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Invece di chiudere, curate

Il ministro Roberto Speranza e i suoi sodali hanno passato mesi a pavoneggiarsi, così adesso sono in ritardo su tutto: vaccini e terapie domiciliari. Come quella che, nell'Alessandrino, ha abbattuto ricoveri (-30%) e letalità del Covid.
Ho riletto alcune pagine del libro che il ministro Speranza ha scritto a settembre, per vantarsi dei successi conseguiti nella gestione dell'emergenza Covid. Mandato in stampa a ottobre, prima che arrivasse la seconda ondata, il volume è pieno di false speranze, in tutti i sensi. Da un lato sprizza ottimismo, come se all'epoca la battaglia contro il coronavirus fosse vinta o quasi. Dall'altro è zeppo di banalità e infondate certezze, tipiche di chi non padroneggia la materia. Il testo, che ormai è un samizdat, ossia un documento che essendo stato ritirato dalle librerie appena si è manifestata una recrudescenza della pandemia circola solo clandestinamente, ha un esordio fulminante: «Per cominciare, il potere di questo maledetto virus ha i mesi contati». Una profezia azzeccata, quella di Speranza: infatti, a distanza di sei mesi siamo ancora costretti a rimanere chiusi in casa, perché il virus continua a circolare ed è più contagioso di prima. Ma la parte più interessante del volume è quando il ministro della Salute scrive di vaccini, attribuendosi il merito di quella che ritiene una soluzione a portata di mano. «Ci mettiamo all'opera subito. C'è da riguadagnare terreno in una corsa che abbiamo cominciato parecchi passi dietro gli altri». Speranza racconta i suoi contatti con le case farmaceutiche, ma soprattutto la famosa firma che gli consentirà il 13 giugno di annunciare agli italiani l'intesa con Astrazeneca. «Potremo disporre di 400 milioni di dosi per l'Europa» dice a Villa Pamphilj, durante gli Stati generali. «Quando finisco la presentazione scatta un applauso spontaneo da parte di tutti i miei colleghi ministri. Tanto lavoro sottotraccia sta iniziando a produrre i suoi frutti». Ma non è l'unica illusione che l'ex assessore all'Urbanistica di Potenza coltiva. «Ho un altro grande motivo di soddisfazione: quando il vaccino ci sarà, l'infialamento, che è l'importante parte finale del processo produttivo, per tutte le dosi da distribuire in Europa verrà fatto ad Anagni, alla Catalent, che vado a visitare il 6 luglio. L'azienda è stata scelta da Astrazeneca perché aveva le condizioni migliori e alti livelli di efficienza». Il libro gronda ottimismo oltre che, come detto, dilettantismo. Il ministro visita anche Reithera, l'azienda di Castel Romano che sta sperimentando un vaccino. È il 9 luglio, ma nonostante l'entusiasmo di Speranza passano quasi sette mesi prima che il commissario all'emergenza, tramite Invitalia, decida di sostenere la ricerca dell'azienda. Speranza è comunque fiducioso, tanto da scrivere che «lontani dai colossi del settore e dalle loro risorse, stiamo però appoggiando il tentativo tutto italiano di arrivare a un vaccino per il Covid. È l'Italia in cui crediamo». Sarà, ma nonostante più avanti scriva che «il tempo, in questa partita, non è un fattore secondario», lo Stato per sostenere lo studio di Reithera di tempo se n'è preso parecchio, decidendo solo alla fine di gennaio di quest'anno.

Vi chiedete che senso abbia ripercorrere adesso gli errori di quasi un anno fa? Lo spiego subito: se siamo di nuovo ridotti ai domiciliari e con le terapie intasate di malati, è proprio per i ritardi di un anno fa. Ha ragione Speranza, il tempo non è un fattore secondario, ma allora dovrebbe prendere atto delle decisioni sbagliate, sue e del suo ministero. Un esempio? Le famose indicazioni date a chi si ammala di Covid. Ancora adesso si dice di rimanere a casa e di pigliarsi una Tachipirina, senza fare altro. Il risultato è che dopo una settimana i pazienti si presentano al pronto soccorso o vengono ricoverati in ambulanza in condizioni gravi. In alcune zone d'Italia, come per esempio nell'Alessandrino, il protocollo prevede l'uso di vari farmaci, come l'idrossiclorochina, l'eparina, gli steroidi, gli antibiotici, la vitamina D e altri farmaci a seconda delle esigenze del malato: una terapia che costa una cinquantina di euro e si può fare a casa. La cura, se iniziata subito, anche senza aspettare l'esito del tampone ma solo all'insorgenza dei primi sintomi, secondo i responsabili del distretto sanitario nell'80% dei casi dà risultati positivi in pochi giorni e per un restante 15% ha effetti nel giro di una decina di giorni.

Risultato: nell'arco di un anno (la terapia adottata è cominciata a marzo del 2020) ha consentito di ridurre del 30% le ospedalizzazioni. Gli ultimi dati disponibili (9 marzo, in via di validazione) per il distretto dell'Alessandrino sono positivi. Su 260 infetti, i ricoverati sono 20. Morti: 1. In base alle previsioni Oms, su 260 contagiati, in ospedale sarebbero dovuti finire in 57. Un altro dato? Il tasso di letalità del Covid in Italia è del 3,2%, nel distretto la media è dello 0,8%.

Ovviamente non voglio dire che il coronavirus si debelli così. Di certo non solo chiudendo le persone in casa. Gli arresti domiciliari servono a evitare che le terapie intensive siano saturate, ma c'è anche qualche altro modo per evitare che si intasino. E Speranza, se scrivesse qualche libro in meno e si occupasse di più di sanità, forse lo scoprirebbe.

Stefano Ricci: «Noi fiorentini abbiamo l’arte nel sangue»
Andy Mann for Stefano Ricci
Così la famiglia Ricci difende le proprie creazioni della linea Sr Explorer, presentata al Teatro Niccolini insieme alla collezione Autunno-Inverno 2026/2027, concepita in Patagonia. «Più preserveremo le nostre radici, meglio costruiremo un futuro luminoso».

Il viaggio come identità, la natura come maestra, Firenze come luogo d’origine e di ritorno. È attorno a queste coordinate che si sviluppa il nuovo capitolo di Sr Explorer, il progetto firmato da Stefano Ricci. Questa volta, l’ottava, è stato presentato al Teatro Niccolini insieme alla collezione Autunno-Inverno 2026/2027, nata tra la Patagonia e la Terra del Fuoco, terre estreme che hanno guidato una riflessione sull’uomo, sulla natura e sul suo fragile equilibrio. «Guardo al futuro e vedo nuovi orizzonti da esplorare, nuovi territori e un grande desiderio di vivere circondato dalla bellezza», afferma Ricci, introducendo il progetto. «Oggi non vi parlo nel mio ruolo di designer, ma con lo spirito di un esploratore. Come un grande viaggiatore che ha raggiunto luoghi remoti del Pianeta, semplicemente perché i miei obiettivi iniziavano dove altri vedevano dei limiti».

Da lavapiatti a «rivale» di Marchesi. La stella di Moroni è la materia prima
Aimo Moroni e Massimiliano Alajmo
Ultima puntata sulla vita del grande chef, toscano di nascita ma milanese d’adozione. Frequentando i mercati generali impara a distinguere a occhio e tatto gli ingredienti di qualità. E trova l’amore con una partita a carte.

Riprendiamo con la seconda e conclusiva puntata sulla vita di Aimo Moroni. Cesare era un cuoco di origine napoletana che aveva vissuto per alcuni anni all’estero. Si era presentato alla cucina del Carminati con una valigia che, all’interno, aveva ben allineati i ferri del mestiere, coltelli e lame.

Davanti agli occhi curiosi dei due ragazzini l’esordio senza discussioni: «Guai a voi se me li toccate». In realtà una ruvidezza solo di apparenza, in breve capì che Aimo e Gialindo avevano solo il desiderio di apprendere da lui la professione con cui volevano realizzare i propri sogni. Casa sua divenne il laboratorio dove insegnò loro i piccoli segreti di una vita, mettendoli poi alla prova nel realizzare i piatti con la promozione o bocciatura conseguente.

Alessandra Coppola ripercorre la scia di sangue della banda neonazi Ludwig: fanatismo, esoterismo, violenza e una rete oscura che il suo libro Il fuoco nero porta finalmente alla luce.

La premier nipponica vara una manovra da 135 miliardi di dollari Rendimenti sui bond al top da 20 anni: rischio calo della liquidità.

Big in Japan, cantavano gli Alphaville nel 1984. Anni ruggenti per l’ex impero del Sol Levante. Il boom economico nipponico aveva conquistato il mondo con le sue esportazioni e la sua tecnologia. I giapponesi, sconfitti dall’atomica americana, si erano presi la rivincita ed erano arrivati a comprare i grattacieli di Manhattan. Nel 1990 ci fu il top dell’indice Nikkei: da lì in poi è iniziata la «Tokyo decadence». La globalizzazione stava favorendo la Cina, per cui la nuova arma giapponese non era più l’industria ma la finanza. Basso costo del denaro e tanto debito, con una banca centrale sovranista e amica dei governi, hanno spinto i samurai e non solo a comprarsi il mondo.

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