2021-12-29
Davide Oldani: «È imperdonabile sottovalutare i formaggi in cucina»
Lo chef Davide Oldani (Neri Oddo)
Lo chef bistellato: «Le nostre Dop vanno valorizzate, a partire dal Grana Padano. Un cuoco ha infinite possibilità di utilizzarle».Neppure 30 chilometri da Sud-Est a Nord Ovest di Milano separano Chiaravalle da San Pietro All’olmo. Sono l’alfa e l’omega di questa storia di fragranze, di sapienze. Tutto comincia all’Abbazia di Chiaravalle con San Bernardo di Clairvaux che arriva nelle paludi assolate lombarde attorno al 1135. Qui, dove oggi c’è il parco agricolo a Sud di Milano che ruota attorno all’antichissimo complesso conventuale cistercense, lui con i suoi monaci rende lode al Creato facendo come impone la regola benedettina. Ma facendo cosa? Il latte. Così tanto che deve conservarlo e perciò «inventa» il Grana Padano. Dà forma al buono. Passano nove secoli e un altro meneghino s’inventa la forma dal buono. Si chiama Davide Oldani, di mestiere cuoco, ma curioso intellettualmente di professione. Anche lui ha in testa di rendere migliore la vita degli uomini con quello che fa e ha creato la pop-cucina, che a dirla così può sembrare una trovata ed è invece un impegno anche morale che Oldani assume con chiunque trovi posto (ed è un’impresa visto che le prenotazioni si allungano di mesi) nel suo nuovo D’o, sempre a San Pietro all’Olmo. Come ai tempi dei grandi movimenti d’intelletto anche la cucina pop ha un suo «manifesto». I punti salienti? La priorità per chi cucina è l’attenzione al benessere delle persone, il contenitore deve valorizzare il contenuto, ogni attività deve avere un profitto, ma i prezzi devono essere corretti e ogni ingrediente, dal più umile al più ricercato, merita lo stesso rispetto.Partiamo da qui, dall’ingrediente…«L’ho praticato e predicato e per me è impegno quotidiano: noi che facciamo cucina siamo il terminale di una filiera che è fatica e rispetto dell’ambiente per cui abbiamo l’obbligo di usare solo prodotti italiani e di valorizzarne la qualità».Questo suo appello è partito parlando di formaggi. Lei rimprovera che c’è poca attenzione alla qualità di questo ingrediente fondamentale nella cucina italiana.«Sì perché vedo che si tende a risparmiare su questo ed è un errore madornale, non solo perché non si danno le giuste opportunità ai produttori, ma perché facciamo un danno a noi stessi e non rispettiamo il cliente. Abbiamo dei formaggi che sono dei valori assoluti. Penso al Grana Padano, ma non solo. È un errore imperdonabile non usarli, non dare il giusto valore alle Dop o usare dei prodotti similari».Nella sua cucina pop che posto hanno i formaggi e il Grana Padano di cui lei è ambasciatore?«Nella mia cucina c’è un bilanciamento dei menù. Il Grana Padano di cui sono ambasciatore e da anni ormai collaboro con il Consorzio è uno degli ingredienti della mia cucina. Lo uso in quantitativi equilibrati, quanto serve a dare consistenza, fragranza, personalità al piatto. Peraltro questo è l’unico modo che si ha per valorizzare davvero l’ingrediente. In particolare ho fatto una ricerca sulla Riserva perché dà un’intonazione di profumo e di sapore differente e poi è un prodotto che è la sintesi dei nostri valori agricoli e gastronomici».Lei si riferisce alla filiera?«Si, ma anche a un punto cardine della mia cucina pop: il benessere del cliente. Il Grana Padano, ma come anche altri formaggi racconta una civiltà rurale e un’abilità produttiva unica, pensare alla pianura padana a me fa va venire in mente i pascoli, le acque, il naturale. Per un cuoco che fa ricerca avere la possibilità di attingere a un prodotto che da fresco diventa ottimo per mantecare, che da stagionato diventa una possibile declinazione di sapore in un piatto, che nella Riserva esprime consistenze diverse e costituisce una base straordinaria a esempio per la mia ormai famosa cipolla caramellata è un valore aggiunto notevolissimo che mi spinge a coltivare la variabilità la diversità». Variabilità che è la cifra da sempre della sua cucina, ma che pare accentuata nei nuovi menù«Esattamente perché bisogna coltivare il benessere attraverso la diversità. Io non metto mai più di un piatto con il solito ingrediente in un mio menù. Se c’è il formaggio in un piatto, poi in tutto il menù non ci sarà formaggio e così per tutte le materie prime. La mia idea di cucina è di allargare al massimo lo spettro di esperienza che si può offrire a chi degusta avendo come prima preoccupazione la sua salute».Un suo maestro Alain Ducasse - lei è stato allievo anche di Gualtiero Marchesi e di Albert Roux - sosteneva che quando i cuochi italiani avessero imparato a usare la diversità d’ingredienti di cui dispongono la cucina francese sarebbe stata «sconfitta». È così?«Non è un derby e non mi piace fare paragoni, certo Ducasse colse nel segno perché se siamo bravi a esaltare la diversità abbiamo un’arma in più. Dobbiamo riferirci al territorio, dobbiamo stimolare ed esaltare la qualità, dobbiamo collaborare con i nostri fornitori per migliorare costantemente. Poi però ci vogliono anche tecnica, attenzione, ci vuole un progetto di cucina».Beh lei lo ha avuto; l’hanno chiamata ad Harvard al’Hec di Parigi a fare lezione per spiegare il suo business fondato sull’idea anche del prezzo popolare. È ancora così?«L’idea non è il prezzo popolare, ma il prezzo giusto. Bisogna non essere cari, bisogna che il prezzo sia adeguato al valore di ciò che si propone e sia accessibile. Il caviale non è caro se si pensa al suo valore, compito mio è di renderlo accessibile. Il Grana Padano non è caro, è un valore e va reso accessibile, il che significa che nella valutazione costo-beneficio chi ne usufruisce deve comunque percepirne un vantaggio».Sono tempi difficili eppure lei ha aperto il suo Cafè, un ristorante a Manila, ha rifatto il D’O, ha creato marchi per il design di oggetti di cucina e di arredamento ispirati a uno dei pilastri della pop cucina: l’osservazione. È in controtendenza?«No, non nascondo che le difficoltà ci sono per il settore, ma se non si rilancia non si costruisce futuro. La mia attività come la mia cucina tendono a essere una perfetta sintesi tra tradizione intesa come eredità consolidata e innovazione intesa come proiezione verso nuovi traguardi. Per le feste abbiamo cucinato nelle case italiane secondo tradizione. Benissimo e lo si farà anche per il Capodanno. Però abbiamo fatto piatti meno grassi, meno abbondanti. Anche questa è innovazione. Compito mio come chef è di andare ancora più avanti, sperimentare nuove forme, cercare abbinamenti nuovi attingendo però dalla nostra terra e dalla nostra dispensa. Quello è il valore, io ci aggiungo le idee».