2024-12-31
L’Iran: «La Sala ha violato la legge islamica»
Il murale dedicato a Cecilia Sala firmato dallo street artist Drugi a Venafro (Ansa)
Formalizzate le accuse nei confronti della reporter arrestata il 19 dicembre. Ufficialmente Teheran non ha mai proposto soluzioni per il rilascio. Ma sottotraccia lascia intendere di essere disposta a uno «scambio di ostaggi» con l’uomo dei droni arrestato in Italia.L’Iran ufficialmente continua a fare melina sulla pelle della reporter Cecilia Sala, la podcaster di Chora Media e collaboratrice del Foglio detenuta dal 19 dicembre nel supercarcere di Evin a Teheran. Ieri l’apparato mediatico governativo iraniano ha ufficializzato l’arresto: Cecilia avrebbe «violato le leggi della Repubblica islamica dell’Iran». Parole del dipartimento generale dei Media esteri del ministero della Cultura e dell’orientamento islamico. È come se per l’arresto del 16 dicembre a Malpensa, su mandato Usa, dell’iraniano che avrebbe trafficato droni, Mohammad Abedini Najafabadi (che ha messo in tensione le relazioni tra i due Paesi, con l’Iran che ha protestato formalmente, accusando Italia e Stati Uniti di violazioni del diritto internazionale), il governo italiano avesse risposto che ha violato le leggi della Repubblica italiana. In sostanza prende sempre più corpo l’ipotesi che Cecilia più che una detenuta sia un ostaggio. Nonostante il tentativo mediatico iraniano di atteggiarsi a Paese attento ai protocolli internazionali: «L’arresto è stato eseguito secondo la normativa vigente e l’ambasciata italiana è stata informata. Le è stato garantito l’accesso consolare e il contatto telefonico con la famiglia». Nella coda del comunicato è spiegato che «è stato aperto un fascicolo sulla cittadina italiana» e che «sono attualmente in corso le indagini». Il suo arresto «è avvenuto in base alla normativa vigente» e per ulteriori dettagli bisognerà sperare che «la magistratura lo riterrà necessario». E se davvero durante l’incontro tra l’ambasciatrice italiana in Iran Paola Amadei (la stessa che ha incontrato in carcere Cecilia) e il viceministro degli Esteri con delega agli Affari politici Vahid Jalalzadeh, come ricostruito ieri dal Corriere della Sera, la giornalista è stata considerata come merce di scambio per evitare l’estradizione di Mr droni, tutto rientrerebbe senza conseguenze giudiziarie. Una teoria che conferma anche Kylie Moore Gilbert, la giurista australiana che dal settembre del 2018 al novembre 2020 è stata imprigionata a Evin con l’accusa di spionaggio: «L’Italia non ha alternative, non può estradare Abedini e deve trovare un accordo con l’Iran per far rilasciare Cecilia. È la cosa migliore da fare ora», ha dichiarato all’Ansa Moore Gilbert fu liberata dopo il rilascio di tre cittadini iraniani da parte della Thailandia. «Lo scambio di prigionieri», ha spiegato la giurista, «fu di fatto l’unica opzione nel mio caso ma anche nei casi dell’olandese Johann Floderus e del belga Olivier Vandecasteele». Poi ha fornito la sua idea sulla strategia iraniana: «Gli iraniani cercano proprio persone di alcune nazionalità perché hanno più valore, sono più utili per fare pressioni e cercare di ottenere ciò che vogliono. È successo a me ed è successo a Cecilia». Ma c’è un lato oscuro: «Cedere alle pressioni iraniane», ricorda Moore Gilbert, significa «rafforzare il regime autoritario della Repubblica islamica il cui consenso viene accresciuto da questi risultati che vengono visti come successi politici». In sostanza «viene incentivata la diplomazia degli ostaggi che invece dovrebbe essere combattuta dall’Occidente». E infatti il ministro degli Esteri Antonio Tajani aveva subito respinto in modo netto l’idea che si era innescato un meccanismo da «diplomazia degli ostaggi». A Zona Bianca su Rete 4, però, Tajani ha confermato l’incontro tra l’ambasciatrice e il viceministro degli Esteri iraniano, «il quale», ha spiegato Tajani, «ha detto che ancora non è stato formulato il capo di imputazione, e appena la giustizia iraniana la comunicherà agli Esteri verrà detto per quali motivi Cecilia è stata arrestata». Infine ha aggiunto che «la trattativa è molto delicata, ecco perché abbiamo chiesto a tutti di non enfatizzare la situazione e di lasciare lavorare chi in questo momento è operativo, la nostra ambasciata e il nostro consolato, perché possano svolgere in modo migliore le loro attività». Infatti c’è un muro difficile da oltrepassare: i rapporti con Washington rendono difficile pensare che l’Italia possa negare l’estradizione. A meno che il fascicolo su Abedini non contenga aspetti di diritto che la Corte d’Appello di Milano potrebbe valutare a favore del detenuto. Di certo il difensore di Abedini, l’avvocato Alfredo De Francesco, ha presentato un’istanza per chiedere un affievolimento della misura detentiva, fornendo l’indicazione di un’abitazione in Italia nella quale eventualmente trasferire il detenuto ai domiciliari. Molto potrebbe dipendere anche dagli esiti del procedimento cautelare a carico di Mahdi Mohammad Sadeghi, il coindagato di Abedini arrestato in Massachusetts. Dopo essersi dichiarato non colpevole nel corso dell’udienza di convalida del suo arresto, giovedì prossimo tornerà in tribunale a Boston con una richiesta di tornare in libertà. Entrambi gli iraniani sono accusati di cospirazione per avere esportato componenti elettronici dagli Stati Uniti all’Iran tramite una triangolazione in Svizzera (Paese nel quale ha sede una delle loro società di sviluppo tecnologico) in violazione delle leggi statunitensi sul controllo delle esportazioni e sulle sanzioni. Abedini è accusato anche di aver fornito supporto materiale al Corpo delle Guardie della rivoluzione islamica, che per gli Usa è un’associazione terroristica. L’ultima ipotesi per riportare in Italia Cecilia è uno scambio triangolare con la liberazione di prigionieri iraniani in altri Paesi, che potrebbero tornare a Teheran solo dopo il rilascio della reporter. Un’operazione che potrebbe riuscire, però, anche in questo caso solo con l’intervento di Washington.
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