2024-07-22
«Chi punta solamente sul mercato di Pechino sarà battuto dai cinesi»
L’esperto Alessandro Aresu: «Sui chip gli Usa resteranno avanti, l’Europa rischia. Trump e Musk? Amici e nemici. Occhio invece al ruolo di Thiel».Sardo. Amante del Poetto. Rigorosamente non vegano. Un pensatore concreto, prestato alla politica. Alessandro Aresu trascorrerà l’estate a terminare il suo terzo libro sul capitalismo politico. Nel frattempo l’Europa si arrabatta per creare una Commissione, i dem Usa si scannano per la leadership, Trump avanza (forse cercherà di riallontanare la Russia dall’influenza cinese) e la tecnologia cresce di peso. Volenti o nolenti un enorme peso specifico alla base di tutte le future scelte politiche e geopolitiche. E quindi in mezzo a tali incertezze interrompiamo Aresu per qualche domandina.Se Vince Donald Trump a novembre che ci dobbiamo aspettare in termini di dazi? Non solo auto e acciaio, ma che succederà all’industria globale dei microchip?«I dazi sono nel linguaggio e nella visione di Trump-Lighthizer, quindi con la loro squadra arriveranno. Come ricorda il principale esperto di Trump, Germano Dottori, il tycoon decenni fa invocava i dazi verso il Giappone. Ora, con l’ascesa evidente di quello che chiamo “capitalismo politico” (all’inglese, “economic statecraft”), viviamo in un mondo in cui queste cose sono moneta corrente. Biden ha mantenuto i dazi di Trump, anche verso l’Europa, e sulla Cina ha aggiunto quelli su auto elettriche, batterie eccetera. Inoltre, se un governo europeo si comporta come “amico” di Trump, ciò non cambia queste dinamiche. Attenzione, però: l’industria dei chip è troppo complicata e interdipendente perché i suoi dilemmi possano essere risolti da dazi trumpiani. Non succederà. Trump aveva iniziato a provare il processo di rinascita manifatturiera statunitense, senza riuscirci, mentre gli investimenti iniziati sotto Biden sono concreti (anche se privi di effetti elettorali, al contrario di quello che pensavano i Democratici), e l’America beneficia del superciclo dell’intelligenza artificiale, di cui è l’attore fondamentale».L’altro giorno sono bastate alcune sue dichiarazioni per far crollare in Borsa i colossi taiwanesi… Sarà un trend?«Va considerata la correzione di un mercato cresciuto molto nelle valutazioni, nonostante sia economicamente e strategicamente l’industria più importante al mondo. Ma gli Stati Uniti, il Giappone e i Paesi Bassi restano davanti alla Cina nelle aziende decisive per la produzione di macchinari per i chip. Non vedo capacità concrete cinesi di fare a meno di Asml, Applied Materials, Tokyo Electron e aziende simili. In quell’industria, c’è un grosso problema tutto europeo perché i cinesi, bloccati su alcuni ambiti dai controlli sulle esportazioni statunitensi, innovano sempre più nei chip per l’automotive e impongono e imporranno alle loro aziende di ridurre gli acquisti degli europei, che sono Stm, Infineon, Nxp: il problema urgente è questo. L’era del capitalismo politico impone la diversificazione rispetto alla Cina e chi scommette sul mercato cinese sarà battuto dai cinesi».Trump ha detto che gli americani sono «stupidi» perché i taiwanesi hanno «rubato» le loro capacità dei chip.«Una cosa molto divertente è che il genio imprenditoriale che ha costruito il primato di Taiwan, Morris Chang, esattamente 40 anni fa, nel 1984, viveva a New York nella Trump Tower, e ogni tanto incontrava lo stesso Trump. Morris Chang non ha “rubato” proprio nulla: l’America non ha riconosciuto la sua grandezza, perché non è mai diventato amministratore delegato di Texas Instruments, e lui ha realizzato le sue idee, che erano migliori, altrove. A Taiwan».In merito al futuro dell’intelligenza artificiale quale sarà l’approccio americano nei prossimi anni? Lo chiedo in riferimento alla cristallizzazione che l’Ue sta cercando di imporre con l’Ai Act… si può dire che l’Ue vuole normare ciò che nemmeno ha inventato?«Facciamo una scommessa: io sono un ottimo cuoco, quindi offro una cena a ogni ricercatore o imprenditore al mondo che mi dimostri con sincerità di essere tornato in Europa dagli Stati Uniti o dall’Asia esclusivamente per via dell’Ai Act. Risultato: mi toccherebbe mangiare la fregola con bottarga da solo. Invece di perdere tempo, parliamo invece di capitali, talenti, aziende. L’Europa sui supercomputer ha fatto cose egregie. Crescono startup interessanti, come Axelera. Bisogna ridurre le barriere per far arrivare talenti in Europa. E se un ventesimo del tempo che impieghiamo a parlare di regole sull’intelligenza artificiale lo utilizzassimo per rendere competitiva l’industria chimica europea, consentire alle aziende chimiche (base essenziale e ineliminabile della transizione digitale ed ecologica) di operare in Europa senza distruggere la loro operatività con regole, procedimenti e autorizzazioni, impiegheremmo meglio il tempo. Oppure parliamo di navi rompighiaccio, di subacqueo: insomma, scegliamo priorità concrete, senza renderci ridicoli». Insomma, gli Usa si confermano leader sull’intelligenza artificiale.«Delle regole europee ovviamente a loro non importa quasi nulla, ed è scontato, gli importa di Asml e di dove ci sono capacità industriali e capitali. Gli Usa devono bilanciare il loro oligopolio tecnologico e l’interventismo sulla sicurezza nazionale e allo stesso tempo lavorare su Paesi non troppo allineati con enormi risorse da investire anche in quest’ambito, come le monarchie del Golfo. E poi, dovranno presidiare di più, anche con l’intelligence, ciò che la Cina fa in luoghi come Singapore, la Malesia e altre frontiere della guerra tecnologica».Quale sarà la posizione di Trump sull’Ia?«Dipende dai suoi finanziatori e dai loro interessi specifici. Oltre che da alcuni aspetti di sicurezza nazionale per cui l’intelligenza artificiale è tema da Stato profondo: del resto, mica l’ex capo della Nsa è andato nel consiglio di amministrazione di OpenAi per gioco».Invece come potrà evolversi il rapporto Musk-Trump?«Amici-nemici. Da un lato, elogi e finanziamenti. Dall’altro lato, contrasti. In termini di “art of the deal” trumpiana, il punto è che ci sono aspetti su cui Musk è troppo forte, soprattutto lo spazio: siccome lui domina quel settore, non puoi controbilanciarlo con altri attori, perché non funziona. Usi Boeing contro Musk? Impossibile. E questo genera uno squilibrio. Ma per me, è da tempo molto più importante il rapporto tra Peter Thiel e Trump: ne ho parlato in un saggio di 8 anni fa. Confesso, anche per debolezza intellettuale: Thiel parla del Signore degli Anelli, certo, e del katechon, di Strauss e Kojève. Il percorso di Thiel va da René Girard a DeepMind, da Zuckerberg a Palantir, nel mentre assumendo e finanziando J.D. Vance».Musk raggiungerà i suoi obiettivi via Starlink? Si parla di 42.000 satelliti…«Non so se Musk arriverà realmente a quel numero in tempi brevi ma l’obiettivo è avere autorizzazioni governative in grado di garantirlo. Nel mentre, Starlink ha senz’altro battuto le aspettative e ha sorpreso i suoi critici. Chi si concentra solo sulla controversa immagine di Musk non vede l’enormità di quello ottenuto da Musk con la sua eccezionale manager, Gwynne Shotwell: Starlink genera già oggi ricavi miliardari e l’economia spaziale è diventata un affare molto più concreto. Non si vedono concorrenti in grado di impensierire veramente Musk in quest'ambito e questo gli dà enorme influenza».Nel tuo libro Il dominio del XXI secolo che tratta soprattutto della guerra tra Cina e Usa c’è un capitolo anche dedicato alla Turchia. Quale ruolo ti aspetti da Ankara nel prossimo decennio nel Mediterraneo e nel caso ripartano a tutto regime gli accordi di Abramo?«L’esempio di Bayraktar è significativo perché ha a che fare col talento e l’ambizione: uno che poteva fare il professore e l’imprenditore negli Usa a un certo punto torna in Turchia perché ha un progetto forte per la sua nazione, e lo realizza. Inoltre, ha ambizioni politiche e di potere, non sono solo soldi. È una storia che mostra l’importanza della Turchia, che continuerà a essere un attore chiave in tutti i teatri di interesse per l’Italia, da quello balcanico – importantissimo – a quelli africani».In un recente viaggio in Israele ho potuto vedere con i miei occhi enormi cantieri finanziati da corporation Usa tra Cesarea e Haifa. Diventerà una nuova Silicon valley? In caso con quali tecnologie?«Google vuole comprare un’azienda israeliana cyber per 23 miliardi. Intel è in Israele dal 1974. E soprattutto, come spiegherò nel mio nuovo libro in uscita a ottobre sulla geopolitica dell’intelligenza artificiale, che concluderà la mia trilogia sul capitalismo politico, proprio Israele è il Paese chiave dell’ultima parte del successo di Nvidia. Ci sono già capitali e grandi talenti. Alcuni dicono: il contesto attuale spinge l’ecosistema della tecnologia per la difesa. Ma lì Israele ha anche un tema di forza lavoro: fare la guerra e sostenere l’ambizione tecnologica allo stesso tempo non è semplice».Ultima domanda. È l’anno della radio e di Guglielmo Marconi. Senza di lui non avremmo le tlc, i satelliti e perfino l’Ia. Eppure in Italia è mezzo dimenticato. Perché e cosa fare per dargli gli onori che spettano?«Ci sono aspetti ideologici, ovviamente, lasciamoli da parte perché ci porterebbero troppo lontano. In sintesi, Marconi è stato un grande ricercatore-imprenditore, con una vocazione internazionale. Difficilmente le due identità, ricerca e impresa, stanno insieme nel contesto italiano (ma anche europeo) nelle stesse persone. Se non stanno insieme, nel mondo di oggi siamo morti. Se stanno insieme, siamo più forti. E Marconi ci indica proprio questo tema».
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