2024-12-21
«Pechino copre un terzo dei costi ai fornitori e Bruxelles sta ferma»
Pierangelo Decisi, presidente Sigit (Youtube)
Pierangelo Decisi, presidente Sigit (interni per vetture): «Impossibile competere con i sussidi cinesi. Il 2025 è ormai andato».«Anche il 2025 dell’automotive ce lo siamo giocati, se saremo bravi e soprattutto se ci sarà un’inversione di rotta sulle regole europee e rispetto al rapporto con la Cina che esporta con sussidi pubblici che le garantiscono un vantaggio competitivo del 30%, potremo vedere una ripresa nel secondo semestre del 2026, altrimenti...». A lanciare l’allarme è Pierangelo Decisi il presidente di uno dei maggiori fornitori per auto italiani e vicepresidente dell’Api (associazione delle piccole imprese) Torino. La sua Sigit produce interni per i veicoli e dà lavoro a circa 1.700 persone. Poco meno di 500 sono operative nei 6 siti italiani (la casamadre è in Piemonte), il resto lavora nelle fabbriche in giro per il mondo tra Algeria, Marocco, Spagna, Serbia, Romania e Polonia. Stellantis è uno dei clienti principali ma Sigit lavora anche con Renault e tutte le auto tedesche. Insomma, ha un quadro completo della disfatta che sta vivendo l’auto europea e non ha dubbi: «Siamo messi peggio del periodo del Covid». Partiamo da Stellantis. Con l’addio di Tavares, vede un cambio di passo?«A mio parere Tavares in questi anni ha svolto il ruolo dell’ad a tutti gli effetti, mentre John Elkann si è limitato alle funzioni anglosassoni del presidente. A un certo punto però ci si è resi conto che il manager portoghese aveva destabilizzato i rapporti con i governi dei Paesi di riferimento e che i numeri non tornavano più. Così Elkann ha dovuto metterci la faccia e si è messo a trattare con l’unico governo stabile d’Europa, quello italiano». Tavares chiedeva a voi fornitori di spostare la produzione all’estero?«Lo chiedevano tutti non solo Stellantis, anche le case tedesche. Ma produrre in loco non è sbagliato purché i prodotti vengano usati per i veicoli del mercato locale, se invece la componentistica realizzata in Africa è destinata all’Italia e all’Europa, allora diventa un problema». E Stellantis cosa chiede ai suoi fornitori?«Quello che le dicevo, c’è una dislocazione delle forniture, spesso dai Paesi africani a quelli europei, ma non succede solo con Stellantis. Anzi». Il piano Italia annunciato da Imparato qualche giorno fa la convince?«Sulla carta sì, c’è persino l’impegno sulla gigafactory, ma in realtà dipende dalla capacità di trasformare quelle promesse in realtà, dalla reazione dei mercati rispetto ai nuovi modelli e dai tempi che saranno necessari per passare dalle idee alla produzione».Secondo la sua esperienza quanto tempo servirà per vedere le auto annunciate in vendita presso i concessionari?«Se il modello non è già in fase avanzata di sviluppo ci vogliono almeno 18-24 mesi per andare in produzione». E quanto tempo servirà perché il mercato riparta?«Il 2025 l’abbiamo perso. Se facciamo il massimo e se l’Europa diventa più flessibile rispetto all’auto elettrica e capisce che non è possibile mantenere un rapporto passivo con la Cina che viene sovvenzionata massicciamente dallo Stato, nel secondo semestre potrebbe esserci un’inversione di tendenza». Batte molto sul tasto cinese. Quanto pesa il vantaggio competitivo di Pechino.«In una gara dove c’è un fornitore europeo e un produttore di componenti per l’auto cinese, alla fine per una questione di prezzo è praticamente scontato che prevalga Pechino. La competizione è impossibile anche se produciamo in Marocco o Algeria». Cina a parte, qual è il problema principale dell’Europa?«L’Europa è un elefante dove la burocrazia ha preso il posto della politica, per cui non si riesce a decidere su nulla. La conseguenza è subire passivamente gli eventi».Sull’elettrico toccherà svegliarsi e scalare marcia, altrimenti si rischia il tracollo. «Eh sì». La sua associazione che numeri prevede per il 2025?«I nostri dati sulla manifattura riguardano il Piemonte, una regione fondamentale per l’automotive. Qui è previsto un ulteriore crollo della produzione del 45%, le ricordo che durante il periodo del Covid c’era stata una contrazione del 77%, ma per molti versi era una situazione meno preoccupante». Perché?«All’epoca non c’era un grande problema di ordini quanto di produzione, oggi invece risentiamo di una totale mancanza degli ordini». Possiamo dire quindi che ce la passiamo peggio? «Assolutamente sì. In Piemonte la previsione di saturazione degli impianti è del 57% delle capacità produttiva, la media nel 2020 era del 56%».