2020-02-18
«Più donne al lavoro, meno presenza fisica in ufficio»
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Gini Dupasquier è la fondatrice di Donna lab, società che si occupa di favorire l'equilibrio di genere. È copresidente della professional women network, associazione internazionale che lavora sull'empowerment femminile ed è anche managing director di Ortigia business school, scuola di formazione manageriale di Siracusa che offre formazione di qualità nel Sud Italia.Quali sono secondo lei le maggiori difficoltà incontrate da una donna nel mondo del lavoro?«Sicuramente c'è un tema di contesto aziendale in cui le donne si trovano che non è ancora del tutto accogliente rispetto alle esigenze diverse di uomini e donne. C'è un tema di mancanza di role model, ovvero, le giovani donne che si approcciano alle carriere aziendali non hanno davanti a sé degli esempi di donne di successo a cui ispirarsi e quindi anche inconsciamente pensano di non poter concorrere per certe posizioni perché non vedono donne in quelle posizioni. Tutto ciò si ricollega a, magari, un po' di mancanza di fiducia in se stesse e nelle proprie capacità che fa sì che siano loro stesse a tirarsi indietro». Quali sarebbero i provvedimenti da intraprendere?«Dal punto di vista dell'azienda, cercare di lavorare sull'organizzazione del lavoro e quindi uscire da quelle logiche che prevedono la presenza fisica sul luogo di lavoro dal mattino alla sera, che è un modello diciamo vecchio e superato, e consentire maggiore sensibilità sia agli uomini che alle donne in modo che possano integrare in maniera più efficace gli aspetti lavorativi e professionali con quelli della vita privata. Questo farebbe sì probabilmente che le persone non debbano scegliere tra fare carriera e la vita privata, potendo far convivere queste due dimensioni con successo».Però questo ragionamento può valere solo per le donne manager o che lavorano comunque in ufficio. Per tutte le altre? Per esempio, la commessa che sta alla cassa?«Beh, io stavo parlando però di persone che hanno davanti a sé una carriera e degli obiettivi di sviluppo professionali di carriera. È chiaro che a seconda della mansione la situazione potrebbe essere diversa. Il discorso a cui mi riferivo io era rivolto a persone inserite in un mondo aziendale che le potrebbe portare verso una carriera in posizioni di leadership e manageriali. La situazione delle lavoratrici che hanno altre mansioni è completamente diversa però magari lì c'è la logica dei turni. Paradossalmente per loro forse è più facile conciliare certe scelte, perché i turni sono ben definiti. Mentre per il classico colletto bianco, che non ha orari precisi, non ha una timbratura, eccetera, si trova fagocitato da un mondo del lavoro con una impostazione datata». Per quanto riguarda la legge Golfo Mosca, per lei è un buon provvedimento?«Sicuramente è un ottimo e necessario provvedimento che serve a scardinare uno status quo che altrimenti non si sarebbe scardinato. Imporre un obbligo non è mai una cosa ideale però, in certe situazioni, è necessario altrimenti i cambiamenti non avvengono. La legge Golfo Mosca è temporanea quindi supera le obiezioni di anticostituzionalità e ha l'obiettivo di riequilibrare il genere meno rappresentato, quindi di consentire di avere nei board delle nostre più importanti società del nostro Paese una rappresentazione più coerente della realtà del Paese stesso». Questa però è una misura che riguarda una quota residuale di lavoratrici, non è forse esagerato salutarla come misura a favore di tutte le donne?«Non è una misura a favore di tutte le donne ovviamente, è simbolica. È una misura che intanto interviene sui luoghi dove si prendono le principali decisioni. È efficace e interessante, certamente la speranza è che a fronte delle quote nei board, a cascata anche nei vari ruoli aziendali e gerarchie la popolazione femminile possa crescere e aumentare. Se così non fosse, sarebbe un provvedimento fine a sé stesso senza impatto reale. Utile, ma senza un impatto reale. L'effetto a cascata è sicuramente auspicabile. I riflettori, una volta che sono accesi, restano puntati su queste realtà, da questo punto di vita si instaura della moral suasion. Un aspetto su cui lavorare per migliorare è anche sicuramente quello degli stereotipi inconsci, ancora trasversali nel lavoro in qualunque ruolo. Se i colleghi maschi, consciamente o meno, si permettono di avere atteggiamenti non rispettosi o che sminuiscono la lavoratrice, questo la demotiva e causa frustrazione».