2023-10-12
«L’Italia chiamò»: 77 anni fa l’inno di Mameli diventava ufficiale (provvisoriamente)
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Inno di Mameli. Edizione degli anni della Grande Guerra (Wikicommons)
Tra i brani più noti del Risorgimento, il «Canto degli italiani» ha dovuto aspettare il 1946 per diventare inno ufficiale. E addirittura il 2017 per l’approvazione definitiva.“Su proposta del ministro della Guerra si è stabilito che il giuramento delle Forze Armate alla Repubblica e al suo Capo si effettui il 4 novembre p.v. e che, provvisoriamente, si adotti come inno nazionale l’inno di Mameli”. Era il 12 ottobre del 1946, esattamente 77 anni fa, quando un comunicato stampa rendeva nota la decisione presa dal Consiglio dei ministri presieduto da Alcide De Gasperi. Il nuovo governo italiano andava a istituzionalizzare, seppur “provvisoriamente”, l’inno risorgimentale che già da tempo era nell’immaginario del popolo italiano. Per quanto sembri incredibile, la decisione temporanea restò tale per gran parte della storia della Repubblica. Solo con la legge 4 dicembre 2017, n. 181, la Repubblica ha riconosciuto definitivamente il Canto degli italiani (questo il suo vero titolo) come inno nazionale. I due commi che compongono la legge recitano:“1. La Repubblica riconosce il testo del Canto degli italiani di Goffredo Mameli e lo spartito musicale originale di Michele Novaro quale proprio inno nazionale.2. Con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, ai sensi dell'art. 1, comma 1, lettera ii), della legge 12 gennaio 1991, n. 13, sono stabilite le modalità di esecuzione del Canto degli italiani quale inno nazionale. La presente legge, munita del sigillo dello Stato, sarà inserita nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. È fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge dello Stato”.Negli eventi ufficiali vengono eseguite solo le prime due strofe di otto versi, per una durata di circa un minuto. Il testo integrale è però più lungo, ma presenta termini oggi divenuti imbarazzanti per ovvi motivi (“I bimbi d'Italia si chiaman Balilla”) e altri legati a contingenze politiche oggi non immediatamente recepibili, oltre che scritti con una lingua troppo cruda per la delicata sensibilità contemporanea (“già l’aquila d’Austria le penne ha perdute. / Il sangue d’Italia e il sangue Polacco / bevè col Cosacco, ma il cor le bruciò”).Goffredo Mameli scrisse l’inno il 10 settembre 1847, intitolandolo Il canto degli Italiani. Mameli, giovane patriota di famiglia aristocratica, morirà poi a 21 anni a Roma, nel 1849, in seguito a una ferita infetta che si procurò durante la difesa della Repubblica Romana. La giovane età del poeta ha fatto ipotizzare a qualche commentatore che il vero autore fosse qualcun altro, anche se l’ipotesi è scartata dalla maggior parte degli studiosi. Il testo fu poi musicato da Michele Novaro, compositore e patriota, il 24 novembre del 1847. Cantato per la prima volta a Genova durante una festa popolare, l’inno fu subito proibito dalla polizia, ma dopo i moti del 1848 fu suonato e cantato dalle bande musicali e dai soldati partenti per la guerra di Lombardia. In breve, divenne il canto più amato del Risorgimento italiano e degli anni successivi all’unificazione.Dopo l'unità d'Italia, la natura battagliera e giacobina del testo di Mameli portò i Savoia a preferirgli, come inno, la Marcia reale, mentre sotto al fascismo la priorità fu data ai canti del Regime, anche se le canzoni del Risorgimento erano comunque tollerate. Tra l’armistizio dell’8 settembre 1943 e il 2 giugno 1946, il Cnl (Comitato Nazionale di Liberazione) adottò La canzone del Piave, ispirata ai fatti tra la disfatta di Caporetto e la riscossa di Vittorio Veneto durante la Prima Guerra Mondiale, come inno nazionale contro i tedeschi.Nel dopoguerra, come detto, l’inno di Mameli trovò finalmente l’ufficialità, seppure per diversi decenni “provvisoria”. Dal punto di vista del sentire comune, tuttavia, il brano ha conosciuto alti e bassi. Molti ne hanno contestato l’andatura da “marcetta”. E il clima anti nazionalista degli anni Sessanta e Settanta certo non ha aiutato. Fatto sta che per molto tempo l’inno non ha goduto di grande popolarità. Orecchiato da tutti ma poco conosciuto, ci si era abituato a sentirlo solo prima delle partite di calcio della Nazionale, con il pubblico che ricordava a malapena l’incipit e i calciatori comunque rigorosamente muti. Con la presidenza Ciampi e la sua riabilitazione dell’immaginario risorgimentale l’aria è cambiata (oggi gli atleti vivono il momento dell’inno con grande trasporto e partecipazione).
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)