2025-06-18
Quei due impianti irraggiungibili anche dalle bombe americane
L'interno del sito nucleare iraniano di Fordow (Ansa/Iaea)
Per gli 007 Usa ci volevano tre anni prima di arrivare all’atomica. I raid cambiano poco.L’Iran è davvero sul punto di dotarsi di un’arma nucleare? «Abbiamo deciso di agire perché dovevamo farlo», ha detto domenica scorsa il premier israeliano Benjamin Netanyahu in merito all’operazione «Leone nascente». «Abbiamo visto uranio arricchito sufficiente per nove bombe, abbiamo colpito alla radice il programma di armamento nucleare dell’Iran», ha detto il capo di governo di Israele spiegando le ragioni dell’attacco. Fonti di intelligence israeliana hanno parlato invece di una intensa attività di produzione di plutonio nel reattore ad acqua pesante di Arak, colpito sabato scorso dai missili israeliani. Mentre le analisi internazionali si concentravano sull’arricchimento dell’uranio da parte dell’Iran, il plutonio di Arak rappresentava una minaccia assai più concreta, secondo l’intelligence di Tel Aviv.Il programma di armi nucleari dell’Iran, il Progetto Amad, fu sospeso dal governo iraniano nel 2003, secondo un rapporto dell’intelligence americana del 2007. Gran parte del personale dell’Amad fu trasferito ad un nuovo programma, l’Spnd, guidato da Mohsen Fakhrizadeh.Lo scorso marzo, il direttore dell’intelligence americana Tulsi Gabbard dichiarò che l’intelligence statunitense riteneva che l’Iran non stesse costruendo un’arma nucleare e che la Guida suprema, l’ayatollah Ali Khamenei, non avesse autorizzato la ripresa del programma di armi nucleari sospeso nel 2003. Un’opinione ripetuta ancora ieri da fonti interne all’intelligence riportate dalla Cnn, secondo cui Teheran non stava perseguendo attivamente la costruzione di un’arma nucleare, per la quale ci sarebbero voluti ancora tre anni di lavoro. Dopo gli attacchi, le stesse fonti (anonime) ritengono che Israele possa aver ritardato il programma nucleare iraniano solo di qualche mese.Sempre ieri è arrivato il parere di Donald Trump, il quale, rientrando precipitosamente a Washington dalla riunione del G7 in Canada, davanti ai giornalisti sull’Air Force One ha smentito quanto affermato a suo tempo da Gabbard: «Non mi interessa cosa ha detto. Io penso che vi fossero molto vicini», riferendosi alla possibilità dell’Iran di realizzare un’arma nucleare. Poco dopo le dichiarazioni di Trump, la Gabbard ha fatto sapere di essere allineata all’opinione del presidente.Ieri, intanto, il sito di arricchimento di uranio di Natanz è stato colpito ancora da Israele, ha riferito l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea): «Sulla base di una continua analisi delle immagini satellitari ad alta risoluzione raccolte dopo gli attacchi di venerdì, l’Aiea ha identificato ulteriori elementi che indicano impatti diretti sulle sale di arricchimento sotterranee di Natanz», ha dichiarato l’Agenzia.Con l’accordo sul nucleare stipulato nel 2015 dall’allora presidente degli Stati Uniti Barack Obama (Piano d’azione congiunto globale, Jcpoa), l’Iran accettò di limitare il numero di centrifughe e di contenere l’arricchimento dell’uranio a livelli al di sotto di quelli richiesti per produrre armi, in cambio di un allentamento delle sanzioni. Ma durante il suo primo mandato presidenziale nel 2018, Trump si ritirò dal Jcpoa. Parallelamente, l’Iran ha continuato a rinforzare le difese dei suoi siti nucleari. L’uccisione di Fakhrizadeh nel 2020 (forse per mano di Israele) ha disperso le competenze del programma Spnd su più personaggi e ha rallentato le attività. Ma la chiave del programma nucleare iraniano sta nel sito di Fordow, vicino alla città santa di Qom, dove ad una profondità di 90-100 metri un complesso di tunnel e sale scavate nella roccia custodisce fino a 3.000 centrifughe che arricchiscono l’uranio fino al 60%. Il sito è super protetto e soprattutto inaccessibile alle bombe israeliane. «Le dimensioni e la configurazione di questa struttura sono incompatibili con un programma pacifico», affermò Obama nel 2009, quando insieme all’allora presidente francese Nicolas Sarkozy e al primo ministro britannico Gordon Brown rivelò l’esistenza di Fordow. Teheran spiegò all’Aiea in una lettera datata ottobre 2009 che la decisione di costruire l’impianto sotterraneo era il risultato di «minacce di attacchi militari contro l’Iran».Recentemente sono state rilevate attività di scavo di un nuovo sito, più grande di Fordow, sempre vicino a Natanz e sempre a 80-100 metri di profondità. Nessuna bomba può arrivare sino a lì, neppure la superbomba americana nota come GBU-57/B, che può perforare «solo» 60 metri di roccia.Comunque stiano le cose, ora la situazione si è evoluta in una impasse logica. Se il potenziale nucleare iraniano è reale, Israele dovrà andare fino in fondo e distruggere anche le minime porzioni di quel potenziale, altrimenti l’operazione intera perderebbe di senso. Nascondere piccole quantità di uranio arricchito al 60% permetterebbe all’Iran di lavorare in segreto con un numero limitato di centrifughe.Se la possibilità concreta di dotarsi di un arsenale nucleare fosse invece per l’Iran ancora remota, l’attacco israeliano motiverebbe l’élite al potere in Iran a perseguire l’obiettivo con rinnovato slancio.Soltanto un cambio di regime a Teheran appare il fattore in grado di sciogliere questo nodo strategico. È dunque questo l’obiettivo connesso ai bombardamenti degli obiettivi strategici e al controllo dei cieli sopra l’Iran da parte di Israele. Netanyahu ha smentito che vi si stato un veto di Donald Trump all’uccisione dell’ayatollah Ali Khamenei, mentre un alto funzionario israeliano, secondo il Wall Street Journal, ha definito Khamenei «non off limits».Questo conferma che Tel Aviv ha adottato una versione israeliana della «dottrina Bush» sui regime change in Medio Oriente. I precedenti storici, però, non sono favorevoli.
Volodymyr Zelensky (Getty Images)