2023-08-11
        Più inquinamento contro il riscaldamento
    
 
Paradosso della scienza: le particelle emesse dai carburanti puliti delle navi non riflettono il Sole e favoriscono le alte temperature. Una studiosa ammette: «Manipolato il consenso sul global warming». Ma Frans Timmermans sfrutta i sondaggi per blindare il Green deal.Guarda i casi della vita. Succede che ci facciamo in quattro per diventare più ecosostenibili e, quando ci riusciamo, scopriamo che forse, proprio in quel modo, abbiamo dato una spintarella al riscaldamento globale. A cosa ci stiamo riferendo è presto detto: parliamo di una curiosa ipotesi che gli scienziati stanno prendendo in considerazione, per spiegare quello che Copernicus, il programma europeo di monitoraggio satellitare del pianeta, ha già definito «il luglio più caldo di sempre». La sorpresa è questa: oltre alle emissioni antropiche, a El Niño (fenomeno periodico che scalda le acque del Pacifico) e all’eruzione sottomarina del vulcano di Tonga, un ruolo nell’innalzamento delle temperature lo starebbero giocando i carburanti puliti usati dalle navi. Lo ha riferito ad Associated Press il climatologo della Florida State University, Michael Diamond: le vecchie nafte emettevano particelle in grado di riflettere i raggi del Sole, applicando una sorta di schermo che raffreddava l’atmosfera e correggeva gli effetti del global warming. In effetti, quei solfuri interagivano con le nuvole più basse, schiarendole e aumentandone la capacità riflettente. Dal 2020, sono entrate in vigore le norme che hanno imposto un taglio dell’80% di quelle molecole contaminanti. Risultato: i raggi, ora, sono completamente liberi di arrivare al suolo. Un indizio in favore della veridicità dell’ipotesi lo ha trovato Tianle Yuan, della Nasa: egli ha tracciato le alterazioni nelle nubi associate alle rotte del Nord Atlantico e del Nord Pacifico che, quest’estate, sono risultate più calde. Traduciamo il concetto in termini semplici: per inquinare di meno, abbiamo scaldato di più. Si chiama eterogenesi dei fini, o conseguenza non intenzionale di un’azione. E ci ricorda che il clima funziona in base a meccanismi molto complicati, per controllare i quali non basta di sicuro andarsene in giro con l’auto elettrica, oppure convertirsi al consumo di hamburger vegani.Che le cose siano un po’ più complesse, per citare Giulio Andreotti nel film Il Divo, lo dimostra la candida ammissione di una ricercatrice al New York Post: il presunto «enorme consenso» sulle questioni legate al climate change è frutto di una manipolazione accademica e mediatica. Judith Curry, da climatologa del Georgia institute of technology, aveva vergato un articolo sul consistente aumento di intensità degli uragani, subito sfruttato da giornalisti e attivisti per diffondere messaggi sull’apocalisse imminente. Poi, alcuni colleghi hanno evidenziato dei difetti nello studio, a cominciare dal fatto che erano stati ignorati gli anni in cui si erano verificati uragani di basso livello. Lei, ricontrollando, ha capito che avevano ragione loro. Ma nessuno ha pubblicizzato la cosa. E adesso la Curry cita fughe di email, dalle quali si evincerebbero le strategie degli scienziati allarmisti: «Schivare le richieste di accesso agli atti. Provare a far licenziare i direttori delle riviste» che rifiutano la retorica catastrofista. L’esperta punta il dito sull’«industria del cambiamento climatico», nella quale i fondi pubblici fluiscono verso chi misura l’impatto delle attività umane sull’ambiente, mentre i tecnici stessi, per attrarre finanziamenti, indulgono in annunci sensazionalistici. Curry conclude che il «consenso» - quello invocato dai nostri tele-Savonarola, tipo Mario Tozzi, per dichiarare chiuso ogni dibattito - «è manipolato».Similmente, paiono un tantino suggestivi i quesiti del sondaggio di Euobarometro, sul quale ieri si è fiondato Frans Timmermans, per serrare i ranghi sul Green deal. I cittadini interpellati, ad esempio, si dichiarano entusiasti delle rinnovabili, purché servano ad abbassare il costo dell’energia e a diventare autonomi. Sicuro che gli intervistati fossero capaci di valutare se tali obiettivi siano raggiungibili tramite solare ed eolico? Il numero due della Commissione gongola: «I cittadini europei hanno chiara la portata delle minacce dei cambiamenti climatici». Ed è vero che, in sette Paesi membri Ue (su 27…), questa è considerata la più grave emergenza. A ben vedere, tuttavia, si scoprono dei distinguo interessanti, specie nelle risposte del campione italiano. I nostri connazionali sono più preoccupati per la guerra e la situazione economica; e se il 43% si sente vulnerabile ai disastri naturali, significa che il 57% non ha proprio il pensiero fisso sulle calamità. Inoltre, gli italiani ritengono che si debba intervenire per limitare i prezzi delle bollette, intanto che si investe sulle fonti pulite.Un autentico bagno di saggezza arriva, poi, dall’indagine del Pew research center statunitense su alcuni americani che qui definiremmo «negazionisti». Quelli che dovrebbero essere i bifolchi del Midwest mostrano, al contrario, molto più buon senso degli eurocrati che vorrebbero imporre le stesse leggi - peraltro masochiste - a un intero continente. Gli scettici vengono dipinti come ostili alla scienza, però la loro è una posizione acuta: apprezzano la competenza, ma vogliono vederci chiaro sugli interessi finanziari e i pregiudizi personali dei singoli esperti. «Credo che il clima stia cambiando», commenta un cinquantenne intervistato, «ma non che gli uomini siano al 100% responsabili». Un altro lamenta che gli annunci apocalittici, anziché renderlo più preoccupato, lo rendono «più scettico». Un ventenne dà una lezione a tanti suoi coetanei: «Gli allarmisti tendono a volere politiche davvero drastiche che non sembrano aver senso, e questo fa perdere credibilità alle altre cose che dicono». Un suo coetaneo rincara la dose: «Siamo così dipendenti dai combustibili fossili che, per sostituirli, dovremmo azzopparci. Ragionevolmente, servirebbero 40, 50 anni, quindi credo sia eccessivo bandire le auto a gas nel 2035». Alla faccia dei burosauri, che non hanno mai dovuto fare i conti a fine mese, né sanno cosa significhi gestire un’impresa. Per favore, a Bruxelles mandateci i giovani della rust belt.
        Leonardo Apache La Russa (Ansa)
    
Nessuna violenza sessuale, ma un rapporto consenziente». È stata archiviata l’indagine a carico di Leonardo Apache La Russa e l’amico Tommaso Gilardoni, entrambi 24enni, accusati di violenza sessuale da una di ventiduenne (ex compagna di scuola di La Russa jr e che si era risvegliata a casa sua).
        Nel riquadro, Howard Thomas Brady (IStock)