2024-11-01
«Stellantis & C spingono i fornitori a delocalizzare e tagliare i prezzi»
Roberto Vavassori, presidente Anfia (Imagoeconomica)
Roberto Vavassori, presidente Anfia: «Pressing sulle aziende della componentistica. Noi resistiamo, ma servono le quote europee per evitare la concorrenza sleale di Turchia e Cina. Basta veti sui biocarburanti dalla sinistra Ue».La crisi dell’auto che ogni giorno si rafforza con nuovi dati ferali trascina con sé come un fiume carsico tutte le aziende della filiera. I fornitori, quelli che partono dalla progettazione e dal design e arrivano fino alla componentistica, impegnano circa 170.000 lavoratori solo in Italia e sono rappresentati dall’Anfia, l’associazione di categoria presieduta da Roberto Vavassori che in queste settimane molto delicate sta cercando di mantenere un rapporto costruttivo con il governo da un lato e i produttori dall’altro.Presidente, iniziamo dal governo. Avete criticato la decisione, in manovra, di togliere 4,6 miliardi al fondo per l’automotive, ma fino a oggi la scelta di aiutare con incentivi a pioggia il settore non ha dato grandi risultati. Non crede che i sussidi vadano meglio direzionati?«Guardi, noi abbiamo criticato innanzitutto il modo. Abbiamo scoperto dei tagli dalle tabelle del disegno di legge di Bilancio. Detto questo abbiamo interlocuzioni in corso con il governo e siamo consapevoli che l’intenzione è di indirizzare i fondi in modo più specifico. Un ragionamento riguarda la possibilità di sostenere il rinnovamento e la competitività della filiera. Anche perché quando si parla dei 650 milioni di incentivi all’acquisto delle auto nel 2024 non si può non evidenziare che la misura ha dato effetti limitati nel breve periodo senza però poi portare vantaggi strategici».Da come parla sembra di intuire che nel percorso parlamentare della manovra è possibile che questi fondi siano ripristinati.«La situazione del settore è molto complicata. Come le dicevo ci sono interlocuzioni in corso».Passiamo allora ai produttori. Tavares ha parlato di un 40% di extracosti derivanti dall’elettrico e dalle direttive green dell’Ue. Ci risultano pressioni sui fornitori per farvi abbassare i prezzi…«Le pressioni ci sono e non arrivano solo da Stellantis e noi come associazioni stiamo facendo il possibile per resistere».State facendo il possibile anche per resistere alle pressioni che vi invitano a delocalizzare lì dove sorgono i nuovi stabilimenti per esempio in Marocco e Algeria?«Le ripeto quanto detto prima, le pressioni ci sono e non solo da Stellantis, ma per esempio anche da Renault arrivano spinte nella stessa direzione».E voi come state resistendo?«Conta sempre il dialogo istituzionale, ma per trovare una soluzione, serve un esame a 360 gradi delle cause».In che senso?«Nel senso che da un lato il tessuto dei fornitori in Italia ha delle caratteristiche che non aiutano. Abbiamo pochi campioni di filiera, a differenza di Germania, Francia e Spagna, tant’è che tra le prime 100 aziende al mondo se ne trovano sono solo due italiane (Pirelli e Brembo), entrambe oltre la novantesima posizione. Questo per dire che facciamo fatica a portare avanti ricerca e sviluppo, che rappresentano il valore aggiunto per puntare poi più sulla qualità che sul prezzo. Terminato il mea culpa c’è poi da fare i conti con la concorrenza sleale».Cosa intende?«Se i produttori di componenti italiani devono fare a gara con quelli turchi, faccio un esempio, che hanno un costo del lavoro pari al 15% del nostro è chiaro che stiamo affrontando una competizione falsata».Come si può trovare un equilibrio?«Per esempio con la politica delle quote Ue. Se produco in Turchia non posso esportare nell’Unione Europea più di una quota di prodotto prestabilita».A proposito di regole Ue, quanto incidono nella crisi dell’auto gli obblighi di Bruxelles verso l’elettrico e l’obbligo a dire basta con diesel e benzina dal 2035?«Credo che incidano ma al momento siano sovrastimati. Nel senso che ci sono diversi altri fattori che hanno un peso. C’è la crisi di domanda, che ha diverse cause, tra le quali vanno evidenziate l’impennata dei tassi per i finanziamenti (la maggior parte degli acquisti è a prestito) e la chiusura causa guerra di alcuni canali importanti come quello che porta in Russia. C’è poi un tema di sovracapacità produttiva, per cui anche in Germania, dove prima del Covid si producevano 6 milioni di vetture, ora se ne producono 3. E poi c’è la concorrenza cinese».Pechino. Come giudica la decisione di Bruxelles di imporre dazi sulla vendite in Europa delle case cinesi?«Normalmente i dazi non fanno bene al business. Ma in questo caso mi sembra si tratti più che altro di dazi negoziali. Un incentivo forte a sedersi al tavolo e a trattare».Per arrivare a cosa?«Per esempio alle quote come le dicevo prima...».Quote che dovrebbero essere imposte dall’Ue. Che invece non vuol anticipare la revisione delle regole sull’elettrificazione dal 2026 al 2025 come tutte le case Ue, tranne Stellantis, le chiedono. «Tavares ha una posizione particolare sul tema, ma non è da solo, anche Toyota va nella stessa direzione anche se i giapponesi sono più vicini a raggiungere i limiti imposti dall’Ue. Detto questo noi siamo d’accordo, la revisione va anticipata anche perché abbiamo già scontato quello che potrà succedere da qui al 2026».Perché l’Europa non lo fa?«Perché c’è anche un problema di credibilità. Non può evidentemente rimangiarsi un piano che ha partorito solo pochi mesi fa».Anche in una situazione di crisi che sta portando a chiusure di siti e tagli al lavoro?«Infatti, c’è da trovare un compromesso. C’è da individuare una strada che mantenga l’impianto regolatorio e sposti limiti e multe più in là nel tempo. Le dirò di più, per l’Italia è fondamentale che questo compromesso porti alla piena adozione dei biocarburanti superando il blocco della sinistra italiana ed europea che li vuole riservare solo al trasporto marittimo ed aereo perché pensa che un utilizzo eccessivo danneggi la terra. Obiezioni che non hanno nessun riscontro scientifico».Un’ultima su John Elkann. Come giudica la decisione di non presentarsi in Aula?«Vado un po’ controcorrente e mi chiedo cosa avrebbe potuto dire di più il presidente di Stellantis rispetto a quanto non abbia già detto qualche giorno fa l’ad. Forse la richiesta di audizione si sarebbe dovuta focalizzare su un tema specifico che non fosse stato trattato a sufficienza prima».Per esempio il futuro di Stellantis in Italia?«Sì, per esempio dettagli sul piano industriale relativo ai siti italiani».
A condurre, il direttore Maurizio Belpietro e il vicedirettore Giuliano Zulin. In apertura, Belpietro ha ricordato come la guerra in Ucraina e lo stop al gas russo deciso dall’Europa abbiano reso evidenti i costi e le difficoltà per famiglie e imprese. Su queste basi si è sviluppato il confronto con Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, società con 70 anni di storia e oggi attore nazionale nel settore energetico.
Cecconato ha sottolineato la centralità del gas come elemento abilitante della transizione. «In questo periodo storico - ha osservato - il gas resta indispensabile per garantire sicurezza energetica. L’Italia, divenuta hub europeo, ha diversificato gli approvvigionamenti guardando a Libia, Azerbaijan e trasporto via nave». Il presidente ha poi evidenziato come la domanda interna nel 2025 sia attesa in crescita del 5% e come le alternative rinnovabili, pur in espansione, presentino limiti di intermittenza. Le infrastrutture esistenti, ha spiegato, potranno in futuro ospitare idrogeno o altri gas, ma serviranno ingenti investimenti. Sul nucleare ha precisato: «Può assicurare stabilità, ma non è una soluzione immediata perché richiede tempi di programmazione lunghi».
La seconda parte del panel è stata guidata da Giuliano Zulin, che ha aperto il confronto con le testimonianze di Maria Cristina Papetti e Maria Rosaria Guarniere. Papetti ha definito la transizione «un ossimoro» dal punto di vista industriale: da un lato la domanda mondiale di energia è destinata a crescere, dall’altro la comunità internazionale ha fissato obiettivi di decarbonizzazione. «Negli ultimi quindici anni - ha spiegato - c’è stata un’esplosione delle rinnovabili. Enel è stata tra i pionieri e in soli tre anni abbiamo portato la quota di rinnovabili nel nostro energy mix dal 75% all’85%. È tanto, ma non basta».
Collegata da remoto, Guarniere ha descritto l’impegno di Terna per adeguare la rete elettrica italiana. «Il nostro piano di sviluppo - ha detto - prevede oltre 23 miliardi di investimenti in dieci anni per accompagnare la decarbonizzazione. Puntiamo a rafforzare la capacità di scambio con l’estero con un incremento del 40%, così da garantire maggiore sicurezza ed efficienza». Papetti è tornata poi sul tema della stabilità: «Non basta produrre energia verde, serve una distribuzione intelligente. Dobbiamo lavorare su reti smart e predittive, integrate con sistemi di accumulo e strumenti digitali come il digital twin, in grado di monitorare e anticipare l’andamento della rete».
Il panel si è chiuso con un messaggio condiviso: la transizione non può prescindere da un mix equilibrato di gas, rinnovabili e nuove tecnologie, sostenuto da investimenti su reti e infrastrutture. L’Italia ha l’opportunità di diventare un vero hub energetico europeo, a patto di affrontare con decisione le sfide della sicurezza e dell’innovazione.
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Il fiume Nilo Azzurro nei pressi della Grande Diga Etiope della Rinascita (GERD) a Guba, in Etiopia (Getty Images)