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2018-05-28
Infront perde l'Inter, teme per il Milan e attende la spada di Damocle dell'Agcom
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ANSA
Dietro alle facce scure del calcio italiano sulla possibile risoluzione del contratto di Mediapro - l'intermediario spagnolo che si è aggiudicato i diritti tv per la Serie A per più di 1 miliardo di euro - c'è un'ombra lunga chiamata Infront. L'advisor della Lega Calcio, ormai da anni impegnato nell'assistere le nostre società calcistiche, già coinvolto in un'inchiesta della Procura di Milano poi archiviata, si ritrova in una fase più che mai complessa della sua storia. In teoria quest'anno era prevista la quotazione in Borsa, ma ora è tutto fermo in attesa di capire come saranno sciolti diversi nodi rimasti aggrovigliati sul tappeto. Soprattutto ci sono le due pendenze all'Antitrust e alla Corte dei conti, perché se la Procura di Milano ha archiviato l'inchiesta per associazione a delinquere e turbativa d'asta, sia l'authority sia la magistratura contabile potrebbero entro quest'anno comminare multe milionarie.
Finita l'era di Marco Bogarelli, dopo il cambio ai vertici con l'arrivo del renziano Luigi De Siervo nel 2016, il colosso internazionale del marketing sportivo con sede in Svizzera rischia di sparire dall'Italia. Si tratta di una rivoluzione che potrebbe essere imminente, stravolgendo gli ultimi dieci anni del panorama economico calcistico italiano e che passa, giocoforza, anche dalla decisione di lunedì dell'assemblea di Serie A. Infront è stato per anni il vero padrone assoluto del nostro calcio, anche perché era il cardine di un meccanismo che portava a un consistente rialzo dei ricavi sui diritti, ma che al contempo forniva un management adeguato alle squadre. Secondo una fonte della Verità, De Siervo non ha responsabilità per l'ultima bufera intorno ai diritti tv. Aveva promesso di portare più soldi alla Lega Calcio e ci sta provando. Ma c'è di più sotto la cenere.
Oltre alle voci su una possibile uscita dei cinesi di Wanda group, che potrebbero vendere per rientrare del proprio debito, non è passata inosservata agli addetti ai lavori la decisione dell'Inter, oggi nelle mani del gruppi Suning, di non rinnovare il proprio contratto con Infront. Nell'aprile del 2014 fu Eric Thohir a proseguire con Infront Italy, scegliendola al posto di Rcs Sport per sviluppare l'area sponsorship e l'offerta legata alla corporate hospitality. Il contratto di quattro stagioni ha assicurato ai nerazzurri ricavi minimi per 80 milioni (20 milioni all'anno). Ma i rapporti risalgono al 2011 e il contratto, che La Verità ha avuto modo di visionare, prevedeva anche accordi sugli archivi della Rai, dove si spiegava che la nostra azienda televisiva di stato (dove De Siervo è stato amministratore delegato di Rai com, società del gruppo che si occupa della diffusione dei canali della capogruppo nel mondo) aveva accesso «all'archivio e agli altri materiali digitalizzati da Infront e utilizzare le relative immagini per l'esercizio dei diritti ad essa riservati a fronte di un canone annuo omnicomprensivo pari a euro 50.000 oltre Iva».
Inoltre Infront aveva a disposizione la commercializzazione di immagini, allenamenti, interviste e conferenze stampa; l'incarico di produzione del segnale audiovisivo delle gare ufficiali di campionato e coppa; persino la licenza d'uso di marchi, loghi e segni distintivi ai fini della realizzazione e commercializzazione di giochi elettronici. In sostanza era un accordo di sistema importante che ora si spegne. Non solo. Indiscrezioni raccontano che il prossimo a lasciare Infront possa essere il Milan, la società che più è stata al fianco dell'advisor in questi anni, anche perché molti manager arrivavano proprio dai rossoneri. Come raccontato da La Verità, gli incroci tra il mondo Infront e l'ex presidente Silvio Berlusconi erano molto fitti, tanto che anche Riccardo Silva di Mp&Silva, leader mondiale per i diritti sportivi, può vantare rapporti commerciali anche con la figlia del Cavaliere, Barbara Berlusconi. Il Milan è in una situazione economica drammatica. La camera di investigazione dell'Organo di controllo finanziario per club dell'Uefa ha deciso di rinviare la società alla camera giudicante per la violazione delle norme del fair play finanziario, in particolare per la violazione della regola del pareggio di bilancio (break-even rule). C'è il rischio di perdere giocatori e soprattutto la partecipazione alle coppe europee, un colpo durissimo per le casse societarie. Già adesso, dal punto di vista economico (la differenza tra ricavi e costi) i conti del Milan mostrano un rosso, per l'esercizio 2017-2018, di 80 milioni di euro. È possibile quindi che slegarsi da Infront possa essere quasi una scelta obbligata.
Ma la vera spada di Damocle che pende in Italia sulla società di Philippe Blatter è quella dell'Antitrust. Se le inchieste in Procura sono state chiuse, quella dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato è ancora in piedi e si basa proprio sulle carte che La Verità ha pubblicato nelle scorse settimane. La data fatidica è il 31 ottobre, quando sarà chiusa l'istruttoria che potrebbe comminare multe molto salate. Il punto è che la stessa Agcom ha rilevato come «dalla commercializzazione all'estero dei diritti audiovisivi per la trasmissione delle partite di calcio delle competizioni organizzate dalla Lega Professionisti Serie A (di seguito anche "Lega Calcio" o "Lnpa" ) e delle partite del campionato di Serie B in territori diversi dall'Italia (diritti internazionali) sarebbe stata oggetto di un'intesa restrittiva della concorrenza, posta in essere da alcuni operatori che hanno partecipato alle gare indette per la vendita di tali diritti audiovisivi agli intermediari indipendenti».
Le gare sotto la lente di ingrandimento sono quelle che vanno dal 2009 al 2014. «In particolare, MP Silva Limited, IMG e B4», si legge, «avrebbero coordinato le proprie offerte economiche in vista dell'assegnazione finale operata dalla Lega Professionisti Serie A. A seguito dell'assegnazione a MP Silva Limited, i tre soggetti, anche in virtù degli articolati rapporti contrattuali di collegamento societario e finanziari fra essi intercorrenti, stipulati prima dell'indizione delle gare, avrebbero proceduto a ripartire i ricavi derivanti dalla vendita all'estero dei diritti TV per le competizioni organizzate dalla Lega Serie A e a trasmettere le partite in distinti ambiti geografici in cui operano». Per questo motivo, sostiene il garante, «è possibile ipotizzare un'intesa continuata, restrittiva della concorrenza posta in essere da MP Silva Limited, IMG e B4 in violazione dell'articolo 101, comma 1, del Tfue volta ad alterare il confronto competitivo nelle procedure indette dalla Lega Serie A per l'assegnazione dei diritti TV per la visione delle competizioni di calcio nei territori diversi dall'Italia, a ripartirne gli utili e le aree geografiche di distribuzione». E «l'insieme delle condotte contestate non esclude peraltro che le parti del presente procedimento abbiano posto in essere un coordinamento anche più ampio con riferimento ai diritti televisivi relativi ad altri eventi sportivi». Una stagione sta per finire, forse potrebbe essere un'opportunità per rivoluzionare il nostro calcio.
Alessandro Da Rold
INFOGRAFICA
La paura del Milan fa 303

LaPresse
«Dica 303». Il Milan ha la febbre altissima. E all'orizzonte non si intravedono luminari in grado di somministrare il farmaco necessario. Farmaco che ha un solo nome: soldi. Tanti, tantissimi soldi. Il buco in bilancio è una voragine, i rossoneri hanno già un piede fuori dalla prossima Europa League. L'Uefa ha negato il settlement agreement al club rossonero, che rischia l'esclusione dalle coppe e il blocco del mercato in entrata. Dalle 22 pagine di dispositivo emergono i dubbi dell'Uefa sulla effettiva proprietà del Milan, oltre al ritardo sul versamento di una tranche da 10 milioni dell'aumento di capitale di 40 milioni complessivi, da completare entro il prossimo 30 giugno.
Ma a far tremare le vene ai polsi dei tifosi rossoneri sono le difficoltà che Yonghong Li, patron della società, ha nel restituire il prestito-ponte da 303 milioni di euro ricevuto dal fondo Elliott. Al consiglio di amministrazione di venerdì hanno preso parte l'ad Marco Fassone, l'executive director David Han Li, Paolo Scaroni, Marco Patuano e Roberto Cappelli. Gli altri tre membri cinesi, tra cui il presidente Yonghong Li, hanno partecipato in videoconferenza. All'ordine del giorno due punti fondamentali: il rifinanziamento al prestito-ponte da 303 milioni in scadenza a ottobre ed il recente no della Uefa alla richiesta di settlement agreement. Al termine del cda, Marco Fassone non ha nascosto la preoccupazione per l'iceberg da 303 milioni che galleggia sulla rotta del Milan.
«Non credo», ha detto Fassone, «che sul rifinanziamento possa esserci una accelerazione in tempi brevissimi. Il debito del Milan è più semplice, quello della holding più complesso: se ci fosse una schiarita su questo, il rifinanziamento del Milan sarebbe abbastanza rapido». Soldi, soldi, soldi. Il triennio appena trascorso ha fatto registrare un deficit di circa 100 milioni di euro, le regole Uefa non ammettono un buco di queste proporzioni. Buco che si è prodotto anche a causa di una campagna acquisti, l'ultima, faraonica quanto improduttiva in termini di risultati. Il Milan, la scorsa estate, ha chiuso il calciomercato con un passivo di 158,6 milioni di euro. Il monte ingaggi è passato dai 70,4 milioni di euro della stagione precedente agli attuali 110, con un aumento del 57%. Eppure, la classifica finale ha inchiodato i rossoneri al sesto posto, facendo sfumate la qualificazione in Champions e i circa 40 milioni di introiti che essa procura.
L'ad Marco Fassone e il direttore sportivo Massimo Mirabelli, del resto, sapevano bene a cosa andavano incontro mentre, la scorsa estate, spendevano come se non ci fosse un domani (o meglio, come se non ci fosse la possibilità di finire fuori dai primi quattro posti). «Il ritorno in Champions», diceva Fassone, lo scorso agosto, «è l'obiettivo che la proprietà ci ha indicato, consapevole del fatto che, tanto sportivamente quanto economicamente, cambia la vita di un club, specie in Italia. La qualificazione rappresenta la meta minima che vogliamo raggiungere». E invece niente da fare: sesto posto, niente Champions, nonostante gli acquisti sfavillanti.
Il capitano Leonardo Bonucci, per dirne una, è costato la bellezza di 42 milioni di euro, a 30 anni suonati, e gli è stato concesso un ingaggio netto annuo di 7,5 milioni a stagione, con un contratto fino al 2022. André Silva, talentuosa punta centrale prelevata dal Porto per 38 milioni di euro, con un ingaggio di 2 milioni l'anno: ha segnato appena due gol, costati un milione di euro ciascuno, ed è stato utilizzato pochissimo (922 minuti giocati in campionato), sia da Vincenzo Montella che da Gennaro Gattuso. Nikola Kalinic, arrivato a Milanello in prestito con obbligo di riscatto a 25 milioni, con un ingaggio di 3,5 milioni l'anno, ha giocato 1.813 minuti, realizzando 6 gol. Numeri, quelli di André Silva e Nikola Kalinic, che impallidiscono di fronte alle statistiche stagionali di Patrick Cutrone, giovane prodotto del settore giovanile milanista, che al costo di 180.000 euro l'anno di ingaggio ha segnato 10 gol e giocato 1.512 minuti.
Non solo acquisti, ma anche mancate cessioni hanno zavorrato il bilancio milanista. A partire da Gigio Donnarumma, il portierone che incassa dal Milan 6 milioni di euro l'anno, un miliardo di vecchie lire al mese, e che non è stato all'altezza delle attese, mentre il Milan ha pagato anche un milione di stipendio al fratello, Antonio. Il prossimo anno, dunque, potrebbe andare ancora peggio, se l'Uefa escluderà i rossoneri dalle coppe: «Indipendentemente dalla partecipazione all'Europa League», cerca di tranquillizzare Fassone, «alcuni acquisti arriveranno. Non pensiamo di portare a Milano ancora 10/11 nuovi giocatori, anche per ragioni tecniche. Ne arriveranno comunque due o tre che il direttore sportivo e l'allenatore ritengono necessari. Poi se li potrò pagare 20 milioni in più o 20 milioni in meno in funzione dell'eventuale ma non auspicabile esclusione dalle coppe, cercherò di far quadrare il bilancio. Questa tegola non influenzerà più di tanto».
Carlo Tarallo
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Dopo l'addio dei nerazzurri, passati saldamente in mani cinesi, l'azienda che punta ai diritti tv della Serie A guarda con crescente preoccupazione la situazione economica assai complicata dell'altra squadra meneghina, che è anche la società italiana con cui ha i legami più stretti. E ora il garante delle telecomunicazione vuole chiarimenti su alcune gare di campionato trasmesse all'estero tra il 2009 e il 2014.L'Uefa ha acceso un faro sui rossoneri: sotto esame ci sono le difficoltà di Yonghong Li a restituire il prestito-ponte da 303 milioni di euro da parte del fondo Elliott.Lo speciale contiene due articoli. Dietro alle facce scure del calcio italiano sulla possibile risoluzione del contratto di Mediapro - l'intermediario spagnolo che si è aggiudicato i diritti tv per la Serie A per più di 1 miliardo di euro - c'è un'ombra lunga chiamata Infront. L'advisor della Lega Calcio, ormai da anni impegnato nell'assistere le nostre società calcistiche, già coinvolto in un'inchiesta della Procura di Milano poi archiviata, si ritrova in una fase più che mai complessa della sua storia. In teoria quest'anno era prevista la quotazione in Borsa, ma ora è tutto fermo in attesa di capire come saranno sciolti diversi nodi rimasti aggrovigliati sul tappeto. Soprattutto ci sono le due pendenze all'Antitrust e alla Corte dei conti, perché se la Procura di Milano ha archiviato l'inchiesta per associazione a delinquere e turbativa d'asta, sia l'authority sia la magistratura contabile potrebbero entro quest'anno comminare multe milionarie. Finita l'era di Marco Bogarelli, dopo il cambio ai vertici con l'arrivo del renziano Luigi De Siervo nel 2016, il colosso internazionale del marketing sportivo con sede in Svizzera rischia di sparire dall'Italia. Si tratta di una rivoluzione che potrebbe essere imminente, stravolgendo gli ultimi dieci anni del panorama economico calcistico italiano e che passa, giocoforza, anche dalla decisione di lunedì dell'assemblea di Serie A. Infront è stato per anni il vero padrone assoluto del nostro calcio, anche perché era il cardine di un meccanismo che portava a un consistente rialzo dei ricavi sui diritti, ma che al contempo forniva un management adeguato alle squadre. Secondo una fonte della Verità, De Siervo non ha responsabilità per l'ultima bufera intorno ai diritti tv. Aveva promesso di portare più soldi alla Lega Calcio e ci sta provando. Ma c'è di più sotto la cenere. Leggi anche Archiviata l'inchiesta Infront sui diritti del calcio, ballano ancora 245 milioni, l'inchiesta di Alessandro Da Rold e Luca Rinaldi Oltre alle voci su una possibile uscita dei cinesi di Wanda group, che potrebbero vendere per rientrare del proprio debito, non è passata inosservata agli addetti ai lavori la decisione dell'Inter, oggi nelle mani del gruppi Suning, di non rinnovare il proprio contratto con Infront. Nell'aprile del 2014 fu Eric Thohir a proseguire con Infront Italy, scegliendola al posto di Rcs Sport per sviluppare l'area sponsorship e l'offerta legata alla corporate hospitality. Il contratto di quattro stagioni ha assicurato ai nerazzurri ricavi minimi per 80 milioni (20 milioni all'anno). Ma i rapporti risalgono al 2011 e il contratto, che La Verità ha avuto modo di visionare, prevedeva anche accordi sugli archivi della Rai, dove si spiegava che la nostra azienda televisiva di stato (dove De Siervo è stato amministratore delegato di Rai com, società del gruppo che si occupa della diffusione dei canali della capogruppo nel mondo) aveva accesso «all'archivio e agli altri materiali digitalizzati da Infront e utilizzare le relative immagini per l'esercizio dei diritti ad essa riservati a fronte di un canone annuo omnicomprensivo pari a euro 50.000 oltre Iva». Inoltre Infront aveva a disposizione la commercializzazione di immagini, allenamenti, interviste e conferenze stampa; l'incarico di produzione del segnale audiovisivo delle gare ufficiali di campionato e coppa; persino la licenza d'uso di marchi, loghi e segni distintivi ai fini della realizzazione e commercializzazione di giochi elettronici. In sostanza era un accordo di sistema importante che ora si spegne. Non solo. Indiscrezioni raccontano che il prossimo a lasciare Infront possa essere il Milan, la società che più è stata al fianco dell'advisor in questi anni, anche perché molti manager arrivavano proprio dai rossoneri. Come raccontato da La Verità, gli incroci tra il mondo Infront e l'ex presidente Silvio Berlusconi erano molto fitti, tanto che anche Riccardo Silva di Mp&Silva, leader mondiale per i diritti sportivi, può vantare rapporti commerciali anche con la figlia del Cavaliere, Barbara Berlusconi. Il Milan è in una situazione economica drammatica. La camera di investigazione dell'Organo di controllo finanziario per club dell'Uefa ha deciso di rinviare la società alla camera giudicante per la violazione delle norme del fair play finanziario, in particolare per la violazione della regola del pareggio di bilancio (break-even rule). C'è il rischio di perdere giocatori e soprattutto la partecipazione alle coppe europee, un colpo durissimo per le casse societarie. Già adesso, dal punto di vista economico (la differenza tra ricavi e costi) i conti del Milan mostrano un rosso, per l'esercizio 2017-2018, di 80 milioni di euro. È possibile quindi che slegarsi da Infront possa essere quasi una scelta obbligata. Leggi anche Il re dei diritti del calcio ama l'arte, Miami e il Milan, la seconda parte dell'inchiesta di Alessandro Da Rold e Luca Rinaldi Ma la vera spada di Damocle che pende in Italia sulla società di Philippe Blatter è quella dell'Antitrust. Se le inchieste in Procura sono state chiuse, quella dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato è ancora in piedi e si basa proprio sulle carte che La Verità ha pubblicato nelle scorse settimane. La data fatidica è il 31 ottobre, quando sarà chiusa l'istruttoria che potrebbe comminare multe molto salate. Il punto è che la stessa Agcom ha rilevato come «dalla commercializzazione all'estero dei diritti audiovisivi per la trasmissione delle partite di calcio delle competizioni organizzate dalla Lega Professionisti Serie A (di seguito anche "Lega Calcio" o "Lnpa" ) e delle partite del campionato di Serie B in territori diversi dall'Italia (diritti internazionali) sarebbe stata oggetto di un'intesa restrittiva della concorrenza, posta in essere da alcuni operatori che hanno partecipato alle gare indette per la vendita di tali diritti audiovisivi agli intermediari indipendenti». Leggi anche Il Nazareno in Procura ha retto da Expo a Infront, la terza parte dell'inchiesta di Alessandro Da Rold e Luca Rinaldi Le gare sotto la lente di ingrandimento sono quelle che vanno dal 2009 al 2014. «In particolare, MP Silva Limited, IMG e B4», si legge, «avrebbero coordinato le proprie offerte economiche in vista dell'assegnazione finale operata dalla Lega Professionisti Serie A. A seguito dell'assegnazione a MP Silva Limited, i tre soggetti, anche in virtù degli articolati rapporti contrattuali di collegamento societario e finanziari fra essi intercorrenti, stipulati prima dell'indizione delle gare, avrebbero proceduto a ripartire i ricavi derivanti dalla vendita all'estero dei diritti TV per le competizioni organizzate dalla Lega Serie A e a trasmettere le partite in distinti ambiti geografici in cui operano». Per questo motivo, sostiene il garante, «è possibile ipotizzare un'intesa continuata, restrittiva della concorrenza posta in essere da MP Silva Limited, IMG e B4 in violazione dell'articolo 101, comma 1, del Tfue volta ad alterare il confronto competitivo nelle procedure indette dalla Lega Serie A per l'assegnazione dei diritti TV per la visione delle competizioni di calcio nei territori diversi dall'Italia, a ripartirne gli utili e le aree geografiche di distribuzione». E «l'insieme delle condotte contestate non esclude peraltro che le parti del presente procedimento abbiano posto in essere un coordinamento anche più ampio con riferimento ai diritti televisivi relativi ad altri eventi sportivi». Una stagione sta per finire, forse potrebbe essere un'opportunità per rivoluzionare il nostro calcio. Alessandro Da Rold INFOGRAFICA !function(e,t,n,s){var i="InfogramEmbeds",o=e.getElementsByTagName(t)[0],d=/^http:/.test(e.location)?"http:":"https:";if(/^\/{2}/.test(s)&&(s=d+s),window[i]&&window[i].initialized)window[i].process&&window[i].process();else if(!e.getElementById(n)){var a=e.createElement(t);a.async=1,a.id=n,a.src=s,o.parentNode.insertBefore(a,o)}}(document,"script","infogram-async","https://e.infogram.com/js/dist/embed-loader-min.js"); <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="True" data-href="https://www.laverita.info/infront-2571978996.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="la-paura-del-milan-fa-303" data-post-id="2571978996" data-published-at="1766042974" data-use-pagination="False"> La paura del Milan fa 303 LaPresse «Dica 303». Il Milan ha la febbre altissima. E all'orizzonte non si intravedono luminari in grado di somministrare il farmaco necessario. Farmaco che ha un solo nome: soldi. Tanti, tantissimi soldi. Il buco in bilancio è una voragine, i rossoneri hanno già un piede fuori dalla prossima Europa League. L'Uefa ha negato il settlement agreement al club rossonero, che rischia l'esclusione dalle coppe e il blocco del mercato in entrata. Dalle 22 pagine di dispositivo emergono i dubbi dell'Uefa sulla effettiva proprietà del Milan, oltre al ritardo sul versamento di una tranche da 10 milioni dell'aumento di capitale di 40 milioni complessivi, da completare entro il prossimo 30 giugno. Ma a far tremare le vene ai polsi dei tifosi rossoneri sono le difficoltà che Yonghong Li, patron della società, ha nel restituire il prestito-ponte da 303 milioni di euro ricevuto dal fondo Elliott. Al consiglio di amministrazione di venerdì hanno preso parte l'ad Marco Fassone, l'executive director David Han Li, Paolo Scaroni, Marco Patuano e Roberto Cappelli. Gli altri tre membri cinesi, tra cui il presidente Yonghong Li, hanno partecipato in videoconferenza. All'ordine del giorno due punti fondamentali: il rifinanziamento al prestito-ponte da 303 milioni in scadenza a ottobre ed il recente no della Uefa alla richiesta di settlement agreement. Al termine del cda, Marco Fassone non ha nascosto la preoccupazione per l'iceberg da 303 milioni che galleggia sulla rotta del Milan.«Non credo», ha detto Fassone, «che sul rifinanziamento possa esserci una accelerazione in tempi brevissimi. Il debito del Milan è più semplice, quello della holding più complesso: se ci fosse una schiarita su questo, il rifinanziamento del Milan sarebbe abbastanza rapido». Soldi, soldi, soldi. Il triennio appena trascorso ha fatto registrare un deficit di circa 100 milioni di euro, le regole Uefa non ammettono un buco di queste proporzioni. Buco che si è prodotto anche a causa di una campagna acquisti, l'ultima, faraonica quanto improduttiva in termini di risultati. Il Milan, la scorsa estate, ha chiuso il calciomercato con un passivo di 158,6 milioni di euro. Il monte ingaggi è passato dai 70,4 milioni di euro della stagione precedente agli attuali 110, con un aumento del 57%. Eppure, la classifica finale ha inchiodato i rossoneri al sesto posto, facendo sfumate la qualificazione in Champions e i circa 40 milioni di introiti che essa procura.L'ad Marco Fassone e il direttore sportivo Massimo Mirabelli, del resto, sapevano bene a cosa andavano incontro mentre, la scorsa estate, spendevano come se non ci fosse un domani (o meglio, come se non ci fosse la possibilità di finire fuori dai primi quattro posti). «Il ritorno in Champions», diceva Fassone, lo scorso agosto, «è l'obiettivo che la proprietà ci ha indicato, consapevole del fatto che, tanto sportivamente quanto economicamente, cambia la vita di un club, specie in Italia. La qualificazione rappresenta la meta minima che vogliamo raggiungere». E invece niente da fare: sesto posto, niente Champions, nonostante gli acquisti sfavillanti. Il capitano Leonardo Bonucci, per dirne una, è costato la bellezza di 42 milioni di euro, a 30 anni suonati, e gli è stato concesso un ingaggio netto annuo di 7,5 milioni a stagione, con un contratto fino al 2022. André Silva, talentuosa punta centrale prelevata dal Porto per 38 milioni di euro, con un ingaggio di 2 milioni l'anno: ha segnato appena due gol, costati un milione di euro ciascuno, ed è stato utilizzato pochissimo (922 minuti giocati in campionato), sia da Vincenzo Montella che da Gennaro Gattuso. Nikola Kalinic, arrivato a Milanello in prestito con obbligo di riscatto a 25 milioni, con un ingaggio di 3,5 milioni l'anno, ha giocato 1.813 minuti, realizzando 6 gol. Numeri, quelli di André Silva e Nikola Kalinic, che impallidiscono di fronte alle statistiche stagionali di Patrick Cutrone, giovane prodotto del settore giovanile milanista, che al costo di 180.000 euro l'anno di ingaggio ha segnato 10 gol e giocato 1.512 minuti.Non solo acquisti, ma anche mancate cessioni hanno zavorrato il bilancio milanista. A partire da Gigio Donnarumma, il portierone che incassa dal Milan 6 milioni di euro l'anno, un miliardo di vecchie lire al mese, e che non è stato all'altezza delle attese, mentre il Milan ha pagato anche un milione di stipendio al fratello, Antonio. Il prossimo anno, dunque, potrebbe andare ancora peggio, se l'Uefa escluderà i rossoneri dalle coppe: «Indipendentemente dalla partecipazione all'Europa League», cerca di tranquillizzare Fassone, «alcuni acquisti arriveranno. Non pensiamo di portare a Milano ancora 10/11 nuovi giocatori, anche per ragioni tecniche. Ne arriveranno comunque due o tre che il direttore sportivo e l'allenatore ritengono necessari. Poi se li potrò pagare 20 milioni in più o 20 milioni in meno in funzione dell'eventuale ma non auspicabile esclusione dalle coppe, cercherò di far quadrare il bilancio. Questa tegola non influenzerà più di tanto».Carlo Tarallo
Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa podcast del 18 dicembre con Flaminia Camilletti
Giorgia Meloni (Ansa)
Ne è scaturita una dichiarazione finale dei leader europei che riprende tutte le priorità che l’Italia ha sostenuto in questi mesi difficili, e che ho ribadito anche martedì scorso accogliendo a Roma il presidente Zelensky. Il cammino verso la pace, dal nostro punto di vista», aggiunge la Meloni, «non può prescindere da quattro fattori fondamentali: lo stretto legame tra Europa e Stati Uniti, che non sono competitor in questa vicenda, atteso che condividono lo stesso obiettivo, ma hanno sicuramente angoli di visuale non sovrapponibili, dati soprattutto dalla loro differente posizione geografica. Il rafforzamento della posizione negoziale ucraina, che si ottiene soprattutto mantenendo chiaro che non intendiamo abbandonare l’Ucraina al suo destino nella fase più delicata degli ultimi anni». Quanto agli altri due fattori, la Meloni non si esime dall’avvertire dei rischi che correrebbe l’Europa se Vladimir Putin fosse lasciato libero di ottenere tutto quello che vuole: «La tutela degli interessi dell’Europa», incalza la Meloni, «che per il sostegno garantito dall’inizio del conflitto, e per i rischi che correrebbe se la Russia ne uscisse rafforzata, non possono essere ignorati e il mantenimento della pressione sulla Russia, ovvero la nostra capacità di costruire deterrenza, di rendere cioè la guerra non vantaggiosa per Mosca. Come sta, nei fatti, accadendo. Oltre la cortina fumogena della propaganda russa», argomenta il premier, «la realtà sul campo è che Mosca si è impantanata in una durissima guerra di posizione, tanto che, dalla fine del 2022 ad oggi, è riuscita a conquistare appena l’1,45% del territorio ucraino, peraltro a costo di enormi sacrifici in termini di uomini e mezzi. È questa difficoltà l’unica cosa che può costringere Mosca a un accordo, ed è una difficoltà che, lo voglio ricordare, è stata garantita dal coraggio degli ucraini e dal sostegno occidentale alla nazione aggredita». La Meloni entra nel merito di quanto sta accadendo in queste ore: «Il processo negoziale», spiega ancora, «è in una fase in cui si sta consolidando un pacchetto che si sviluppa su tre binari paralleli: un piano di pace, un impegno internazionale per garantire all’Ucraina solide e credibili garanzie di sicurezza, e intese sulla futura ricostruzione della nazione aggredita. È chiaramente una trattativa estremamente complessa, che per arrivare a compimento non può, però, prescindere dalla volontà della Russia di contribuire al percorso negoziale in maniera equa, credibile e costruttiva. Purtroppo, ad oggi, tutto sembra raccontare che questa volontà non sia ancora maturata. Lo dimostrano i continui bombardamenti su città e infrastrutture ucraini, nonché sulla popolazione inerme, e lo confermano le pretese irragionevoli che Mosca sta veicolando ai suoi interlocutori. La principale delle quali riguarda la porzione di Donbass non conquistata dai russi. A differenza di quanto narrato dalla propaganda», insiste ancora la Meloni, «il principale ostacolo a un accordo di pace è l’incapacità della Russia di conquistare le quattro regioni ucraine che ha unilateralmente dichiarato come annesse già alla fine del 2022, addirittura inserendole nella costituzione russa come parte integrante del proprio territorio. Da qui la richiesta russa che l’Ucraina si ritiri quantomeno dall’intero Donbass. È chiaramente questo, oggi, lo scoglio più difficile da superare nella trattativa, e penso che tutti dovremmo riconoscere la buona fede del presidente ucraino, che è arrivato a proporre un referendum per dirimere questa controversia, proposta, però, respinta dalla Russia. In ogni caso, sul tema dei territori, ogni decisione dovrà essere presa tra le parti e nessuno può imporre da fuori la sua volontà». Si arriva agli asset russi: «L’Italia», sottolinea la Meloni con estrema chiarezza, «ha deciso venerdì scorso di non far mancare il proprio appoggio al regolamento che ha fissato l’immobilizzazione dei beni russi senza, tuttavia ancora avallare, ancora, alcuna decisione sul loro utilizzo. Nell’approvare il regolamento», precisa, «abbiamo voluto ribadire un principio che consideriamo fondamentale: decisioni di tale portata giuridica, finanziaria e istituzionale, come anche quella dell’eventuale utilizzo degli asset congelati, non possono che essere prese al livello dei leader. Intendiamo chiedere chiarezza rispetto ai possibili rischi connessi alla proposta di utilizzo della liquidità generata dall’immobilizzazione degli asset, particolarmente quelli reputazionali, di ritorsione o legati a nuovi, pesanti, fardelli per i bilanci nazionali». L’ipotesi di una forza multinazionale resta in discussione «con partecipazione volontaria di ciascun Paese», sostiene ancora la Meloni, ma «l’Italia non intende inviare soldati in Ucraina». Nelle repliche la Meloni ha gioco facile a rispondere alle critiche delle opposizioni, divise ancora una volta. A chi le chiede di scegliere tra Europa e Stati Uniti, la Meloni risponde di «stare con l’Italia» e rivolgendosi al Pd ricorda che se l’Europa rischia l’irrilevanza è per le politiche portate avanti negli ultimi anni dalla sinistra.
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Le macchine che incroci per le strade della capitale portano sulle fiancate dei grandi fiocchi gialli per non dimenticare le 251 persone rapite da Hamas. Il 7 ottobre del 2023 è stato uno spartiacque. È il nuovo prima e dopo Cristo per Israele. E pure per la Palestina.
Gerusalemme arranca. I turisti sono pochi nonostante si stia avvicinando il Natale. I controlli moltiplicati. Lungo la via dolorosa, quella che Cristo fece portando la croce, i militari israeliani scrutano con attenzione chiunque gli si pari davanti. Del resto, non lontano da qui, sono stati ammazzati Adiel Kolman e Aharon Bennett. Basta un coltello per togliere la vita.
Dal 1948, arabi e israeliani hanno sempre faticato a convivere. Ogni parte voleva prevalere sull’altra. «Facci caso» - ci racconta Omar, un ortodosso - «non vedrai mai un ebreo e un mussulmano insieme. Se mai dovessi vederli è perché accanto a loro c’è anche un cristiano». E pare proprio così, soprattutto a Betlemme, che torna a festeggiare il Natale dopo due anni di buio. Ne ha parecchio bisogno la città del pane. La disoccupazione, ci racconta una ragazza, è ormai arrivata all’82%. Un dramma nel dramma. L’acqua è contingentata, come dimostrano le grandi cisterne installate sopra le case. Bisogna raccoglierne il più possibile perché non è detto che domani, o dopo, ci sarà.
Alla polizia turistica non sembra vero di vedere degli stranieri. «Prego, prego», si affrettano a dire, indicando la catena che ci separa dalla chiesa della Natività che, insieme a quella del Santo sepolcro, racchiude la nascita, la morte e la resurrezione di Gesù. Ci invita a scavalcarla. Le regole vanno infrante. Ci sono dei turisti e devono essere trattati bene. Meglio ancora quando viene a sapere che siamo giornalisti: «Dite che Betlemme continua a vivere», si raccomanda. Poco più in là, un gigantesco albero di Natale illumina la piazza. Sotto di lui un presepio dai colori sgargianti. È semplice ma c’è tutto: Gesù, che è già arrivato, Maria, Giuseppe, e pure i re Magi, che a quanto pare non possono permettersi il lusso di essere fermati da un’altra guerra. Meglio portarsi avanti ed essere lì ad adorare il Bambinello.
È ormai sera inoltrata. Arrivare a Betlemme non è stato semplice. Il checkpoint principale, quello che permette alle macchine dirette in Cisgiordania di defluire più facilmente, era chiuso. Bisogna fare un giro più largo, quindi. Sono già passate le 9 di sera, eppure la piazza è piena. Ci sono famiglie, bambini che giocano a pallone. Un ragazzo ci ferma e ci spiega come per lui il Natale sia innanzitutto dolcezza. Un altro, invece, ci spiega che è musulmano ma che anche per lui questa festa rappresenta innanzitutto dolcezza e che la celebrerà. In piazza c’è perfino un Babbo Natale che cerca di vendere cappellini e palloncini per bambini. È emozionato. Non faceva più questo lavoro da anni. Ed eccolo lì con il suo pancione fuori misura (ma neanche troppo visto che il cibo qui a volte scarseggia) e la voglia di far felici gli altri: «Siete tutti benvenuti a Betlemme, tutto il mondo deve venire qui».
Non è facile però. Come ci spiega un ex diplomatico dell’autorità palestinese che ha trattato a lungo i negoziati con Israele, «il 7 ottobre ha cambiato tutto, da una parte e dall’altra. La soluzione dei due Stati, che già prima era difficile da realizzare, ora è impossibile. Israele si è spostata molto a destra e quello che era il pensiero di pochi è oggi diventato il pensiero di tanti. Allo stesso tempo, però, né Hamas né l’autorità palestinese rappresentano un’alternativa valida per noi». Quale sia l’alternativa, però, non si sa. Si vive sospesi. Come se qualcosa di nuovo e tremendo dovesse accadere ancora. I coloni, a Gerusalemme Est, continuano a occupare le case dei palestinesi. E pure in Cisgiordania. La convivenza pare una chimera. Ma poi ci tornano in mente le parole di Omar: «Se c’è un cristiano, allora è possibile». Come a Betlemme, del resto.
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Che cosa dice la proposta incardinata alla Camera? Innanzitutto che chi vuole amministrare un condominio deve avere una laurea. Non è chiaro se questo preluda all’istituzione di percorsi di studi universitari con specializzazione nella gestione di condomini, sta di fatto che, se si ha un diploma senza essere iscritto a un albo, ordine o collegi di area economica, giuridica o tecnica (cioè se non si è geometra, perito industriale o ragioniere), non si potrà più amministrare un condominio. Fin qui passi, anche se ogni tanto si discute dell’abolizione del valore legale della laurea, si capisce la ratio della norma che si vuole introdurre, per evitare pasticci nella tenuta dei conti. Viene, poi, il rinnovo automatico del professionista incaricato a meno che l’assemblea non decida diversamente, così da evitare pericolosi stalli in cui chi deve occuparsi della gestione non ha un mandato e deve operare solo per l’ordinaria amministrazione.
Però, poi, ci sono un paio di novità che rischiano di trasformarsi in un salasso per moltissime famiglie. La prima riguarda i morosi, cioè quelli che non pagano le spese condominiali. Invece di rendere più spedite le esecuzioni nei loro confronti, la legge concede loro più tempo. Non solo: se un proprietario di casa non paga, per esempio le spese di manutenzione già eseguite o l’erogazione del gas che pro quota gli compete, i fornitori - cioè, manutentori e gestori - potranno rivalersi non soltanto sul condomino moroso, ma anche sul condominio e - soprattutto - sui proprietari che sono in regola con le spese. In pratica, i furbi la faranno franca perché basterà farsi trovare con il conto corrente prosciugato per non sborsare un euro. Gli onesti, invece, rischiano di dover pagare anche per i disonesti. Infatti, se passa il disegno di legge, in caso di mancato pagamento il fornitore potrà attingere direttamente al conto corrente condominiale e, poi, potrà pretendere che sia chi è in regola a saldare i conti. Una follia che sicuramente farà felici i fornitori mentre renderà furiosi i proprietari di casa che sono alle prese con vicini con forti arretrati nel versamento delle spese condominiali.
Non è finita. La proposta di legge include anche un’idea che sicuramente si trasformerà in una spesa in più per i condomini più grandi. Infatti, la legge introdurrebbe l’obbligo di nominare un revisore dei conti nei palazzi con più di venti appartamenti, poi la sicurezza delle parti comuni dovrà essere attestata da una società specializzata e l’amministratore potrà ordinare la messa a norma a prescindere dalle decisioni dell’assemblea. Non vi sfuggirà che sia il revisore sia il certificatore della sicurezza non lavoreranno gratis e, dunque, i condomini dovranno mettere mano al portafogli.
Intendiamoci, capisco le ragioni delle norme che si vogliono introdurre per fare in modo che gli edifici abbiano impianti in regola. E comprendo anche i controlli sul bilancio da parte di un professionista esterno, per evitare che l’amministratore faccia il furbo o scappi con la cassa. Tuttavia, poi, bisogna anche badare ai bilanci delle famiglie, già gravati da un’infinità di gabelle. In particolare, c’è da comprendere che, se un condomino non paga, non vanno penalizzati i vicini in regola: semmai si può disporre il pignoramento veloce dell’immobile posseduto dal furbo, disposizioni già adottate in altri Paesi, come Stati Uniti e Francia, con addirittura la messa in vendita dell’alloggio. Vedrete che i disonesti avranno meno voglia di sottrarsi al pagamento delle spese condominiali. Senza gravare sulle spalle degli onesti.
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