2020-05-13
Invito d’autore ai samaritani: «State a casa»
Ivan Illich (Sigfrid Casals:Cover:Getty Images)
Ivan Illich, ex sacerdote e pensatore non certo «di destra», si rivolse in un celebre discorso ai giovani americani intenzionati ad andare in missione in Paesi stranieri per soccorrere i bisognosi: «Non aiuterete nessuno con le vostre buone intenzioni».Secondo Gino Strada, Silvia Romano rappresenta «l'Italia migliore». «Chi sceglie di andare in posti pericolosi o dove ci sono grandi difficoltà solo per portare aiuto», ha detto il fondatore di Emergency, «merita tutto il nostro sostegno». Per Strada sostenere che la cooperante italiana avrebbe fatto meglio a restarsene a casa è un pensiero frutto di «ignoranza e indifferenza». «La solidarietà cambia la vita alle persone», sostiene il medico. «Anche a quelle che non conosciamo di persona e stanno in luoghi lontani». Roberto Saviano, invece, ha scritto che «fin quando esisterà qualcuno che rischia per andare a far giocare dei bambini dimenticati, non mi farà sentire complice l'appartenere al terribile genere umano». Quelli che abbiamo citato sono soltanto due fra i maggiori esempi di apologia del volontariato internazionale letti in questi giorni. Argomentazioni come quelle di Saviano e di Strada appaiono ogni volta che si discute di sequestri compiuti da bande di jihadisti o simili. Il tono è, più o meno, sempre lo stesso: si presenta il cooperante o il volontario rapito come qualcuno che ha messo in pericolo la propria vita per fare del bene. In questa prospettiva, il gesto di chi si reca in terra straniera - pur consapevole di rischiare la morte o il rapimento - è senz'altro ammirevole. Le argomentazioni che hanno a che fare con la politica o la strategia, di fronte all'esibizione di una superiore moralità, cadono miseramente. Si può ripetere fino allo sfinimento che, grazie al sequestro della ragazza milanese, i guerrieri islamici hanno ottenuto esattamente ciò che volevano, cioè un mucchio di soldi e tantissima pubblicità. Le ragioni del cuore restano comunque più forti: ci si commuove pensando che una fanciulla nel fiore degli anni abbia messo in gioco tutto pur di far sorridere un bambino. In realtà, le notizie che stanno emergendo a proposito di Africa Milele, la Ong che ha spedito Silvia in Kenya, già basterebbero a farci capire quanta superficialità ci sia nell'ambiente dei «benefattori». La Romano è stata lasciata da sola in un villaggio sperduto, e le condizioni in cui operava hanno fatto storcere il naso a molti. Freddie del Curatolo, che gestisce il giornale online Malindikenya.net, scrive che «una situazione come quella di Silvia, con il portone della casetta comune dei volontari sempre aperto a chiunque, con la completa solitudine degli ultimi giorni, attorniata da persone semplici, pure e innocue come quelle che abbiamo conosciuto nelle nostre assidue frequentazioni di Chakama, è difficile da approvare». E allora, a maggior ragione, vale la pena affrontare l'intera questione da un altro punto di vista: ma davvero chi s'impegna in «missioni umanitarie» all'estero va sempre a «fare del bene»? La risposta potrebbe sorprendere. Su questo argomento ha scritto pagine illuminanti Ivan Illich, ex sacerdote cattolico divenuto uno dei pensatori più originali e influenti del Novecento, di cui l'editore Neri Pozza sta pubblicando le opere complete (il primo volume, Celebrare la consapevolezza, è uscito appena prima del lockdown). Non abbiamo a che fare con un conservatore o con un «uomo di destra», tutt'altro. Illich fu a lungo impegnato in America Latina, dunque conobbe a fondo, e di persona, le dinamiche del cosiddetto «Terzo Mondo», ed ebbe ovviamente a che fare con molti volontari e cooperanti. Sul finire degli anni Sessanta scrisse alcuni testi rivolti proprio a coloro che volevano impegnarsi in missioni umanitarie all'estero, e quello che disse può aiutarci a riflette sui casi dell'attualità. Il testo più dirompente è senz'altro quello intitolato Yankee, go home. Il benefattore statunitense in America Latina. Illich lo lesse nel 1968 di fronte a una platea di universitari americani impegnati nel volontariato oltre confine. Andò subito dritto al punto spiegando che a giustificare le «escursioni caritative» era spesso un «turbamento sentimentale per una povertà da poco scoperta a Sud del confine, abbinato alla totale cecità verso una povertà ben più grave in patria». Poi aggiunse, addolorato: «Non aiuterete nessuno con le vostre buone intenzioni». Sostanzialmente, per Illich le missioni dei giovani all'estero erano una sorta di «turismo umanitario». Una forma dolce di colonialismo. «Sono sinceramente convinto che il volontario americano abbia intenzioni infinitamente buone», spiegò. «Ciò non toglie che la sua buona fede possa di norma spiegarsi soltanto con un'abissale mancanza di discrezione e discernimento. Per definizione», disse guardando in faccia gli aspiranti volontari, «voi non potete che essere piazzisti in vacanza dello “stile di vita americano" della classe media, perché questa è l'unica vita che conoscete». Egli considerava i cooperanti come «i commessi viaggiatori di una fede chimerica negli ideali di democrazia, pari opportunità e libera impresa presso gente che non ha la più remota possibilità di giovarsene». Illich stigmatizzava un perverso atteggiamento materno che si traduce in superiorità nei confronti dei «bisognosi». I quali, in molti casi, non smettono di considerare gli occidentali alla stregua di turisti, cioè fonti di denaro o potere. «Fate un grave danno a voi stessi», diceva il pensatore, «definendo come “bene", “sacrificio" e “aiuto" qualcosa che semplicemente vi va di fare». Vero, i cooperanti hanno una missione, ma è prima di tutto quella di seguire la propria vocazione, di rispondere alle proprie aspirazioni. L'eventuale «bisogno» dei popoli oppressi è del tutto collaterale. E infatti, anche oggi, il dibattito italiano è tutto concentrato sulla persona di Silvia Romano, non sui danni che il suo sequestro - con relativo pagamento di riscatto in denaro e in pubblicità - possa aver arrecato alla popolazione del Kenya. Per questo motivo l'appello di Illich merita di essere riletto. Si concludeva con un invito ai giovani attivisti umanitari: state a casa o, se volete visitare i «Paesi in via di sviluppo», fatelo fino in fondo come turisti. «Venite a vedere, venite a scalare le nostre montagne, a godervi i nostri fiori. Venite a studiare. Ma non venite per aiutare».
«Murdaugh: Morte in famiglia» (Disney+)
In Murdaugh: Morte in famiglia, Patricia Arquette guida il racconto di una saga reale di potere e tragedia. La serie Disney+ ricostruisce il crollo della famiglia che per generazioni ha dominato la giustizia nel Sud Carolina, fino all’omicidio e al processo mediatico.