2025-05-26
«La Chiesa di Leone torna a guardare all’Occidente»
Il saggista Fulvio Scaglione: «Francesco privilegiava il Sud globale, ora il rapporto con Xi potrebbe raffreddarsi. Difficile che Ucraina e Russia, ortodosse, siglino la pace in Vaticano».Sergej Lavrov è stato ultimativo: irrealistici i colloqui di pace in Vaticano. Si può fare lo scambio di prigionieri con l’Ucraina, poi si vedrà. Eppure Leone XIV l’offerta la mantiene: venite alla casa del Signore a parlare di pace. A chi se non a Fulvio Scaglione chiedere di ragionare sugli sviluppi possibili? Questo giornalista, già vicedirettore di Famiglia Cristiana, animatore di Lettera da Mosca dove per anni è stato corrispondente, è l’osservatore più puntuale e puntuto di cose vaticane e cose russe.Che spazio c’è per questa trattativa promossa dal Vaticano?«Sono sempre stato scettico. E bisogna distinguere se si parla di San Pietro come luogo della mediazione o come attore della mediazione. In questo secondo caso si potrebbe davvero dire che c’è un passo avanti rispetto a Francesco da parte di Leone XIV. Il mio scetticismo però deriva dal fatto che per i russi la Chiesa ortodossa è un alleato imprescindibile ed è quasi impossibile che si accetti da parte del Cremlino di siglare una pace, fosse anche solo un cessate il fuoco, nel centro del cattolicesimo».Lo ha detto anche Lavrov: siamo ortodossi. Dunque è una posizione «velleitaria» quella del Vaticano?«Non lo si può dire in termini assoluti: certo c’è almeno uno stile diverso di Leone XIV rispetto a Francesco e sicuramente il nuovo pontefice sia verso gli ortodossi che verso gli ebrei sembra avviato a un dialogo più morbido, meno puntuto. Francesco sulla situazione russo-ucraina, ma anche sulla crisi palestinese, aveva le sue idee e non esitava a esternarle. Quando ha parlato della Nato che ha abbaiato ai confini della Russia, quando ha parlato del coraggio di alzare la bandiera bianca, era diretto. Questo Papa sia per origine, sia per competenza è più moderato nell’esprimersi, ha certamente delle sue idee che però lo portano ad assumere una posizione di mediazione. Cerca di avvicinare le parti. Ma poi vi sono delle ragioni politiche vere che impediscono un negoziato diretto in questo momento. La pace si costruisce solo se prima gli Usa trovano l’accordo con Kiev e poi, separatamente, col Cremlino e infine l’America sigla l’intesa tra i due».C’è però anche un altro attore: la Cina. Il Vaticano con Xi Jinping ha un dialogo aperto…«La Cina in questa fase si tiene le mani libere, è molto distante dallo scenario del conflitto e della trattativa. Supporta la Russia, ma non vuole un coinvolgimento diretto. È la posizione confuciana di quello che sta sulla riva del fiume. Quanto ai rapporti con la Santa Sede, sono in larghissima misura frutto della volontà di Francesco che su quel dossier aveva investito molto e su cui si è speso il segretario di Stato, il cardinale Pietro Parolin. L’ultimo accordo tra l’altro è assai recente e con i cinesi tornare indietro è complicato. Può darsi che Prevost faccia raffreddare il dialogo con Xi, ma questo riguarda semmai i rapporti Chiesa-Cina e di certo sarà osservato dagli Usa, ma non ha influenza sullo scacchiere ucraino. Lì, anche se lo smisurato ego del protagonista ne viene corroborato, ha ragione Donald Trump: se non mi muovo io non si va da nessuna parte».Robert Francis Prevost dovrebbe rassicurare gli americani e può spingere Trump alla pace?«Il fatto di essere il primo Papa americano della storia è un segnale forte. Ma è interesse anche del Vaticano perché la Chiesa Usa è oggi è un serbatoio importante di fedeli. È una Chiesa che aveva bisogno di essere ricondotta a unità ed è ricca. E le finanze vaticane hanno bisogno dei dollari. La penuria di risorse è stato il primo cruccio di Francesco, anche Ratzinger provò a fronteggiarla. Dunque sicuramente Prevost è una novità positiva che può aiutare a far evolvere la posizione di Trump. Anche se va detto che non tutto il mondo Maga si fida di questo Papa che è stato missionario in Sud America. Una cosa è certa: ha modi meno bizzarri, per così dire, rispetto a quelli di Francesco, un linguaggio meno urticante».C’è discontinuità?«Di Prevost sappiamo poco. Però una cosa la sappiamo: è stato scelto da Francesco perché lui scegliesse i vescovi; da cardinale era il prefetto del Dicastero dei vescovi. Insomma era un “cacciatore di teste” in missione per conto dello Spirito Santo! E siccome l’80% dei cardinali del conclave li ha nominati Francesco vuol dire che Prevost li ha selezionati. Ed era in Conclave il solo che tutti conoscevano. A volte bisognerebbe riflettere su come al di là di tutto dal conclave esce sempre una scelta sorprendete e originale; chi esce Papa non è mai un personaggio banale, si elegge sempre qualcuno che per un verso o l’altro segna una svolta nella Chiesa».La svolta di Leone XIV sarà di guardare di nuovo all’Occidente?«Questo Papa si farà missionario in Occidente, perseguirà una nuova evangelizzazione dell’Occidente. Francesco lo aveva detto: vengo dalla fine del mondo e pensava che il Sud del mondo fosse il luogo dove più effervescente è la fede, convinto che l’Occidente sia ormai del tutto secolarizzato. Credo che Prevost guarderà di nuovo e molto all’Occidente. Anche i segni che ha dato - la mozzetta, il ripristino di alcune tradizioni, l’abitare di nuovo il Palazzo Apostolico - vanno in quella direzione. Diceva Marshall McLuhan: il mezzo è messaggio. I primi gesti del pontefice sono un messaggio. La Chiesa universale di Prevost include l’Occidente».Lei ha scritto uno straordinario saggio: Zelensky, l’uomo e la maschera. Lui è un ostacolo o è imprescindibile per arrivare alla pace?«Per fare la pace non si può prescindere ora da Volodymyr Zelensky. Lui ha costruito un suo sistema molto corrotto e molto potente a cui gli stessi americani si devono adeguare. L’Ucraina sta in piedi grazie alla legge marziale e Zelensky infatti per trattare chiede garanzie sul dopo, perché ci sono forze che, una volta che si firmi la pace, si muovono verso le elezioni».Dall’altra parte è vero che Vladimir Putin è uno dei più moderati?«Putin è un moderato, ma in Russia il conflitto con l’Ucraina divide le famiglie stesse: ci sono le tifoserie e nella cerchia del Cremlino ci sono i duri che non vogliono la pace. A vedere bene Putin ha fatto solo tre guerre: ha bastonato la Cecenia perché ne andava dell’integrità della Russia, nel 2008 ha fatto la campagna di Georgia e nel 2014 quella di Crimea. Sono conflitti che non hanno ragioni strategiche, sono serviti a mantenere l’unità della Russia. Se davvero fosse un guerrafondaio avrebbe mosso contro i baltici, ma a lui non gliene frega niente. L’allarme per promuovere il riarmo è ingiustificato. Per capirci: se gli Usa vedessero che in Messico e in Canada si instaurano regimi filocinesi pensiamo che starebbero buoni? Così è successo a Putin; lui ha delle linee rosse: la Georgia, la Crimea, gli oblast ucraini. Oltre non va».Siamo tornati a Francesco: la Nato che abbia ai confini della Russia… «Questo ormai lo sanno tutti, lo ha ammesso anche il New York Times che l’allargamento a Est della Nato è stato una sorta di provocazione. Nel 2015 per la prima volta dopo la presa della Crimea nessun leader occidentale andò alla parata del 9 maggio a Mosca. Ma c’erano già gli accordi di Minsk che l’Occidente non ha fatto nulla perché fossero rispettati e che sono la base da cui si è ripartiti nel 2022. Mentre protestavamo per la Crimea avevamo già distrutto la Libia».Qui però potrebbe intestarsi la mediazione vaticana: sarebbe necessario sostituire Parolin?«Non so come il Papa intenda muoversi, quanto alla sostituzione del segretario di Stato difficilmente avviene, anche se la diplomazia vaticana da Bergoglio è stata depotenziata. Se mai un cambiamento avvenisse, non sarebbe in tempi rapidi. Bergoglio cominciò il suo pontificato volendo intervenire sulla Curia in modo assai incisivo. Mi pare che Leone XIV sia diverso; di certo sta cercando le strade giuste per aprire un dossier russo-ucraino. A ostacolarlo, oltre alle ragioni religiose che sono complicatissime, ma che il Papa può affrontare, ci sono ragioni economiche profonde in quel conflitto. Che riguardano anche l’America. Certo è che il Papa è americano».
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