Al congresso della Fabi, l’ad Carlo Messina va in controtendenza rispetto alla linea dettata da Francoforte e da Bankitalia: «Con questi utili netti è inaccettabile non concedere aumenti. Lo faremo senza negoziare». Abi spiazzata: «Parla solo per sé».
Al congresso della Fabi, l’ad Carlo Messina va in controtendenza rispetto alla linea dettata da Francoforte e da Bankitalia: «Con questi utili netti è inaccettabile non concedere aumenti. Lo faremo senza negoziare». Abi spiazzata: «Parla solo per sé».Nella conferenza stampa del 4 maggio, dopo aver annunciato l’ennesimo aumento di 25 punti base dei tassi, la presidente della Bce, Christine Lagarde, aveva sottolineato che ci sono «significativi rischi al rialzo» dell’inflazione legati anche ai salari. Monito rilanciato a più riprese anche successivamente. Il 5 maggio a suonare la stessa musica era stato il governatore di Bankitalia, Ignazio Visco, che era tornato a chiedere alle parti sociali europee di «continuare a mostrare responsabilità» sulle richieste di aumento dei salari di fronte all’inflazione per fare così la loro parte assieme alla politica monetaria e di bilancio. Insomma, un nuovo pungolo ai sindacati cui si è aggiunto, in occasione delle sue considerazioni finali, l’auspicio di un salario minimo come strumento di «giustizia sociale» (purché non si aumentino gli stipendi). Ieri, però, a invertire la direzione rispetto a quella indicata sia da Bce sia da Bankitalia è stato l’amministratore delegato di Intesa Sanpaolo, Carlo Messina. Sul palco del 22° congresso della Fabi, il leader della principale organizzazione sindacale del settore, Lando Sileoni, lo ha incalzato sul rinnovo del contratto dei 280.000 dipendenti della categoria, e il banchiere ha fatto partire l’applauso della platea dell’Ergife di Roma: «In un momento in cui la redditività delle banche torna a crescere è inaccettabile non concedere aumenti consistenti ai lavoratori in banca». Quindi «Intesa Sanpaolo accetterà la richiesta economica fatta dai sindacati nella piattaforma per il rinnovo del contratto di lavoro, ovvero 435 euro. Intesa non farà alcun tipo di approccio negoziale sulle richieste economiche» dei sindacati. «Con un utile netto di 7 miliardi, non ho il coraggio a guardare in faccia le persone e dire che mi metto a negoziare su questo aspetto», ha aggiunto. E viste le attuali condizioni difficili, «400 euro» fanno la differenza per un dipendente bancario, ha aggiunto Messina ricordando anche di aver fatto tutta la sua carriera in banca (dove ha iniziato da «impiegato di prima» con una retribuzione che oggi sarebbe di 500 euro) e avanzando anche l’idea di permettere ai dipendenti anche «una partecipazione agli utili».Sul tema stipendi, non solo ha quasi superato «a sinistra» i sindacati, ma ha preso una posizione assai diversa rispetto a quella di Francoforte e di via Nazionale. E sembra avere spiazzato anche il presidente dell’Abi (l’associazione dei banchieri), Antonio Patuelli, che ha preferito non commentare le parole dell’ad di Intesa limitandosi diplomaticamente a ricordare che «ci sono in corso le assemblee dei lavoratori in tutte le banche per votare la piattaforma rivendicativa dei sindacati sul rinnovo del contratto e fino a quando non si concludono non mi esprimerò». Nel frattempo, la Fabi di Sileoni ha bussato proprio alla porta dell’Abi per convincere Intesa a rientrare nel comitato sindacale dell’associazione. Alla fine di febbraio, infatti, Intesa Sanpaolo ha revocato il mandato all’Abi (pur rimanendo iscritta) ad essere rappresentata nella vertenza per il rinnovo del contratto nazionale di settore, decidendo di rappresentarsi direttamente. «Sarà fondamentale e indispensabile che Abi, e non io o la Fabi, costruisca insieme ad Intesa un percorso interno alla stessa Abi dove sarà fondamentale la presenza qualificata di personaggi che conoscono il mondo delle relazioni sindacali», aveva detto Sileoni, nel corso della sua introduzione al congresso. Sottolineando che se Intesa deciderà di non rientrare nel comitato sindacale di Abi, «ci sarà il rischio concreto che, nell’attuale clima di competizione economica e politica fra gli stessi gruppi bancari, qualcuno possa seguire Intesa e uscire dal Casl. Sarebbe un danno enorme per tutti». Anche alla luce delle dichiarazioni di Messina, Sileoni ha poi alzato il tiro in uno degli ultimi confronti della prima giornata del congresso quando sul palco ha tenuto banco un acceso scontro verbale tra il capo della Fabi e Ilaria Dalla Riva, capo delle risorse umane di Unicredit per l’Italia ma soprattutto presidente (dal 14 dicembre) del Casl dell’Abi. «Messina ha parlato per la sua azienda. Il mio ruolo è diverso, bisogna fare sintesi tra banche tutte diverse tra loro. Sarà interessante fare questo percorso con i sindacati di categoria», ha commentato Dalla Riva. «Quello che ha detto il ceo di Intesa sulla parte economica conta, non ve lo potete rimangiare nessuno. È chiaro che parla per la sua azienda, ma non ci si può nascondere il peso che ha la sua banca nel sistema», ha subito replicato con foga Sileoni. «Voi», ha aggiunto, «state preparando il terreno per non darci più soldi. Una parte delle banche vuole darci più soldi e una parte è per dire che 435 euro sono troppi».Di certo, quando parla il timoniere della principale banca italiana - nonché l’unica oggi in grado di poter mettere sul tavolo miliardi di nuovo credito- le parole lasciano un solco assai più profondo rispetto alle esternazioni di altri esperti. Il gruppo Intesa di fatto è il secondo creditore dello Stato e dunque un importante stakeholder del governo Meloni. Sulla cui stabilità, per altro, Messina scommette: «Ci differenzia da tutti gli altri sistemi politici d’Europa di questa fase. Questo è un punto estremamente positivo che consente un arco temporale pluriennale nel quale si possono realizzare gli investimenti» ed accelerare quella «indispensabile crescita per rafforzare il posizionamento in Europa dell’Italia, ridurre le diseguaglianze e rendere sostenibile il nostro debito», ha detto ieri.
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Nel riquadro, Howard Thomas Brady (IStock)
Lo scienziato cattolico Howard Thomas Brady, ex sacerdote: «Con papa Francesco, ai ricercatori critici è stato vietato perfino di partecipare alle conferenze. La Chiesa non entri nel merito delle tesi: è lo stesso errore fatto con Galileo».
(Istock)
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Roberto Burioni (Ansa)
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