A ottobre aumento dei prezzi inferiore al 2%, ma restano diversi indicatori critici. La flessione evidenzia gli sbagli di Francoforte, che a settembre ha deciso per il decimo, pesante rialzo consecutivo dei tassi, lasciati poi invariati nella riunione di pochi giorni fa.
A ottobre aumento dei prezzi inferiore al 2%, ma restano diversi indicatori critici. La flessione evidenzia gli sbagli di Francoforte, che a settembre ha deciso per il decimo, pesante rialzo consecutivo dei tassi, lasciati poi invariati nella riunione di pochi giorni fa.Il dato preliminare dell’inflazione a ottobre ha superato al ribasso tutte le aspettative. Circa dieci giorni fa ci eravamo spinti a ipotizzare una variazione intorno al 2,2%, che era quella attesa dagli analisti. Invece l’incremento su base annua è stato del 1,8%, contro il 5,3% di settembre per l’indice Nic, perché la variazione mensile è stata sorprendentemente negativa dello 0,1%. L’altro indice Hicp (quello che tiene conto dei saldi, per intenderci) ha fatto segnare un +0,2% su base mensile e un +1,9% su base annua. Il confronto europeo ci vede primeggiare, con l’Eurozona al 2,9% e Francia, Spagna e Germania rispettivamente al 4,5%, 3,5% e 3%.Dunque tutto bene? L’inflazione che ha tagliato il potere d’acquisto delle famiglie a partire dall’autunno 2021, e ancor più nel 2022 - con una variazione cumulata del 16% circa - è definitivamente ridimensionata? Possiamo unirci al coro esultante guidato dal ministro Adolfo Urso? Solo in parte, perché non è tutto oro ciò che luccica, purtroppo, anche a causa della presenza di una Bce che non brilla per la tempestività e la chiarezza delle proprie decisioni.Cominciamo col dire che il repentino e prevedibile calo è avvenuto perché finora la variazione annuale incorporava lo «scalone» del +3,4% verificatosi in un colpo solo a ottobre 2022. Da allora, i prezzi sono variati in misura davvero modesta. Basti notare che, nei sei mesi da aprile 2023, la variazione è stata appena dello 0,75%. Quindi, appena ci siamo messi alle spalle quel terribile ottobre abbiamo immediatamente letto un’inflazione molto più bassa.L’inflazione dell’1,8% comunicata ieri è prevalentemente il risultato di un calo del 19,9% dei prezzi dei beni energetici (-32,7% quelli regolamentati e -17,7% quelli non regolamentati). Rallentano anche gli alimentari lavorati (+7,4% da +8,9% di settembre) e non lavorati (+5,0% da +7,7%). Tuttavia stentano a farsi sentire gli effetti del «carrello tricolore» - non potrebbe essere altrimenti, dati i tempi lunghi di adeguamento dei listini tra industria e Gdo - perché la crescita sul mese precedente degli alimentari lavorati è stata pari allo 0,2% a ottobre, contro il -0,5% di settembre su agosto. Stazionaria la dinamica dei prezzi dei servizi la cui crescita si conferma al 4,1% anche a ottobre, con i servizi relativi all’abitazione che fanno segnare un +4% (3,7% a settembre).La parte difficile viene ora. Infatti, si spera esaurita l’impennata dei prezzi energetici -per i quali esiste comunque un rischio al rialzo legato all’evoluzione della situazione in Medio Oriente - l’inflazione cosiddetta «di fondo» (al netto di energetici e alimentari freschi, che fotografa l’83% circa del paniere) è ancora attestata al 4,2% (4,6% a settembre), lo stesso dato registrato in Eurozona. E il carrello della spesa (beni alimentari, per la cura della casa e della persona, 21% circa del paniere) aumenta ancora del 6,3% (8,1% a settembre). Stesso trend per i prodotti ad altra frequenza d’acquisto (da +6,6%, l’inflazione scende a +5,6%). Comunque troppo, anche se in diminuzione. Nei prossimi mesi sono questi gli indici che dovremo tenere sotto osservazione, perché dai prezzi energetici non possiamo attenderci più alcun impulso ribassista. E quelle componenti appena citate sono quelle più vischiose, quindi più difficili da ridurre.Alla luce di questi dati, la pausa della Bce nella sequenza di aumento dei tassi cominciata a luglio 2022, lungi dal sembrare una saggia decisione, mette ancora più in negativo risalto l’incredibile rialzo del 14 settembre, il decimo consecutivo, avvenuto già in un contesto di prezzi in modesto aumento da almeno sei mesi. Qualcosa che potrebbe ricordare da vicino i due disastrosi rialzi del predecessore di Mario Draghi all’Eurotower, Jean-Claude Trichet, decisi nel 2008 e 2011, alla vigilia di due crisi epocali. Con lo stesso effetto disastroso dell’aumento della superficie velica durante una burrasca.Paradossalmente, ieri sono stati proprio coloro che da almeno due anni non riescono a leggere il vento e, soprattutto, a dettare la rotta, a salire sul carro dei vincitori. Dal francese Francois Villeroy de Galhau, al vicepresidente della Bce, lo spagnolo Luis de Guindos, al greco Yannis Stournaras, è stato tutto un ripetersi di dichiarazioni grondanti soddisfazione perché «la politica monetaria sta funzionando». Molto più prudenti invece le parole del tedesco Joachim Nagel, secondo il quale ci sono ancora molto rischi al rialzo e non è possibile dire se i tassi abbiano raggiunto il livello massimo. Peccato che il suo collega francese ritenga sufficiente questo livello dei tassi e il greco addirittura veda un taglio dei tassi a metà 2024, se l’inflazione si confermasse stabilmente sotto il 3%.Bene ha fatto la Bce a tirarci fuori dalla palude dei tassi negativi ma, da allora, Christine Lagarde è solo il comandante di un turacciolo nella tempesta che si illude di dettare la rotta, mentre le decisioni di politica monetaria e fiscale degli Usa (oggi si riunisce la Fed) e la congiuntura sui mercati delle materie prime sono le onde che ciclicamente si sollevano e ci portano su e giù. Checché ne pensino a Francoforte.
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