2023-08-18
Un incontro (quasi) fortuito nella tormenta
Un uomo si inerpica con la sua auto in una strada di montagna ma, complice la neve, sbanda e viene soccorso da una donna. Lei è finita in un gioco troppo grande. E i killer spietati che sono sulle sue tracce paiono determinati a chiudere la partita.La sparatoria dal televisore sostituiva il tintinnio delle posate e delle stoviglie nella trattoria vuota. Lui andò all’uscita col viso contratto dall’impazienza di lasciarsi alle spalle i rimbombi stereofonici dei colpi. Fuori si guardò attorno.L’ombra delle montagne offuscava già il pomeriggio nella cittadina ai margini della vallata. Un avamposto prima delle salite, dei boschi, del gelo e degli spruzzi di grigio sul verde bruno che erano i paesini abbarbicati fra i costoni.Dalla trattoria gli sbucò accanto il proprietario della trattoria. Lui lo ignorò preferendogli le montagne. L’altro seguì il suo sguardo. Lui andò alla sua macchina, parcheggiata di fronte.La nevicata iniziò sulla salita. Lui imboccò una curva peggiore delle altre, affrontandola malissimo e l’auto slittò, finendo sul bordo della carreggiata con una frenata lamentosa.«Tutto intero?».Una ragazza si era abbassata fuori dal finestrino sul versante della strada. Con doposcì firmato e uno svolazzo di capelli rossicci sotto il berrettino di lana.Lui scese da quella parte, perché il lato della guida era a un pelo dallo strapiombo.Solo allora si rese conto che lei era a piedi. Non c’erano altre macchine nei paraggi. Lo guardava con un mezzo sorriso di commiserazione. Come se lui stesse per rinunciare a un’occasione che non si sarebbe ripetuta.«Si accomodi». Le aprì lo sportello.«Prima lei». Lo invitò a salire con un gesto d’impazienza. «Altrimenti deve farsi una scalata di quarto grado per arrivare al volante dall’altra parte».Lui si guardò attorno ed entrò, risistemandosi alla guida.Non si prospettava altro che chilometri di rombo attutito del motore, tra le curve e i fiocchi. Invece arrivarono gli spari. Non più da un televisore, dagli alberi. Senza echi e sibili aggiunti dai tecnici audio. Col parabrezza, andarono in frantumi il panorama e tutto quanto di scontato ci può essere nell’esistenza.«Giù!». La ragazza lo spinse in basso per la nuca. Intanto aveva sfilato dal piumino una pistola, e si fece sentire, sparo su sparo.«Fuori, verso gli alberi».Lui aprì lo sportello a testa china, incapace di uscire.La voce della ragazza lo guidò a raffica nei movimenti successivi: «Al riparo dietro lo sportello aperto, poi sul retro e di sotto».L’uomo strisciò sulla carrozzeria gelata. Tra sé e gli alberi che scendevano nella scarpata non doveva esserci più di mezzo metro. Una distanza preoccupante in quello sfilare di proiettili.Giù nel bosco era tutto un esplodere di schegge. Finché una mano lo afferrò, tirandolo dietro un tronco più grande degli altri.«Si sono piazzati là in alto, davanti», disse lei. «Per coglierci di fronte. Ma tu rasentavi troppo a destra. Meno male».«Io non c’entro!», sbottò lui, striduloLa ragazza storse le labbra e schioccò la lingua, scuotendo la testa: «C’entrano tutti. Chi per forza, chi per caso, come te». Lo prese per mano trascinandolo giù per la scarpata. «Hanno smesso di sparare», sibilò lui.«Ci vengono dietro con i visori notturni all’infrarosso. Di qua».La marcia proseguì nell’oscurità pervasa dal riverbero della neve. Ogni tanto cadevano cumuli freddi dagli alberi, che si mescolavano al sudore sulle loro fronti ed evaporavano in minuscole spire perse tra gli sbuffi di fiato.Il capanno spuntò di colpo al centro della radura. Dentro si accovacciarono su una panca.«Anna», si presentò finalmente la ragazza.Pure se al buio, l’uomo dovette rendersi conto che lei gli aveva porto la mano. Gliela strinse con cautela: «Orsini».Anna gli regalò una risatina sommessa: «Non si risponde a un nome con un cognome».Lui rimediò incerto: «Alfio. Chi sei?», le domandò.«Una alle corde. E tu?».«Rappresentante di mobili. Ho un cliente in uno dei paesi là sopra. Per questo volevo arrivarci, anche se nevicava. E quelli che sparano? Droga?».Lei rise isterica: «A certi gli va alla testa più della coca».«Che intendi?».«Il potere», lo ragguagliò lei. «Lavoravo per un sottosegretario. Yacht, aerei privati e paradisi non soltanto fiscali. Ma soprattutto affari sporchi».Ora il silenzio di Alfio era carico di tutte le domande che scaturivano da quelle rispose smozzicate.«Insomma», disse Anna, «arrivo da lui con un diplomino da privatista e una lettera del notaio, che è un suo grande elettore e amico di mio nonno. Il sottosegretario mi assume nello staff, e quando ci prova, io ci sto. Allora mi coinvolge in ogni cosa: tangenti, appoggi sporchi, sgambetti agli altri partiti».«E sparare? Muoversi fra gli alberi da indiana? Far perdere le tracce?», la incalzò Alfio.«Tutti noi del suo giro abbiamo seguito corsi di sopravvivenza. Secondo lui, bisogna sempre essere pronti alla fine del mondo. Ha fatto male a trasformarmi in una guerriera. Poteva cancellarmi molto più in fretta, se mi lasciava l’imbranata che ero prima».«Che ci fai qui?», le domandò Alfio.«Eravamo venuti a sciare per il fine settimana».«Da oggi? È ancora mercoledì».«Se lo decide, il fine settimana incomincia il lunedì mattina. In elicottero però lo chiamano al cellulare riservato. Quando chiude, comincia a guardarmi strano, scostante. Allora capisco che sono fatta».«La chiamata riguardava te?»«Una delle sue talpe in Procura l’avrà avvertito che stavo per essere convocata come “persona informata sui fatti”. Il giorno dopo quelli della scorta mi puntano, tipo quando si prende la mira con un bersaglio. Oggi pomeriggio ho rotto una magnum di Dom Perignon in testa al mio gorilla personale e mi sono data alla macchia. Loro erano sul chi vive e mi hanno subito riagganciata. Devono avermi vista salire in macchina con te dai loro visori all’infrarosso e ci hanno aspettato».Lui andò a piazzarsi dietro una finestra, sbirciando fuori. Lentamente si formò una costellazione di occhi feroci che si muovevano a mezz’aria.Deglutì.Lei scattò alle sue spalle, risfoderando l’automatica: «Lupi», disse.Arrivarono vicino alla capanna e grattarono per un po’ alla porta, poi si allontanarono.Anna passò una mano su quella di Alfio: «Quello che ho all’estero basta per tutti e due, e non lo metti assieme in una vita, a vendere mobili». Alfio ritirò la mano: «Non si dice a uno che capita».Anna assentì: «Sì. Però tu sei meglio dell’ultimo, e non so chi sarà il prossimo, se anche ci sarà».La notte passò in uno sprazzo di tensione e di parole smozzicate. All’alba ripresero a camminare di nuovo fra gli alberi, infreddoliti e stanchi.Lui tirò fuori la sua pistola, che non aveva usato per aumentare gli spari all’inizio, sulla strada, né contro i lupi, la notte precedente. Gliela puntò alle spalle. Non si guarda in faccia una ragazza con cui si è condivisa una notte, sia pure di parole e niente altro, al momento di ucciderla. Quando nel silenzio del bosco saturo di neve si introdusse un ronzio indiscreto. Dal cielo.Alfio fece sparire la pistola, in un rapido gioco di prestigio. Nell’altra mano gli apparve un localizzatore elettronico in funzione. Lo gettò con rabbia in un cespuglio e incominciò a scappare. L’elicottero si librò al di sopra della cupola innevata di rami e foglie, riversando fiamme sulla foresta, che si ritrovò trasformata in una replica invernale, d’alta montagna, del Vietnam. Nel crepitare degli alberi che bruciavano si persero tutte le parole del pomeriggio precedente e della notte.Molto tempo dopo, nel corso di quella stessa giornata, lui era daccapo nella trattoria vuota, lontano dall’incendio. Una venere attempata e sovrappeso leggeva il telegiornale, sforzandosi di convincere tutti della propria indignazione per i danni del fuoco nell’area del parco nazionale.Il proprietario guardava Alfio con una premura di folletto benigno. Ora dava finanche l’impressione di volergli mettere a disposizione la moglie, come gli eschimesi. Per la seconda volta gli toccò l’indifferenza. Alfio si contentò di una veloce pastasciutta. Dopo, andò nel bagno e sfilò dalla giacca a vento uno smartphone. Prima di parlare aprì un’app che criptava la conversazione.« E l’elicottero… Aspettavo troppo?… Mi era stato detto di cavarle tutto. Me la sono dovuta sorbire tutta la notte per riempire il registratorino che avevo addosso. Adesso è la mia polizza sulla vita».Alfio uscì dal bagno e pagò. Il proprietario della trattoria gli augurò: «Buon proseguimento».Lo aspettavano fuori, in moto. Due, con i caschi integrali e le mitragliette già spianate. Alfio si gettò dietro una fioriera di cemento, con un balzo inimmaginabile la sera prima, e in mano gli ricomparve la pistola che non aveva avuto il tempo di usare nel bosco. Due colpi ciascuno ai motociclisti. Alla testa, attraverso i visori del casco: di certo avevano giubbotti antiproiettile.Un’occhiata preventiva e tornò allo scoperto, avviandosi fra le casette del paese. Il proprietario della trattoria scosse la testa. Uscì dal locale e arrivò a una cabina telefonica, da tutt’altra parte del paese. Lo smartphone criptato per lui non era abbastanza. «Li ha battuti in velocità». Parlava basso all’apparecchio. «Ho un’altra squadra… Registratorino? Glielo prendo io, anche se lo porta infilato là dietro».
Ursula von der Leyen (Ansa)