2022-05-27
Inchiesta di «Newsweek» sui vaccini. Gli effetti avversi non sono più tabù
Fino a pochi mesi fa, parlare di reazioni alle punture era da «complottisti». Adesso, la rivista Usa dedica la copertina ai pazienti resi invalidi da quei farmaci. E ammette: «Medici troppo riluttanti a denunciare».Il titolo se ne sta lì, bianco e bello visibile sulla copertina di uno dei principali settimanali d’informazione del pianeta, lo statunitense Newsweek. Il quale, per inciso, non è affatto destrorso, putiniano, nemico della scienza o incline al complottismo. Eppure dedica il servizio di apertura - cinque pagine, composte ai primi di maggio e pubblicate su carta solo in seguito - al seguente tema: «I rari effetti collaterali del vaccino Covid». In questo caso, la portata della notizia emerge per contrasto. Che i vaccini abbiano effetti collaterali anche gravi è ormai noto a chiunque non abbia gli occhi e le orecchie foderati di titanio. Dunque tocca chiedersi: perché un newsmagazine di rilevanza mondiale mette in copertina una non-notizia? Beh, forse proprio perché questa storia delle reazioni avverse, nell’ultimo anno, è stata sepolta, oscurata, nascosta in ogni modo possibile. I media hanno talmente paura ad affrontare il tema da sentirsi costretti a esibire una cautela che non utilizzerebbero in altre circostanze. Newsweek dedica un servizio agli effetti avversi, ma si premura di specificare che sono «rari». L’articolo che sfodera all’interno, tuttavia, è particolarmente ruvido. «I vaccini Covid-19», recita il titolo, «sono sicuri per la grande maggioranza della popolazione. Ma questa è una magra consolazione per coloro che vengono trascurati».Il succo dell’ampia inchiesta è esattamente questo: i danneggiati da vaccino esistono, ma vengono per lo più ignorati dai medici e dal sistema sanitario, oltre che da quello mediatico. Joanna Broder, autrice del pezzo, coglie sfumature su cui La Verità ha particolarmente insistito nel corso dei mesi. «Anche se gli effetti avversi dei vaccini Covid sono rari», scrive, «alcuni di coloro che rientrano in questo gruppo dicono di aver ricevuto poca attenzione dall’establishment medico». Apprendiamo che sia accaduto negli Usa, sappiamo per certo che è successo in Italia. E per quale motivo i danneggiati da vaccino sono stati ignorati? «Questo può essere dovuto in parte alla rarità delle loro condizioni e alla novità dei vaccini», spiega la firma di Newsweek. «Ma ha giocato un ruolo anche l’estrema politicizzazione della pandemia da Covid-19. Molti dottori, preoccupati dal diffondersi della disinformazione e temendo di contribuire all’esitazione vaccinale, si sono dimostrati riluttanti a prendere sul serio le denunce di effetti collaterali acuti dei vaccini». È un’analisi piuttosto accurata. E pure se arriva in ritardo, per lo meno arriva. In Italia, finora, sui media più blasonati non abbiamo mai letto nulla di simile. Joanna Broder, in ogni caso, è appena all’inizio. Dopo aver rivolto critiche alla classe medica, mette il dito nella piaga dell’informazione. «La discussione sugli effetti avversi acuti dei vaccini è stata bollata come disinformazione dalle piattaforme dei social media, in particolare Facebook, rendendo difficile alle persone raccogliere e scambiare informazioni». A tal proposito, la giornalista ha intervistato una donna di nome Brianne Dressen, che dopo essersi vaccinata con Astrazeneca ha sviluppato una neuropatia che, nei giorni peggiori, la obbliga a spostarsi con la sedia a rotelle e che anche in quelli migliori le impedisce di fare le cose che faceva prima, tra cui insegnare e usare lo snowboard. Brianne fa parte di alcuni gruppi di danneggiati da vaccino che si sono riuniti online, e ha raccontato le difficoltà incontrate lungo il percorso: quel gruppo e altri simili venivano regolarmente chiusi da Facebook.Al fine di mostrarsi imparziale al massimo, Newsweek cerca giustificazioni per tali chiusure. E spiega che alcuni materiali pubblicati sui gruppi dei danneggiati sono stati ripresi da politici come Robert Kennedy Jr o Ron Johnson, accusati di «diffondere disinformazione». Sembra, a ben vedere, un alibi fragile, soprattutto se si tiene conto di tutta la disinformazione diffusa parallelamente dagli autorevolissimi esperti adepti della Cattedrale Sanitaria globale.Dopo aver esaminato il versante mediatico della questione, Newsweek si dedica all’analisi dei dati disponibili. E anche in questo caso mette in rilievo robuste criticità. Spiega che la Food and drug administration ha riconosciuto «un lieve aumento» del rischio di sviluppare la sindrome di Guillain-Barré, un disturbo neurologico per niente piacevole. Quindi cita i dati disponibili nel sistema di sorveglianza Vaers, di cui su queste pagine più volte abbiamo parlato. «All’inizio di marzo», scrive la rivista, «c’erano almeno 40.000 segnalazioni di vari sintomi neurologici». Ma ecco il primo e grande problema: il Vaers è «un database di sorveglianza passiva, cioè si basa sulle segnalazioni fatte da medici, pazienti e famigliari. E non tutti gli inserimenti sono verificati, il che significa che i dati non possono essere usati per determinare se davvero un effetto avverso sia causato dal vaccino». Pensate un po’: il problema principale è la mancanza di una sorveglianza attiva. Dove l’abbiamo già sentita? Ah, sì: in Italia.Non è tutto. Newsweek cita uno studio inglese che ha esaminato oltre 32 milioni di persone che si sono sottoposte alla prima dose. Questa ricerca ha individuato 38 casi in eccesso di sindrome di Guillain-Barré ogni 10 milioni di adulti che hanno ricevuto Astrazeneca, e 60 casi in eccesso fra quelli che hanno ricevuto Pfizer. Lo studio conclude che servono più informazioni per compiere «continue valutazioni rischi/ benefici sui vaccini. Dunque l’identificazione degli eventi avversi è ora una priorità scientifica globale».Come vedete, il servizio di Newsweek evita toni allarmistici, l’autrice fa di tutto per non risultare sospettabile di simpatie no vax, e riporta solo dati riconosciuti dalle varie autorità internazionali. Si tratta, in buona sostanza, di un lavoro giornalistico equilibrato e prudente, anzi al limite dell’eccesso di prudenza. Ma la notizia, dicevamo, sta proprio qui. Dopo mesi e mesi e mesi di negazione ostinata e continua, ora una delle corazzate dell’informazione occidentale arriva a scrivere che i danneggiati da vaccino sono stati ingiustamente ignorati. Di più: spiega che se ciò è accaduto è colpa della politicizzazione e dell’ideologia sanitaria. Inoltre, suggerisce che sulle storie di queste persone (che non sono cosìù poche, specie se si considera che altri vaccini sono stati sospesi con un numero decisamente minore di effetti avversi riconosciuti) si dovrebbero svolgere più indagini, e più attente.A casa nostra, nel frattempo, continua quello che gli americani chiamerebbero «victim blaming», si continua a tenere occhi e orecchie tappati per non vedere la realtà, si prosegue a diffondere la narrazione unica che ha dominato negli ultimi due anni. Chissà, forme abbiamo sviluppato qualche sindrome da negazione della realtà particolarmente grave.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
Continua a leggereRiduci