplice scuola di volo, dove erano presenti numerosi allievi tra cui un contingente di aspiranti piloti ellenici. I velivoli erano antiquati, tranne un solo bombardiere medio Bristol Blenheim. Per il resto erano biplani del periodo tra le due guerre. L'aviazione irachena possedeva circa 110 velivoli, ma non tutti in condizioni di poter combattere. Alle forniture inglesi del periodo del mandato si erano aggiunti velivoli italiani, come i cacciabombardieri Breda Ba.65 e i Savoia Marchetti S.79 in versione bimotore.
La resistenza ad oltranza della base Raf permise agli inglesi riorganizzare le forze in campo, soprattutto contando sull'arrivo di contingenti dalla Palestina attraverso la Transgiordania ma soprattutto di un corpo di spedizione meccanizzato formato da "Gurkha" indiani. Nonostante la superiorità numerica e la presenza di artiglieria irachena, la base di Al-Habbaniya fu in grado di sferrare attacchi non senza importanti sacrifici con la perdita di 29 velivoli e sortite continue (anche 6 per ogni aereo al giorno). L'arrivo dalle basi palestinesi di due bombardieri medi Vickers Wellington fecero respirare gli assediati mentre l'aeroporto di Baghdad dove era concentrata la maggior parte della forza aerea irachena fu pesantemente colpita con la perdita di numerosi aerei al suolo.
Soltanto ai primi di maggio del 1941 l'Italia e la Germania si decisero ad inviare rinforzi, limitandosi alla sola presenza aeronautica. La Luftwaffe inviò in territorio iracheno e nelle basi siriane alleate cacciabombardieri di "seconda linea", vista la carenza di velivoli a causa dell'imminente sforzo in Russia. Anche la Regia Aeronautica non poté fare molto di più, inviando 12 biplani Fiat C.R.42, un bombardiere S.79 e un aereo da trasporto S.81. Le forze aeronautiche dell'Asse furono rinominate rispettivamente "Fliegerfuhrer Iraq" e "Squadriglia Irak", formata da elementi del 155° Gruppo Caccia di Roma Ciampino. Per un momento, parve di tornare alla Guerra Civile Spagnola perché gli aerei tedeschi ed italiani furono rapidamente ridipinti nella livrea dell'aviazione irachena e si stabilirono in parte nelle basi settentrionali del Paese sotto il controllo iracheno (Kirkuk, Mosul) e in parte negli aeroporti della vicina Siria alleata di Vichy. L'attività delle forze aeree dell'Asse fu un fuoco fatuo, perché la resistenza della base britannica e il contemporaneo sbarco di contingenti inglesi a Bassora resero sempre più difficile il tentativo di offensiva irachena, le cui truppe mostravano una scarsa combattività e pochissima preparazione. L'arrivo del contingente dei "Gurkha" dall'India diede una svolta definitiva alle sorti del conflitto, mentre le forze aeree tedesche furono subito localizzate anche grazie ad una "falla" nella sicurezza delle comunicazioni riservate dell'Ambasciata italiana che erano state intercettate e decifrate dagli Inglesi. Molti furono i velivoli tedeschi colti al suolo dai bombardamenti dei Wellington della RAF, mentre i Fiat C.R. 42 nei pochi giorni di combattimento in terra irachena furono in grado di ingaggiare battaglia con alcuni biplani Gloster Gladiator, avendo ragione su due di questi a fronte della perdita di un biplano italiano. Furono gli eventi internazionali a spingere gli alleati di Rashid Ali a lasciare la terra dell'antica Mesopotamia. Nel maggio 1941 l'Italia perdeva l'Etiopia, dopo aver già capitolato nel mese precedente nella colonia di Eritrea. I Tedeschi erano dovuti intervenire nei Balcani per impedire l'avanzata greca supportata dagli Inglesi e si stavano preparando all'avventura in Russia. Per l'Iraq non c'erano più risorse. Prima di perdere ulteriori mezzi, la "Squadriglia Irak" fu richiamata a Rodi e qui utilizzata nella difesa dell'isola.
La capitale Baghdad, ormai assediata, fu teatro di un terribile pogrom portato a termine dai fedelissimi di Al-Husayni e Rachid Ali. Il 1 giugno 1941 la minoranza ebraica della capitale, già sottoposta a pesantissime restrizioni da Rachid Ali, fu massacrata da una folla sobillata dalla propaganda del Muftì durante il vuoto di potere che anticipò la riconquista britannica del Paese. il numero delle vittime non fu mai accertato, ma ricerche successive indicano un bilancio di circa 700 morti. La strage fu seguita da una polemica promossa dalle comunità ebraiche a causa dell'inspiegabile ritardo degli Inglesi nella conquista di Baghdad, giunti ormai a pochi chilometri dalla cintura della capitale. Rachid Ali Al-Gaylani fuggì inizialmente a Berlino dove Hitler lo riconobbe come unico reggente dell'Iraq, per poi trovare rifugio in Arabia Saudita. Per quanto riguardò l'ispiratore principale della jihad nazi-islamica, il Muftì Al-Husayni, fuggì prima in Persia con un passaporto italiano falso a nome di Giuseppe Rossi prima di passare per Bari e terminare la fuga a Berlino, dove proseguirà l'opera di propaganda del grande Stato Islamico, offrendo a Hitler la propria influenza nell'arruolamento delle Waffen-SS musulmane reclutate tra la popolazione di religione musulmana dei Balcani. La fama e l'influenza del capo religioso filonazista non terminarono dopo la guerra, anche perché le autorità britanniche sacrificarono il suo arresto quale criminale di guerra a causa della delicatissima situazione che si stava profilando in Palestina e che sfocerà nella prima guerra Arabo-Israeliana. Dopo aver mantenuto la sua influenza carismatica dai lunghi anni in esilio in Egitto, il precursore dell'integralismo islamico morirà a Beirut nel 1974.
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Ottant'anni fa, nelle terre dell'antica Mesopotamia, fu combattuta una guerra-lampo ormai pressoché dimenticata. Durò poco più di un mese, ma fu importante per le successive vittorie alleate a causa dell'importanza strategico-logistica di quel territorio. La "piccola guerra" alla quale parteciparono anche gli Italiani con un contingente della Regia Aeronautica, fu messa in secondo piano dalle potenze dell'Asse le quali erano massicciamente impegnate sui fronti balcanico e nordafricano mentre si profilava l'operazione "Barbarossa", la campagna tedesca contro l'Unione Sovietica. L'Italia dal canto suo faticava sul fronte greco-albanese ed era impegnata pesantemente nella difesa all'ultimo colpo dei territori coloniali di Libia e dell'Africa Orientale posti sotto attacco dalle forze britanniche. La guerra Anglo-irachena fu anche un momento fondamentale per comprendere i rapporti particolari tra il nazionalismo islamico e il Terzo Reich.I protagonisti, i tempi, le causeIl Regno dell'Iraq, precedentemente regione mesopotamica, era stato creato dopo la sconfitta dell'Impero Ottomano nella Grande Guerra. La Lega delle Nazioni ne fece un Mandato Britannico, come la vicina Palestina dopo la sollevazione della popolazione araba sobillata dagli ex generali ottomani contro l'occupazione inglese. Il Mandato durò fino al 1932, quando l'Iraq ottenne un'indipendenza fortemente condizionata dagli interessi di Londra che dettarono le condizioni con un trattato bilaterale nel 1930 il quale garantiva l'accesso alle fonti petrolifere e alla presenza militare inglese con due basi della Royal Air Force. Il trattato garantiva inoltre il transito senza limitazioni delle truppe britanniche nella tratta strategica tra l'Egitto, la Giordania verso il Golfo Persico e quindi l'India britannica.Il Regno dell'Iraq ebbe negli anni trenta una vita molto turbolenta. I termini del trattato risvegliarono le forze nazionaliste arabe con una pressione continua sul debole governo-fantoccio imposto da Londra e guidato da Nuri Al-Said. Le spinte antibritanniche venivano alimentate anche dalla Palestina, anch'essa territorio sottoposto all'amministrazione di Londra e teatro di una importante immigrazione ebraica stabilita anni prima dal rapporto Balfour. Il forte aumento degli ebrei in Palestina generò un violenta reazione da parte dei nazionalisti arabi che sfociò in due gravi rivolte nel 1936 e 1939, alla vigilia della guerra. I fatti di Palestina influenzarono molto da vicino la politica irachena, caratterizzata da forte instabilità e dalla presenza malsopportata degli inglesi. Allo scoppio della guerra, l'Iraq romperà le relazioni diplomatiche con Berlino come imposto da Londra, lasciando tuttavia aperte le relazioni con l'Italia. Sarà proprio attorno alla rappresentanza diplomatica italiana che andrà sviluppandosi il cambio di fronte sfociato poco più tardi in un colpo di stato a Baghdad. Epicentro delle trame politiche antibritanniche fu un influente personaggio e guida religiosa, il Gran Muftì di Gerusalemme Amin Al-Husayni. Già punto di riferimento delle rivolte antibritanniche di Palestina negli anni dell'immigrazione ebraica. Il membro dell'influente famiglia palestinese era stato un precursore dell'applicazione della Jihad, la guerra santa, e nel 1929 fu fra i sobillatori dell'orribile massacro di Hebron in Cisgiordania nella quale furono trucidati 67 coloni ebrei, bambini compresi. L'anno precedente aveva aderito alla lega dei nazionalisti arabi,chiamata i "Fratelli musulmani". Dopo i fatti di Palestina fu raggiunto da un mandato di cattura britannico e fuggì in Libano, dove rimase fino al 1939 quando si trasferì a Baghdad negli anni della maggiore instabilità politica per il paese. Durante il soggiorno in Libano Husayni mantenne contatti costanti con i tedeschi e in particolare modo tramite l'allora console generale germanico, il braccio destro di Himmler e SS-Obergruppenfuhrer Karl Wolff per stendere i piani di una stretta alleanza tra il Terzo Reich e i nazionalisti arabi. A questo punto la presenza del Muftì fu determinante per i rivolgimenti politici che culminarono con il colpo di stato del 1941, portato a termine da quattro generali dell'esercito iracheno (noti come il "quadrato d'oro") favorevoli all'Asse. Il già debolissimo governo di Tana Al-Hashimi fu destituito con la forza e sostituito dal regime di Rashid Ali Al Gaylani, un avvocato dal forte passato nazionalista, già leader del partito islamico iracheno "Fratellanza Nazionale". Dopo la sua presa del potere Rachid Ali radunò tutte le forze filo-Asse attorno all'ambasciata italiana a Baghdad, dichiarando contemporaneamente l'incostituzionalità del trattato Anglo-iracheno del 1930 e iniziando la mobilitazione delle classi dell'esercito nazionale. La prova della forte influenza del Muftì Al-Husayni durante la preparazione della guerra contro gli inglesi ci è giunta dalle memorie storiche del Regio Esercito per l'anno 1941. Il ruolo centrale italiano nella fase immediatamente precedente le ostilità si evince dalla fitta corrispondenza tra il rappresentante diplomatico italiano Gino Butti e il Comando Supremo del Regio Esercito, nelle quali il diplomatico italiano si fece portavoce delle pressanti richieste di aiuti militari da parte di Rachid Ali, timoroso di un rapido colpo di mano britannico per riportare l'Iraq sotto il suo controllo diretto. A tutte le sedute svoltesi nell'Ambasciata di Baghdad fu presente Al-Husayni, il quale riportò l'urgenza di una stretta collaborazione con la Germania nazista per un disegno politico che suona di grande attualità ai giorni nostri: la creazione negli ex mandati britannici (con la Siria alleata di Vichy) di un grande ed unico Stato Islamico, che prevedeva naturalmente lo sterminio totale degli ebrei.Aprile-maggio 1941. Le ostilitàMentre i colloqui avvenivano, l'esercito di Rashid Ali mosse alla volta della base della Royal Air Force di Al-Habbaniya, cercando di vietarne l'attività di volo con la scusa di un'esercitazione irachena in corso.Il Vice-maresciallo dell'Aria Smart, comandante della base nella quale si trovavano circa 1.000 militari e alcune migliaia di civili rifugiati per paura dei disordini, respinse fermamente la richiesta e considerò ogni impedimento all'attività della base come un atto di guerra. La guerra Anglo irachena era formalmente iniziata, e fu un conflitto da un punto di vista degli armamenti di assoluto secondo piano. La base della RAF era infatti una semplice scuola di volo, dove erano presenti numerosi allievi tra cui un contingente di aspiranti piloti ellenici. I velivoli erano antiquati, tranne un solo bombardiere medio Bristol Blenheim. Per il resto erano biplani del periodo tra le due guerre. L'aviazione irachena possedeva circa 110 velivoli, ma non tutti in condizioni di poter combattere. Alle forniture inglesi del periodo del mandato si erano aggiunti velivoli italiani, come i cacciabombardieri Breda Ba.65 e i Savoia Marchetti S.79 in versione bimotore.La resistenza ad oltranza della base Raf permise agli inglesi riorganizzare le forze in campo, soprattutto contando sull'arrivo di contingenti dalla Palestina attraverso la Transgiordania ma soprattutto di un corpo di spedizione meccanizzato formato da "Gurkha" indiani. Nonostante la superiorità numerica e la presenza di artiglieria irachena, la base di Al-Habbaniya fu in grado di sferrare attacchi non senza importanti sacrifici con la perdita di 29 velivoli e sortite continue (anche 6 per ogni aereo al giorno). L'arrivo dalle basi palestinesi di due bombardieri medi Vickers Wellington fecero respirare gli assediati mentre l'aeroporto di Baghdad dove era concentrata la maggior parte della forza aerea irachena fu pesantemente colpita con la perdita di numerosi aerei al suolo. Soltanto ai primi di maggio del 1941 l'Italia e la Germania si decisero ad inviare rinforzi, limitandosi alla sola presenza aeronautica. La Luftwaffe inviò in territorio iracheno e nelle basi siriane alleate cacciabombardieri di "seconda linea", vista la carenza di velivoli a causa dell'imminente sforzo in Russia. Anche la Regia Aeronautica non poté fare molto di più, inviando 12 biplani Fiat C.R.42, un bombardiere S.79 e un aereo da trasporto S.81. Le forze aeronautiche dell'Asse furono rinominate rispettivamente "Fliegerfuhrer Iraq" e "Squadriglia Irak", formata da elementi del 155° Gruppo Caccia di Roma Ciampino. Per un momento, parve di tornare alla Guerra Civile Spagnola perché gli aerei tedeschi ed italiani furono rapidamente ridipinti nella livrea dell'aviazione irachena e si stabilirono in parte nelle basi settentrionali del Paese sotto il controllo iracheno (Kirkuk, Mosul) e in parte negli aeroporti della vicina Siria alleata di Vichy. L'attività delle forze aeree dell'Asse fu un fuoco fatuo, perché la resistenza della base britannica e il contemporaneo sbarco di contingenti inglesi a Bassora resero sempre più difficile il tentativo di offensiva irachena, le cui truppe mostravano una scarsa combattività e pochissima preparazione. L'arrivo del contingente dei "Gurkha" dall'India diede una svolta definitiva alle sorti del conflitto, mentre le forze aeree tedesche furono subito localizzate anche grazie ad una "falla" nella sicurezza delle comunicazioni riservate dell'Ambasciata italiana che erano state intercettate e decifrate dagli Inglesi. Molti furono i velivoli tedeschi colti al suolo dai bombardamenti dei Wellington della RAF, mentre i Fiat C.R. 42 nei pochi giorni di combattimento in terra irachena furono in grado di ingaggiare battaglia con alcuni biplani Gloster Gladiator, avendo ragione su due di questi a fronte della perdita di un biplano italiano. Furono gli eventi internazionali a spingere gli alleati di Rashid Ali a lasciare la terra dell'antica Mesopotamia. Nel maggio 1941 l'Italia perdeva l'Etiopia, dopo aver già capitolato nel mese precedente nella colonia di Eritrea. I Tedeschi erano dovuti intervenire nei Balcani per impedire l'avanzata greca supportata dagli Inglesi e si stavano preparando all'avventura in Russia. Per l'Iraq non c'erano più risorse. Prima di perdere ulteriori mezzi, la "Squadriglia Irak" fu richiamata a Rodi e qui utilizzata nella difesa dell'isola.La capitale Baghdad, ormai assediata, fu teatro di un terribile pogrom portato a termine dai fedelissimi di Al-Husayni e Rachid Ali. Il 1 giugno 1941 la minoranza ebraica della capitale, già sottoposta a pesantissime restrizioni da Rachid Ali, fu massacrata da una folla sobillata dalla propaganda del Muftì durante il vuoto di potere che anticipò la riconquista britannica del Paese. il numero delle vittime non fu mai accertato, ma ricerche successive indicano un bilancio di circa 700 morti. La strage fu seguita da una polemica promossa dalle comunità ebraiche a causa dell'inspiegabile ritardo degli Inglesi nella conquista di Baghdad, giunti ormai a pochi chilometri dalla cintura della capitale. Rachid Ali Al-Gaylani fuggì inizialmente a Berlino dove Hitler lo riconobbe come unico reggente dell'Iraq, per poi trovare rifugio in Arabia Saudita. Per quanto riguardò l'ispiratore principale della jihad nazi-islamica, il Muftì Al-Husayni, fuggì prima in Persia con un passaporto italiano falso a nome di Giuseppe Rossi prima di passare per Bari e terminare la fuga a Berlino, dove proseguirà l'opera di propaganda del grande Stato Islamico, offrendo a Hitler la propria influenza nell'arruolamento delle Waffen-SS musulmane reclutate tra la popolazione di religione musulmana dei Balcani. La fama e l'influenza del capo religioso filonazista non terminarono dopo la guerra, anche perché le autorità britanniche sacrificarono il suo arresto quale criminale di guerra a causa della delicatissima situazione che si stava profilando in Palestina e che sfocerà nella prima guerra Arabo-Israeliana. Dopo aver mantenuto la sua influenza carismatica dai lunghi anni in esilio in Egitto, il precursore dell'integralismo islamico morirà a Beirut nel 1974.
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Di fronte a questa ondata di insicurezza, i labour propongono più telecamere nelle città più importanti del Paese, applicando così, in modo massiccio, il riconoscimento facciale dei criminali. Oltre 45 milioni di cittadini verranno riconosciuti attraverso la videosorveglianza. Secondo la proposta avanzata dai labour, la polizia potrà infatti utilizzare ogni tipo di videocamera. Non solo quelle pubbliche, ma anche quelle presenti sulle auto, le cosiddette dashcam, e pure quelle dei campanelli dei privati cittadini. Come riporta il Telegraph, «le proposte sono accompagnate da un’iniziativa volta a far sì che la polizia installi telecamere di riconoscimento facciale “live” che scansionino i sospetti ricercati nei punti caldi della criminalità in Inghilterra e in Galles. Anche altri enti pubblici, oltre alla polizia, e aziende private, come i rivenditori, potrebbero essere autorizzati a utilizzare la tecnologia di riconoscimento facciale nell’ambito del nuovo quadro giuridico».
Il motivo, almeno nelle intenzioni, è certamente nobile, come sempre in questi casi. E la paura è tanta. Eppure questa soluzione pone importanti interrogativi legati alla libertà della persone e, soprattutto, alla loro privacy. C’è infatti già un modello simile ed è quello applicato in Cina. Da tempo infatti Pechino utilizza le videocamere per controllare la popolazione in ogni suo minimo gesto. Dagli attraversamenti pedonali ai comportamenti più privati. E premia (oppure punisce) il singolo cittadino in base ad ogni sua singola azione. Si tratta del cosiddetto credito sociale, che non ha a che fare unicamente con la liquidità dei cittadini, ma anche con i loro comportamenti, le loro condanne giudiziarie, le violazioni amministrative gravi e i loro comportamenti più o meno affidabili.
Quella che sembrava una distopia lì è diventata una realtà. Del resto anche in Italia, durante il Covid, è stato applicato qualcosa di simile con il Green Pass. Eri un bravo cittadino - e quindi potevi accedere a tutti i servizi - solamente se ti vaccinavi, altrimenti venivi punito: non potevi mangiare al chiuso, anche se era inverno, oppure prendere i mezzi pubblici.
Per l’avvocato Silkie Carlo, a capo dell’organizzazione non governativa per i diritti civili Big Brother, «ogni ricerca in questa raccolta di nostre foto personali sottopone milioni di cittadini innocenti a un controllo di polizia senza la nostra conoscenza o il nostro consenso. Il governo di Sir Keir Starmer si sta impegnando in violazioni storiche della privacy dei britannici, che ci si aspetterebbe di vedere in Cina, ma non in una democrazia». Ed è proprio quello che sta accadendo nel Regno Unito e che può accadere anche da noi. Il sistema cinese, poi, sta potenziando ulteriormente le proprie capacità. Secondo uno studio pubblicato dall’Australian strategic policy institute, Pechino sta potenziando ulteriormente la sua rete di controllo sulla cittadinanza sfruttando l’intelligenza artificiale, soprattutto per quanto riguarda la censura online. Un pericolo non solo per i cinesi, ma anche per i Paesi occidentali visto che Pechino «è già il maggiore esportatore mondiale di tecnologie di sorveglianza basate sull’intelligenza artificiale». Come a dire: ciò che stanno sviluppando lì, arriverà anche da noi. E allora non saranno solamente i nostri Paesi a controllare le nostre azioni ma, in modo indiretto, anche Pechino.
C’è una frase di Benjamin Franklin che viene ripresa in Captain America e che racconta bene quest’ansia da controllo. Un’ansia che nasce dalla paura, spesso provocata da politiche fallaci. «Baratteranno la loro libertà per un po’ di sicurezza». Come sta succedendo nel Regno Unito, dopo anni di accoglienza indiscriminata. O come è successo anhe in Italia durante il Covid. Per anni, ci siamo lasciati intimorire, cedendo libertà e vita. Oggi lo scenario è peggiore, visto l’uso massiccio della tecnologia, che rende i Paesi occidentali sempre più simili alla Cina. E non è una bella notizia.
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Il ministro ha ricordato che il concorrente europeo Fcas (Future combat aircraft system) avanza a ritmo troppo lento per disaccordi tra Airbus (Francia-Germania) e Dassault (Francia) riguardanti i diritti e la titolarità delle tecnologie. «È fallito il programma franco-tedesco […], probabilmente la Germania potrebbe entrare a far parte in futuro di questo progetto [...]. Abbiamo avuto richieste da Canada, Arabia Saudita, e penso che l’Australia possa essere interessata. Più nazioni salgono più aumenta la massa critica che puoi investire e meno costerà ogni esemplare». Tutto vero, rimangono però perplessità su un possibile coinvolgimento dei sauditi per due ragioni. La prima: l’Arabia sta incrementando i rapporti industriali militari con la Cina, che così avrebbe accesso ai segreti del nuovo caccia. La seconda: l’Arabia Saudita aveva finanziato anche altri progetti e tra questi persino uno con la Turchia, nazione che, dopo essere stata espulsa dal programma F-35 durante il primo mandato presidenziale di Trump a causa dell’acquisto dei missili russi S-400, ora sta cercando di rientrarci trovando aperture dalla Casa Bianca. Anche perché lo stesso Trump ha risposto in modo possibilista alla richiesta di Riad di poter acquisire lo stesso caccia nonostante gli avvertimenti del Pentagono sulla presenza cinese.
Per l’Italia, sede della fabbrica Faco di Cameri (Novara) che gli F-35 li assembla, con la previsione di costruire parti del Gcap a Torino Caselle (dove oggi si fanno quelle degli Eurofighter Typhoon), significherebbe creare una ricaduta industriale per qualche decennio. Ma dall’altra parte delle Alpi la situazione Fcas è complicata: un incontro sul futuro caccia che si sarebbe dovuto tenere in ottobre è stato rinviato per i troppi ostacoli insorti nella proprietà intellettuale del progetto. Se dovesse fallire, Berlino potrebbe essere colpita molto più duramente di Parigi. Questo perché la Francia, con Dassault, avrebbe la capacità tecnica di portare avanti da sola il programma, come del resto ha fatto 30 anni fa abbandonando l’Eurofighter per fare il Rafale. Ma l’impegno finanziario sarebbe enorme. Non a caso il Ceo di Dassault, Eric Trappier, ha insistito sul fatto che, se l’azienda non verrà nominata «leader indiscusso» del programma, lo Fcas potrebbe fallire. Il vantaggio su Airbus è evidente: Dassault potrebbe aggiornare ancora i Rafale passando dalla versione F5 a una possibile F6 e farli durare fino al 2060, ovvero due decenni dalla prevista entrata in servizio del nostro Gcap. Ma se Berlino dovesse abbandonare il progetto, non è scontata l’adesione al Gcap come partner industriale, mentre resterebbe un possibile cliente. Non a caso i tedeschi avrebbero già chiesto di poter assumere lo status di osservatori del programma. Senza Fcas anche la Spagna si troverebbe davanti decisioni difficili: in agosto Madrid aveva dichiarato che non avrebbe acquistato gli F-35 ma gli Eurofighter Typhoon e poi i caccia Fcas. Un mese dopo il primo ministro Pedro Sánchez espresse solidarietà alla Germania in relazione alla controversia tra Airbus e Dassault. Dove però hanno le idee chiare: sarebbe un suicidio industriale condividere la tecnologia e l’esperienza maturata con i Rafale, creata da zero con soldi francesi, impiegata con l’aviazione francese e già esportata con successo in India, Grecia ed Emirati arabi.
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Guido Crosetto (Ansa)
Tornando alla leva, «mi consente», aggiunge Crosetto, «di avere un bacino formato che, in caso di crisi o anche calamità naturali, sia già pronto per intervenire e non sono solo professionalità militari. Non c’è una sola soluzione, vanno cambiati anche i requisiti: per la parte combat, ad esempio, servono requisiti fisici diversi rispetto alla parte cyber. Si tratta di un cambio di regole epocale, che dobbiamo condividere con il Parlamento». Crosetto immagina in sostanza un bacino di «riservisti» pronti a intervenire in caso ovviamente di un conflitto, ma anche di catastrofi naturali o comunque situazioni di emergenza. Va precisato che, per procedere con questo disegno, occorre prima di tutto superare la legge 244 del 2012, che ha ridotto il personale militare delle forze armate da 190.000 a 150.000 unità e il personale civile da 30.000 a 20.000. «La 244 va buttata via», sottolinea per l’appunto Crosetto, «perché costruita in tempi diversi e vanno aumentate le forze armate, la qualità, utilizzando professionalità che si trovano nel mercato».
Il progetto di Crosetto sembra in contrasto con quanto proposto pochi giorni fa dal leader della Lega e vicepremier Matteo Salvini: «Sulla leva», ha detto Salvini, «ci sono proposte della Lega ferme da anni, non per fare il militare come me nel '95. Io dico sei mesi per tutti, ragazzi e ragazze, non per imparare a sparare ma per il pronto soccorso, la protezione civile, il salvataggio in mare, lo spegnimento degli incendi, il volontariato e la donazione del sangue. Sei mesi dedicati alla comunità per tutte le ragazze e i ragazzi che siano una grande forma di educazione civica. Non lo farei volontario ma per tutti». Intanto, Crosetto lancia sul tavolo un altro tema: «Serve aumentare le forze armate professionali», dice il ministro della Difesa, «e in questo senso ho detto più volte che l’operazione Strade sicure andava lentamente riaffidata alle forze di polizia». Su questo punto è prevedibile un attrito con Salvini, considerato che la Lega ha più volte sottolineato di immaginare che le spese militari vadano anche in direzione della sicurezza interna. L’operazione Strade sicure è il più chiaro esempio dell’utilizzo delle forze armate per la sicurezza interna. Condotta dall’Esercito italiano ininterrottamente dal 4 agosto 2008, l’operazione Strade sicure viene messa in campo attraverso l’impiego di un contingente di personale militare delle Forze armate che agisce con le funzioni di agente di pubblica sicurezza a difesa della collettività, in concorso alle Forze di Polizia, per il presidio del territorio e delle principali aree metropolitane e la vigilanza dei punti sensibili. Tale operazione, che coinvolge circa 6.600 militari, è, a tutt'oggi, l’impegno più oneroso della Forza armata in termini di uomini, mezzi e materiali.
Alle parole, come sempre, seguiranno i fatti: vedremo quale sarà il punto di equilibrio che verrà raggiunto nel centrodestra su questi aspetti. Sul versante delle opposizioni, il M5s chiede maggiore trasparenza: «Abbiamo sottoposto al ministro Crosetto un problema di democrazia e trasparenza», scrivono in una nota i capigruppo pentastellati nelle commissioni Difesa di Camera e Senato, Arnaldo Lomuti e Bruno Marton, «il problema della segretezza dei target capacitivi concordati con la Nato sulla base dei quali la Difesa porta avanti la sua corsa al riarmo. Non è corretto che la Nato chieda al nostro Paese di spendere cifre folli senza che il Parlamento, che dovrebbe controllare queste spese, conosca quali siano le esigenze che motivano e guidano queste richieste. Il ministro ha risposto, in buona sostanza, che l’accesso a queste informazioni è impossibile e che quelle date dalla Difesa sono più che sufficienti. Non per noi».
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