2025-06-26
Mascherine di Arcuri, indaga Corte dei conti
Domenico Arcuri (Imagoeconomica)
La struttura commissariale fece pressioni sulle Dogane per far entrare in Italia i dispositivi cinesi per 1,2 miliardi, che poi risultarono farlocchi. Le chat con i mediatori per cercare di metterci una pezza.La Corte dei conti sta indagando sullo sdoganamento delle mascherine cinesi farlocche e sui rapporti dell’Agenzia delle Dogane e monopoli (Adm) con la struttura commissariale per l’emergenza Covid, all’epoca guidata da Domenico Arcuri. Secondo quanto risulta alla Verità, il fascicolo della Corte dei conti sarebbe stato aperto nel 2024, ma nei giorni scorsi avrebbe subito un’improvvisa accelerazione, con la richiesta ad Adm di produrre tutta la documentazione, con un’attenzione allo svincolo diretto di Dpi con esenzione delle imposte doganali e dell’Iva.Intanto, dagli atti dell’inchiesta della Procura di Roma sulla maxicommessa da 800 milioni di mascherine cinesi emergono nuovi elementi sul pressing del maggio 2020 da parte della struttura commissariale su Adm per il via libera ai dispositivi non conformi, poi sequestrati, svelato la scorsa settimana in esclusiva dalla Verità. È il 14 febbraio del 2022 quando Manuela Barone (dal 2017 al febbraio 2021 funzionaria Adm addetta agli Uffici sdoganamenti «Cargo» e successivamente capo reparto presso l’Ufficio controlli antifrode e-commerce) viene sentita dalla Guardia di finanza. In riferimento agli sdoganamenti di Dpi nel periodo tra marzo e maggio 2020, Barone, che allo stato attuale non è ancora stata sentita dalla Commissione Covid, racconta: «Ho sempre ritenuto che nel periodo in cui in Italia si è acuita la pandemia da Covid-19, ci fossero delle criticità nelle importazioni di materiale sanitario destinato al Commissario straordinario. Nel senso che non seguivano le ordinarie procedure di sdoganamento, ma avevano un circuito preferenziale. Su queste importazioni c’erano molte pressioni, suppongo dai nostri vertici di Roma». La funzionaria continua: «Fermavamo e controllavamo soprattutto mascherine e Dpi destinate alla struttura commissariale. Nel corso di questi controlli chiedevamo l’esibizione del certificato di conformità, la certificazione Ce. […] Ricordo che, nonostante le nostre richieste, queste certificazioni non venivano esibite quindi la merce era ferma in dogana». Barone davanti ai finanzieri fa anche riferimento alla lettera del maggio 2020 con cui Rinaldo Ventriglia sollecita lo sdoganamento dei Dpi cinesi, poi sequestrati, sulla base del via libera del Cts: «Ad un certo punto, ricordo che al dottor Tanzarella (Davide, all’epoca capo Area dell’ufficio sdoganamenti, nda) arrivò un documento, di cui non rammento l’Ente emittente e che lo stesso ci disse aver ricevuto dagli Uffici centrali di Roma delle Dogane, che attestava che una serie di produttori di mascherine e Dpi importati a favore della struttura commissariale rispondevano ai requisiti previsti dalla normativa vigente. In ogni caso non abbiamo mai ricevuto le certificazioni Ce. Sulla base di questo documento, una sorta di “lascia passare”, abbiamo sdoganato tutta la merce». Dopo la deposizione, la Barone invia tramite mail alle Fiamme gialle una serie di documenti, compresa una copia della lettera pubblicata dalla Verità firmata da Ventriglia su carta intestata della struttura commissariale. Ma la versione di cui è in possesso la Barone, fornita alla Gdf, è «anonima», priva dell’intestazione della struttura commissariale, senza la firma di Ventriglia e senza le scritte a mano che la caratterizzano , tra cui «egregio direttore, caro Davide», ovvero proprio il nome di battesimo di Tanzarella, citato dalla funzionaria durante la sua deposizione come la persona che le fece avere il «lasciapassare» . Ma le stranezze non finiscono qui. Nel verbale della Guardia di finanza si legge infatti: «Alla dottoressa Barone vengono esibiti i verbali di constatazione redatti dalla stessa in data 28 aprile 2020 da cui si evince che nel corso della verifica documentale delle dichiarazioni doganali Reg 4 57745 p, Reg 4 57748 e Reg 4 57749 g, tutte datate 27 aprile 2020 e riferibili alle importazioni di Dpi modello Ffp2-Kn95 del produttore cinese Tongcheng wenxin labor protection products Co. Ud, il certificato Ce è risultato “non valido”». «Ritengo di aver redatto questi verbali in quanto verosimilmente, sebbene la mascherina in questione riportasse il marchio Ce, non era accompagnata da pertinente documentazione», spiega la funzionaria ai finanzieri. Il punto chiave, in questo passaggio, è la data dei verbali in cui le Dogane attestano l’irregolarità delle mascherine: 28 aprile 2020. La stessa data in cui, alle 19.08, viene creato il gruppo whatsapp «Certificazioni Dpi». Ne fanno parte, evidentemente a conoscenza dei problemi, il banchiere sammarinese Daniele Guidi e gli imprenditori Andrea Tommasi e Nicolas Venanzi. Tutti nomi noti nell’ambito dell’inchiesta sulla maxi commessa di mascherine cinesi da 1,2 miliardi, insieme al defunto Mario Benotti. E proprio al gruppo whatsapp, alle 19,40 del 28 aprile 2020, Tommasi inoltra diversi messaggi: «Le dogane dicono che alcuni certificati sono falsi. Tutte moon ray. Ffp2. Marchio Ce non valido». Tommasi, secondo quanto ricostruisce la Gdf in un’informativa, questi messaggi li «riceverebbe dal Rup (il responsabile unico del procedimento, Antonio Fabbrocini, della struttura commissariale, nda)». Fabbrocini scriverebbe inoltre a Tommasi: «Fondamentale dimostrare a questo punto l’iscrizione nella Whitelist». Il giorno dopo, Fabbrocini scrive nuovamente all’imprenditore: «Ma le domande sono state presentate??; Perché oggi alle 15,300 abbiamo incontro con Inail; Per le chirurgiche dovete passare dall’Iss??». E ancora: «Andrea (Tommasi, ndr) stiamo facendo delle verifiche sui test report che ci avete inviato e sembrano che non corrispondano a nulla». Nell’informativa della Gdf sono contenuti anche alcuni stralci della chat di gruppo «certificazioni Dpi», di cui La Verità ha potuto visionare la versione integrale allegata all’informativa. Un documento inedito di 44 pagine, che racconta come i mediatori agirono tra lo stop delle Dogane alla merce irregolare del 28 aprile e l’arrivo a Malpensa del «lasciapassare» della struttura commissariale del 15 maggio. Il 29 aprile Venanzi scrive nel gruppo: «Sto sistemando la lettera Luokai che è sbagliato un punto». Poi aggiunge: «Sto inviando la cartella Luokai Surgical dove c’è sia la lettera che tutti i documenti delle 3 aziende». Tommasi risponde inoltrando un messaggio: «Vadano oggi stesso nei laboratori e fanno ogni azienda i test report e domani mattina ci inviano i certificati!!» e manda uno screenshot di una conversazione con Fabbrocini nella quale quest’ultimo scrive: «Allora mando le mail con tutti i documenti al Cts invece che all’Inail perché il percorso è più breve. Solo che una volta che presentiamo i documenti che mi mandate non c’è più ritorno!!! Se c’è solo una virgola fuori posto abbiamo scherzato».Il giorno dopo Venanzi inoltra una serie di messaggi con pdf di certificati di conformità. «Queste sono del quarto produttore Luokai, che ancora non ha consegnato chirurgiche. Facciamo fare email da Luokai dove presenta la quarta azienda in linea con Jas che inizierà ad operare settimana prossima». Guidi risponde: «Ok, riesci a buttare giù qualche riga Nicolas (Venanzi,nda)?» A quel punto Venanzi invia una bozza di lettera in inglese: «Dear Sir, in reference to your order letter prot. 273 of 15/04/2020, Codice Identificativo Gara (CIG 8274638F47) we send you attached the documentation relating to a new consortium Luokai manufacturer for the supply of surgical masks». Guidi chiede delle modifiche: «Farei riferimento anche alla ultima comunicazione di Luokai».Venanzi: «In reference to your order letter prot. 273 of 15/04/2020, Codice Identificativo Gara (CIG 8274638F47) and our communication of .........., we send you attached the documentation relating to a new manufacturing company member of our consortium for the supply of disposable masks, and with this one we will be able to speed up the production up to 10 million masks per day. Please confim us as soon as possible so we can start deliering also these masks. Sincerely».A quel punto Tommasi chiosa: «Nicolas completa per favore su carta intestata la parte con i puntini». Venanzi invece si rivolge a Guidi: «Daniele glielo chiedi tu a Marco (Cai Zonhkai, il cinese indagato insieme a Tommasi, Venanzi e Fabbrocini per frode in pubbliche forniture, nda) se riesce a fare anche la traduzione del Test Report cinese di questo nuovo?».Guidi lo rassicura: «chiesto già».Nell’informativa i finanzieri concludono: «Dalla chat in parola («Certificazioni Dpi», nda) sembrerebbe, inoltre, che le lettere indirizzate alla Struttura commissariale, per conto delle società cinesi, vengano predisposte in lingua inglese, «sistemate» e/o «completate» in alcune parti mancanti da Nicolas Venanzi, dietro anche istruzioni del Tommasi e di Guidi. Ciò dimostrerebbe - salvo diverso avviso - come parte della corrispondenza in partenza dalle note società cinesi venisse predisposta su carta intestata negli uffici di Venanzi a Milano». Mentre nella chat tra Tommasi e Fabbrocini, annotano gli inquirenti, il 30 aprile i due «discutono inoltre dell’opportunità di apporre i marchi (Ce, Fda ed En) sulle confezioni delle mascherine, per evitare di avere problemi alla dogana. In merito Tommasi riferisce testualmente “senza Ce rischiamo di fare casini alla dogana”».E che la situazione fosse estremamente critica emerge anche da un altro messaggio inviato da Fabbrocini a Tommasi, il 29 aprile: «I test di laboratorio di tutte le aziende tranne Celacare riportano un Qr che rimanda a certificati con numero e nome di azienda diverso. Nel caso di Wenzhou Junchang Medical non c’è certificato e quello italiano è stato dichiarato da Celab come falso... siamo nella merda!!!».Secondo quanto dichiarato agli inquirenti da Maria Preiti, dirigente delle dogane di Malpensa, «laddove fosse stata confermata la falsità di quel marchio Ce, il funzionario avrebbe dovuto redigere il verbale di constatazione e procedere con i conseguenti adempimenti di rito fino alla segnalazione all’Autorità giudiziaria competente». Ovvero, informare delle irregolarità la Procura. Fabbrocini, invece, secondo quanto emerge dalla chat agli atti, ha avvisato i mediatori della commessa. E il «lasciapassare» della struttura commissariale ha permesso di bypassare le verifiche. Chi ha voluto tutto questo, esponendo medici, infermieri e forze dell’ordine all’uso di mascherine non conformi?
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