In Italia c’è già il bavaglio. Il ddl sull’omofobia serve a mettergli il bollino di Stato

In Italia c’è già il bavaglio. Il ddl sull’omofobia serve a mettergli il bollino di Stato
Vladimir Luxuria e Anna Paola Concia (Ansa)
La Treccani rimuove le parole «sessiste», L'Espresso esalta l'uomo col pancione, Feltrinelli oscura il libro anti Lgbt: la censura aspetta solo di essere istituzionalizzata.

Che esistano già leggi a tutela delle persone Lgbt e di altre minoranze - e che dunque il ddl Zan sia inutile e perfino dannoso - ormai lo sappiamo: lo ha ribadito ieri, su queste pagine, uno studioso autorevole come Michele Ainis. C'è però un altro elemento da prendere in considerazione. Si dice che il ddl Zan, proprio perché del tutto superfluo ai fini delle tutele legislative, serva in realtà a imporre una visione ideologica univoca. A bene vedere, però, anche quella esiste già, e opera ogni giorno, pure se il bavaglio arcobaleno non è ancora stato approvato.

Per confermare il sospetto è sufficiente una rapida ricognizione nella cronaca. Abbiamo appreso ieri da Repubblica che - anche in virtù delle insistenti richieste avanzate dal quotidiano progressista - la Treccani ha deciso di togliere dalla sua edizione online tutti i sinonimi «dispregiativi» della parola «donna». Al posto di «cagna, bagascia e battona», par di capire, comparirà soltanto «prostituta». Poca cosa e forse persino, in superficie, apprezzabile. Ma il punto è che le parole dispregiative esistono nella nostra lingua, e certo non spariranno dall'uso comune perché le si cancella da un dizionario. Soprattutto, non è togliendo di mezzo una parola che si può pensare di eliminare azioni violente o, addirittura, sentimenti negativi (i quali, innegabilmente, fanno parte della natura umana).

Mentre numerosi e illustri intellettuali progressisti si affannano a correggere il dizionario dei sinonimi, altre e più brutali offese passano quasi inosservate e comunque non suscitano potente sdegno. A Matteo Salvini vengono costantemente indirizzate frasi come: «Gli devono piazzare una bomba che gli fa saltare in aria la casa, con i figli e quella troia che ha fianco». Al solito, però, tutto viene derubricato a trascurabile invettiva digitale. Può darsi che sia così, ma allora perché scaldarsi tanto perché sulla Treccani online si legge «cagna»?

Un pizzico più di fastidio - persino a sinistra - hanno suscitato gli assalti a Giorgia Meloni. Prima il professore universitario toscano che la insultava via radio, poi la libraia romana che non intende vendere il suo libro, considerandolo spazzatura fascista. Sì, in questi casi qualche voce si è levata, ma ogni volta abbia dovuto sentire pelosi distinguo, sottigliezze ipocrite. Come a dire: in fondo quella se le va a cercare, e dopo tutto se le merita.

Vedremo, poi, quante voci si leveranno a tutela di un altro libro, intitolato Legge omofobia perché non va. La proposta Zan esaminata articolo per articolo, curato da Alfredo Mantovano e pubblicato da Cantagalli. Un testo molto ben fatto, di altissimo valore intellettuale e giuridico. L'editore ieri ha emesso una nota per fare presente «che, nonostante il libro sia stato distribuito in libreria dal 18 marzo 2021, dopo ripetute segnalazioni di clienti che desideravano acquistare il saggio presso la catena di librerie Feltrinelli, il volume a tutt'oggi non è presente in tale catena (è presente invece e disponibile su Librerie Feltrinelli online) e che i clienti interessati al libro non hanno la possibilità ancora oggi di acquistarlo, neppure ordinandolo, presso tale catena».

Certo, la Feltrinelli è un'azienda privata, ha il diritto di comportarsi come meglio crede. Inoltre, interpellata dal distributore del volume in seguito alle richieste dei potenziali acquirenti, si è scusata e ha fatto sapere che rimedierà (verificheremo). Tuttavia questo metodo sgradevole lo abbiamo già visto applicare (è accaduto anche a chi scrive). Nel mercato odierno, un libro «vive» per poco tempo, e se non viene ben distribuito al momento dell'uscita, quando i giornali ne parlano, di fatto è come se non fosse mai stato pubblicato. Forse parlare di censura è esagerato, ma con la scusa della «logica commerciale», guarda caso, finisce che si oscurano sempre le stesse opinioni - quelle alternative al discorso dominante - e mai altre.

Opinioni come quelle espresse dal bravo Antonio Rapisarda in un servizio realizzato per la trasmissione di Rai 2 Anni venti e andato in onda giovedì sera. Si trattava di un pezzo pungente di critica all'atteggiamento dell'Unione europea. Un lavoro d'autore, insomma, non a caso intitolato Il contrappunto. Come a dire: ecco la nostra provocazione affilata, commentino gli ospiti e ragionino gli spettatori. Ebbene, ne è scaturito un putiferio. L'Ansa ha fatto sapere che l'amministratore delegato della Rai, Fabrizio Salini, era «furioso» e ha chiesto immediati «provvedimenti». Enrico Letta ha dichiarato che «la Rai non può più continuare così quello che è successo a Rai 2, con una propaganda così becera, bieca e falsa contro l'Europa, è intollerabile». Chiaro: i contenuti sgraditi diventano «propaganda becera», e vanno censurati per lesa Bruxelles.

Ovviamente, però, nessuno si è scandalizzato per ciò che è avvenuto poco prima nella stessa trasmissione. Paola Concia, nota portavoce delle istanze Lgbt, ha gridato per svariati minuti contro tutto e tutti al fine di sostenere il ddl Zan: uno spettacolo allucinante, andato in scena fra gli sguardi esterrefatti degli altri ospiti. In quel caso nessuno ha tirato in ballo la propaganda, no: quella è libertà di espressione. Ed è libertà pure quella di Roberto Saviano, che giorni fa ha monologato a lungo a Che tempo che fa, su Rai 3, difendendo a spada tratta il già citato ddl arcobaleno.

Lo scrittore esprimesse pure le sue opinioni, come no. Peccato che, tra le varie mistificazioni, Roberto abbia infilato anche una grossa bufala. Per dimostrare quanto siano diffuse le violenze su omosessuali e trans, ha mostrato un titolo di giornale: «Aggrediti a Padova per bacio gay, ferito l'amico che li difende. In sei li prendono a calci e pugni». Storia orrenda, ma andava verificata meglio: non si trattava di «aggressione a gay», bensì di una rissa tra giovani su di giri. Anche la coppia, infatti, ha ricevuto un bel decreto penale di condanna per il pestaggio. Qualcuno ora accuserà Saviano di fare becera propaganda? Forse sì, ma ci sembra improbabile che intervengano i vertici Rai a bacchettarlo. Del resto finisce sempre così. Se vieni zittito malamente sulla tv pubblica in virtù delle tue idee (è successo ieri al sottoscritto ad Agorà, capita ogni giorno ad altri e più valenti colleghi), non accade nulla. Niente succede pure se i grandi quotidiani danno la notizia dell'indagine per vilipendio a carico di Marco Gervasoni e Francesca Totolo e ne approfittano per confondere le acque e descriverli ingiustamente come pericolosi sovversivi.

Non ci sono più nemmeno due pesi e due misure: c'è un unico mondo culturale che se la canta e se la suona. Ci sono i progressisti che possono pubblicare copertine come quella dell'Espresso in uscita domenica, dove un maschio col pancione diventa, appunto, sinonimo di libertà anche se distrugge il ruolo delle donne. Ci sono i progressisti che censurano e al contempo si atteggiano a censurati. Come Fedez, che insulta e mistifica poi piagnucola per l'inesistente mordacchia, quando gli unici silenziati sono stati i pro vita da lui attaccati.

Dicono i critici che il ddl Zan servirà a imporre un regime ideologico, ma non è esattamente così. Il regime c'è già, e funziona: il ddl Zan si limiterà a istituzionalizzarlo. A questo punto, tanto vale che la Treccani cambi anche la definizione di democrazia.

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