2025-05-15
Gli indoeuropei: un’agile guida a un tema sempre scottante
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Sullo sfondo una mappa dell'Europa antica (iStock). Nel riquadro la copertina del libro di Henri Levavasseur, «Gli indo-europei»
Un libretto appena uscito ricostruisce la vicenda degli abitanti dell’Europa preistorica e i vivaci dibattiti che sull’argomento si sono sviluppati per tutto il Novecento.Può una questione risalente al neolitico aprire polemiche politiche nel terzo millennio? Difficile crederlo, ma invece è proprio quel che accade ogni volta che si parla di indoeuropei. Il tema dell’origine della civiltà europea non è mai stato neutrale, sicuramente non dopo il 1945. Ma, anche prima, è sempre apparso chiaro come la memoria, in realtà, sia sempre un progetto. Chi, negli infiniti passati che abbiamo vissuto, seleziona un determinato filone e ne fa un’origine, sta in realtà affermando cosa vuole essere e cosa vuole diventare. Da qui il dibattito sugli indoeuropei, che da decenni suscita ampi entusiasmi e radicali crisi di rigetto (si pensi solo ai lavori di Giovanni Semeraro).Un pratico compendio sulla questione, aggiornato agli stadi più avanzati della ricerca, lo dobbiamo a Henri Levavasseur e al suo recentissimo Gli indoeuropei. Le origini della lunga memoria dei nostri popoli (Passaggio al bosco). Si tratta di un agile libretto che funge da utilissimo bignami sulla questione e che arriva dalla fucina di idee dell’Institut Iliade, l’ente creato in seguito al sacrificio di Dominique Venner.Levavasseur ci porta dunque nella seconda metà de IV millennio a.C. quando, partendo da un Heimat originario mai chiaramente individuato, ma forse identificabile da qualche parte attorno alle steppe eurasiatiche, alcune avanguardie si spostarono verso Sud, Est e Ovest, ovunque conquistando i popoli incontrati sul proprio cammino e dando luogo a civiltà sempre diverse, ma con una forte impronta comune (una comune «ideologia», diceva Georges Dumezil).Il concetto di indoeuropeo è prettamente linguistico e deriva dalla constatazione, avvenuta già nel Rinascimento e poi rafforzatasi soprattutto durante il Romanticismo, della struttura comune alla base delle lingue europee, innanzitutto, e poi, in seguito, anche del sanscrito, l’antichissima lingua indiana. Curiosamente, benché oggi la classificazione di tutta una serie di idiomi antichi e moderni come «indoeuropei» sia sostanzialmente incontestata, suscita invece aspre polemiche ogni riferimento agli indoeuropei come popolo, quasi che possa esistere una lingua priva di locutori. Eppure è così che stanno le cose: non esistono lingue appese nel vuoto, una lingua è l’espressione di un pensiero, di una visione del mondo, questa visione del mondo nasce in un contesto storico e socio-culturale e questo contesto è a sua volta creato da persone in carne e ossa. Dalle stesse ricerche linguistiche (per tacere quindi delle evidenze archeologiche o paleogenetiche) è stato del resto già possibile estrarre sia la descrizione di un ambiente naturale che si ritiene fosse quello della sede originaria, sia un tipo fisico che potrebbe darci un’idea dell’aspetto dei primi indoeuropei.Ma perché il tema resta così controverso? L’elefante nella stanza è ovviamente la centralità del tema «ariano» (termine che si rifà all’autodenominazione degli indoeuropei stanziatisi in India e Iran) nell’ideologia nazionalsocialista, con tutte le conseguenze del caso. Ma, più in generale, appare oggi irricevibile presso alcuni ambienti culturali la stessa idea che l’Europa sia definibile in termini di civiltà e di popolazione specifica, che esista qualche tratto culturale o antropologico che è intrinsecamente europeo mentre altri che non lo sono. L’idea stessa di dire «questo sì, questo no», la distinzione tra ciò che è nostro e ciò che non lo è, tra ciò che ci somiglia e ciò che ci è estraneo, tra ciò che possiamo accogliere e ciò che dobbiamo respingere, appare agli occhi di certa intellighenzia progressista come blasfemo, perché l’Europa deve essere la patria di ciò che non ha patria, la «zona» in cui non esiste alcun «noi» e alcun «loro». Ecco perché, fuori da ogni reductio ad hitlerum, la questione degli indoeuropei fa ancora paura. Ecco perché vale ancora la pena parlarne.
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