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2022-07-02
In Germania si potrà cambiare sesso senza consenso dei genitori. Basterà avere 14 anni
(Ansa)
Chi crede che le priorità politiche europee ora siano la guerra in Ucraina, la crisi energetica o i rincari alle stelle, è fuori strada. I partiti hanno altro in mente. In particolare, l’agenda progressista è orientata altrove, come provano sia l’enfasi con cui da noi il segretario Pd, Enrico Letta, ha rilanciato il tema dello ius scholae, sia l’attivismo del governo tedesco, che in questi giorni ha fatto sapere d’essere al lavoro per facilitare il «cambio di sesso».
Proprio così: giovedì l’esecutivo di Olaf Scholz ha annunciato una proposta per agevolare l’iter di riassegnazione sessuale prevedendo, per i giovani di 14 anni o più, la facoltà d’avviarlo anche senza il permesso dei genitori. Si potrà, cioè, cambiare sesso e nome sulla base di una semplice autocertificazione, registrando agli uffici competenti la nuova identità. Viceversa, la normativa vigente, che risale al 1981, prevede almeno due passaggi, quali l’incontro con due esperti in materia di transessualismo nonché la decisione di un tribunale, che validi il cambio di genere sui documenti ufficiali.
La legge in vigore, ha spiegato ai giornalisti il ministro della Famiglia tedesco, la verde Lisa Paus, «respira lo spirito degli anni Settanta», quando «lo Stato voleva aiutare persone che considerava malate psicologicamente e poneva dinnanzi a loro ostacoli elevati». Per questo furono fissati dei requisiti alla riassegnazione sessuale, ha aggiunto Paus, «profondamente umilianti, ma soprattutto completamente superflui».
Ora, però, la Germania volta pagina e, nelle intenzioni governative, c’è pure un non meglio specificato risarcimento per le persone transgender e intersessuali che siano state «colpite da lesioni fisiche o divorzi forzati ai sensi della legislazione precedente». Rispetto a questo, come sottolineato da Associated Press, c’è da dire che negli anni la Corte suprema tedesca ha già parzialmente smantellato la legge, in particolare annullando le disposizioni che richiedevano alle persone transgender di divorziare e sterilizzarsi.
Tuttavia, i paletti generali della norma del 1981 sono rimasti in piedi e la volontà è di farli a pezzi, come ha fatto capire il ministro della Giustizia di Berlino, il liberaldemocratico Marco Buschmann, aggiungendo che manca poco, al massimo qualche mese, perché la nuova norma possa passare in Consiglio dei ministri e quindi alle camere, dove la coalizione che sostiene Scholz è numericamente blindata. A onore del vero va detto che, in effetti, la compagine di governo aveva promesso di riformare la legge sulla riassegnazione del genere già quand’era salita al potere, nel dicembre 2021.
Inoltre, le associazioni Lgbt chiedono da tempo una norma più aggiornata, denunciando anche il problema dei costi che comporta l’iter chirurgico e ormonale senza cui il «cambio di sesso» non è possibile. A richiamare l’attenzione sul tema economico, alcuni mesi fa, era in particolare stata Felicia Rolletschke, attivista transgender, che aveva denunciato come solamente per avviar il processo di riassegnazione sessuale le fossero stati chiesti 1.600 euro. Troppi, specie per chi ha poco più di vent’anni e non ha ancora risparmi da parte.
Poi c’è la questione del doppio parere positivo, che i militanti arcobaleno assicurano essere del tutto inutile. «Il 99% delle opinioni degli esperti alla fine arriva alla stessa conclusione di ciò che la persona trans di sé», ha sottolineato Kalle Hümpfner di Bundesverband Trans*, realtà che dal 2015 chiede apertamente il cambio della normativa tedesca; e proprio nella direzione che ora il governo tedesco intende seguire. A prescindere che a Berlino facciano sul serio, come pare, o meno, c’è comunque già chi critica questo progetto di legge. Su National Review l’avvocato ed intellettuale conservatore Wesley J. Smith ha scritto che «consentire il cambio di sesso e del nome con lo schiocco delle dita non garantisce la serietà del desiderio di cambiare. Semmai è il contrario».
Senza dimenticare, poi, quello che è il vero nocciolo della legge che il governo tedesco intende mettere in pista: l’estensione della possibilità di cambiare identità sulla base d’una semplice autodichiarazione, e in barba al parere genitoriale, già a 14 anni di età. Una mossa a dir poco azzardata alla luce non solo dei tantissimi casi di detransitioners, i «trans pentiti» che con fatica decidono di tornare al sesso originale, e che spesso denunciano di essere stati frettolosamente assecondati più che ascoltati, quando la loro identità di genere era in crisi, ma anche della letteratura scientifica.
Recentemente Eric Kaufmann, docente al Birkbeck College, ha pubblicato per il Center for the study of partisanship and ideology, un lavoro in cui mostra come ormai, tra gli adolescenti, dichiararsi trans o «non binari» stia diventando una sorta di moda, che però risulta associata al peggioramento delle condizioni di salute. Motivo per cui su questi temi le istituzioni dovrebbero restare caute. Invece la Germania ora preme il pedale sull’acceleratore.
Le scuole del Trentino-Alto Adige diventeranno le prime gender-free
Se c’è una ideologia nuova che sta intorpidendo le acque di mezzo mondo, dalle scuole alle università, fino allo sport e alla cultura, questa è l’ideologia del gender. In tutte le sue pervasive forme di femminismo isterico, iper-sessualizzazione precoce, wokismo ante litteram, cultura della cancellazione (delle differenze), negazionismo del sesso biologico, eccetera. E se c’è una zona d’Italia dove, di solito, le tradizioni (religiose, culturali, folkloristiche) vengono mantenute e onorate, quello è il Nordest. E in special modo il Trentino Alto Adige.
Questi due universi si sono incontrati di recente, a causa del disegno di legge regionale, (numero 148, datato 3 giugno), che alcuni politici della Regione Trentino vorrebbero far approvare. Con lo scopo di impedire qualunque lavaggio (gender) dei cervelli nelle scuole pubbliche e private di ogni ordine e grado.
I politici in questione sono i consiglieri Alessia Ambrosi, Claudio Cia e Katia Rossato di Fratelli d’Italia, oltre a Luca Guglielmi di una lista civica. Come ricordava Luca Marcolivio sulla Bussola, il passaggio che sta al cuore della proposta di legge, è quello in cui si parla della «attività che non rientrano nel curricolo obbligatorio e attività relative a temi sensibili». Su cui si richiede la massima vigilanza delle famiglie circa i contenuti proposti agli studenti, specie se minorenni.
Sottoponendo ogni lezione che rientri nella fattispecie citata a «un’informativa specifica e dettagliata inviata ai genitori dei minori o agli studenti maggiorenni almeno una settimana prima dell’inizio dell’attività» (articolo 3.2). Molte attività extra curriculari, infatti, transitano in punta di piedi e quasi sottovoce nel mondo della scuola. Venendo presentate dal preside, dal dirigente, dal consiglio di classe o dal Piano triennale dell’offerta formativa (noto come Ptof), come doverose attività formative contro il bullismo, l’omofobia, il razzismo o la transizione ecologica.
E pare proprio che certi pedagogisti eversivi abbiano così trovato il grimaldello per scardinare quelle regole naturali della società secondo cui sono i genitori i primi educatori dei propri figli. Diritto inalienabile e dovere rigoroso che tutti i papà e le mamme sanno di dover, spesso a fatica, esercitare. Come riconosciuto, pacificamente, dalla stessa Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (1948) e dalla meno nota Dichiarazione universale dei diritti del fanciullo (1959).
Secondo il disegno di legge, che dovrebbe essere approvato entro l’estate e che avrebbe vocazione a diventare un archetipo di livello nazionale ed europeo, non è assolutamente consentita «la realizzazione, con il coinvolgimento di studenti, di progetti o attività basati sulla prospettiva di genere, che promuovano la fluidità di genere o dell’identità sessuale, oppure che insegnino a dissociare l’identità sessuale dal sesso biologico» (articolo 3.5). E se il consenso dei genitori ad alcune attività ipoteticamente «educative» non c’è, gli studenti «possono astenersi dalla frequenza», fruendo della possibilità «di partecipare ad una attività alternativa» (articolo 3.6).
La sinistra, che il vizio dell’ideologia e dell’indottrinamento ce l’ha ancora, pur se a livello paucisintomatico, è sbottata in vario modo. E sempre con la tecnica di imbrogliare le carte. All’inizio, con negazionismo sovietico, si affermava che «la teoria del gender non esiste». Poi che il gender altro non è che la lotta all’omofobia, e quindi esiste ma è cosa buona. Poi che, vista l’autonomia scolastica, ogni istituto, specie nelle regioni a statuto speciale come il Trentino, fa ciò che vuole.
Da ultimo, i cosiddetti centri sociali di Trento sono scesi in piazza per contestare la legge regionale e in particolare il consigliere Claudio Cia. Il quale a proposito della auspicata legge in corso di approvazione ha dichiarato: «Non baratto la famiglia, dove tutto si genera, per piacere a qualcuno. Il ddl tanto osteggiato rivendica il principio del primato della famiglie sull’educazione dei figli e non specula su scelte di vita di studenti e professori. Tantomeno sulle tragedie».
Non si tratta di mere questioni locali o di battaglie moralistiche e di nicchia. Infatti «Elisa», la piattaforma di monitoraggio usata dal ministero dell’Istruzione «per intervenire efficacemente sul tema del bullismo e del cyberbullismo» prevede nell’ultimo questionario, inviato di recente a docenti di tutta Italia, la domanda sul sesso di appartenenza del docente (quesito numero 104). Che potrebbe essere maschio, femmina, altro…
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Sarà sufficiente un’autocertificazione. La nuova normativa entro pochi mesi sarà adottata dal governo e andrà alle Camere.Trentino-Alto Adige: Una nuova legge, approvata entro l’estate, vieterà tutte le iniziative «fluide» in classe.Lo speciale contiene due articoli.Chi crede che le priorità politiche europee ora siano la guerra in Ucraina, la crisi energetica o i rincari alle stelle, è fuori strada. I partiti hanno altro in mente. In particolare, l’agenda progressista è orientata altrove, come provano sia l’enfasi con cui da noi il segretario Pd, Enrico Letta, ha rilanciato il tema dello ius scholae, sia l’attivismo del governo tedesco, che in questi giorni ha fatto sapere d’essere al lavoro per facilitare il «cambio di sesso».Proprio così: giovedì l’esecutivo di Olaf Scholz ha annunciato una proposta per agevolare l’iter di riassegnazione sessuale prevedendo, per i giovani di 14 anni o più, la facoltà d’avviarlo anche senza il permesso dei genitori. Si potrà, cioè, cambiare sesso e nome sulla base di una semplice autocertificazione, registrando agli uffici competenti la nuova identità. Viceversa, la normativa vigente, che risale al 1981, prevede almeno due passaggi, quali l’incontro con due esperti in materia di transessualismo nonché la decisione di un tribunale, che validi il cambio di genere sui documenti ufficiali.La legge in vigore, ha spiegato ai giornalisti il ministro della Famiglia tedesco, la verde Lisa Paus, «respira lo spirito degli anni Settanta», quando «lo Stato voleva aiutare persone che considerava malate psicologicamente e poneva dinnanzi a loro ostacoli elevati». Per questo furono fissati dei requisiti alla riassegnazione sessuale, ha aggiunto Paus, «profondamente umilianti, ma soprattutto completamente superflui». Ora, però, la Germania volta pagina e, nelle intenzioni governative, c’è pure un non meglio specificato risarcimento per le persone transgender e intersessuali che siano state «colpite da lesioni fisiche o divorzi forzati ai sensi della legislazione precedente». Rispetto a questo, come sottolineato da Associated Press, c’è da dire che negli anni la Corte suprema tedesca ha già parzialmente smantellato la legge, in particolare annullando le disposizioni che richiedevano alle persone transgender di divorziare e sterilizzarsi.Tuttavia, i paletti generali della norma del 1981 sono rimasti in piedi e la volontà è di farli a pezzi, come ha fatto capire il ministro della Giustizia di Berlino, il liberaldemocratico Marco Buschmann, aggiungendo che manca poco, al massimo qualche mese, perché la nuova norma possa passare in Consiglio dei ministri e quindi alle camere, dove la coalizione che sostiene Scholz è numericamente blindata. A onore del vero va detto che, in effetti, la compagine di governo aveva promesso di riformare la legge sulla riassegnazione del genere già quand’era salita al potere, nel dicembre 2021. Inoltre, le associazioni Lgbt chiedono da tempo una norma più aggiornata, denunciando anche il problema dei costi che comporta l’iter chirurgico e ormonale senza cui il «cambio di sesso» non è possibile. A richiamare l’attenzione sul tema economico, alcuni mesi fa, era in particolare stata Felicia Rolletschke, attivista transgender, che aveva denunciato come solamente per avviar il processo di riassegnazione sessuale le fossero stati chiesti 1.600 euro. Troppi, specie per chi ha poco più di vent’anni e non ha ancora risparmi da parte.Poi c’è la questione del doppio parere positivo, che i militanti arcobaleno assicurano essere del tutto inutile. «Il 99% delle opinioni degli esperti alla fine arriva alla stessa conclusione di ciò che la persona trans di sé», ha sottolineato Kalle Hümpfner di Bundesverband Trans*, realtà che dal 2015 chiede apertamente il cambio della normativa tedesca; e proprio nella direzione che ora il governo tedesco intende seguire. A prescindere che a Berlino facciano sul serio, come pare, o meno, c’è comunque già chi critica questo progetto di legge. Su National Review l’avvocato ed intellettuale conservatore Wesley J. Smith ha scritto che «consentire il cambio di sesso e del nome con lo schiocco delle dita non garantisce la serietà del desiderio di cambiare. Semmai è il contrario». Senza dimenticare, poi, quello che è il vero nocciolo della legge che il governo tedesco intende mettere in pista: l’estensione della possibilità di cambiare identità sulla base d’una semplice autodichiarazione, e in barba al parere genitoriale, già a 14 anni di età. Una mossa a dir poco azzardata alla luce non solo dei tantissimi casi di detransitioners, i «trans pentiti» che con fatica decidono di tornare al sesso originale, e che spesso denunciano di essere stati frettolosamente assecondati più che ascoltati, quando la loro identità di genere era in crisi, ma anche della letteratura scientifica.Recentemente Eric Kaufmann, docente al Birkbeck College, ha pubblicato per il Center for the study of partisanship and ideology, un lavoro in cui mostra come ormai, tra gli adolescenti, dichiararsi trans o «non binari» stia diventando una sorta di moda, che però risulta associata al peggioramento delle condizioni di salute. Motivo per cui su questi temi le istituzioni dovrebbero restare caute. Invece la Germania ora preme il pedale sull’acceleratore.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/in-germania-si-potra-cambiare-sesso-senza-consenso-dei-genitori-bastera-avere-14-anni-2657599097.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="le-scuole-del-trentino-alto-adige-diventeranno-le-prime-gender-free" data-post-id="2657599097" data-published-at="1656710094" data-use-pagination="False"> Le scuole del Trentino-Alto Adige diventeranno le prime gender-free Se c’è una ideologia nuova che sta intorpidendo le acque di mezzo mondo, dalle scuole alle università, fino allo sport e alla cultura, questa è l’ideologia del gender. In tutte le sue pervasive forme di femminismo isterico, iper-sessualizzazione precoce, wokismo ante litteram, cultura della cancellazione (delle differenze), negazionismo del sesso biologico, eccetera. E se c’è una zona d’Italia dove, di solito, le tradizioni (religiose, culturali, folkloristiche) vengono mantenute e onorate, quello è il Nordest. E in special modo il Trentino Alto Adige. Questi due universi si sono incontrati di recente, a causa del disegno di legge regionale, (numero 148, datato 3 giugno), che alcuni politici della Regione Trentino vorrebbero far approvare. Con lo scopo di impedire qualunque lavaggio (gender) dei cervelli nelle scuole pubbliche e private di ogni ordine e grado. I politici in questione sono i consiglieri Alessia Ambrosi, Claudio Cia e Katia Rossato di Fratelli d’Italia, oltre a Luca Guglielmi di una lista civica. Come ricordava Luca Marcolivio sulla Bussola, il passaggio che sta al cuore della proposta di legge, è quello in cui si parla della «attività che non rientrano nel curricolo obbligatorio e attività relative a temi sensibili». Su cui si richiede la massima vigilanza delle famiglie circa i contenuti proposti agli studenti, specie se minorenni. Sottoponendo ogni lezione che rientri nella fattispecie citata a «un’informativa specifica e dettagliata inviata ai genitori dei minori o agli studenti maggiorenni almeno una settimana prima dell’inizio dell’attività» (articolo 3.2). Molte attività extra curriculari, infatti, transitano in punta di piedi e quasi sottovoce nel mondo della scuola. Venendo presentate dal preside, dal dirigente, dal consiglio di classe o dal Piano triennale dell’offerta formativa (noto come Ptof), come doverose attività formative contro il bullismo, l’omofobia, il razzismo o la transizione ecologica. E pare proprio che certi pedagogisti eversivi abbiano così trovato il grimaldello per scardinare quelle regole naturali della società secondo cui sono i genitori i primi educatori dei propri figli. Diritto inalienabile e dovere rigoroso che tutti i papà e le mamme sanno di dover, spesso a fatica, esercitare. Come riconosciuto, pacificamente, dalla stessa Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (1948) e dalla meno nota Dichiarazione universale dei diritti del fanciullo (1959). Secondo il disegno di legge, che dovrebbe essere approvato entro l’estate e che avrebbe vocazione a diventare un archetipo di livello nazionale ed europeo, non è assolutamente consentita «la realizzazione, con il coinvolgimento di studenti, di progetti o attività basati sulla prospettiva di genere, che promuovano la fluidità di genere o dell’identità sessuale, oppure che insegnino a dissociare l’identità sessuale dal sesso biologico» (articolo 3.5). E se il consenso dei genitori ad alcune attività ipoteticamente «educative» non c’è, gli studenti «possono astenersi dalla frequenza», fruendo della possibilità «di partecipare ad una attività alternativa» (articolo 3.6). La sinistra, che il vizio dell’ideologia e dell’indottrinamento ce l’ha ancora, pur se a livello paucisintomatico, è sbottata in vario modo. E sempre con la tecnica di imbrogliare le carte. All’inizio, con negazionismo sovietico, si affermava che «la teoria del gender non esiste». Poi che il gender altro non è che la lotta all’omofobia, e quindi esiste ma è cosa buona. Poi che, vista l’autonomia scolastica, ogni istituto, specie nelle regioni a statuto speciale come il Trentino, fa ciò che vuole. Da ultimo, i cosiddetti centri sociali di Trento sono scesi in piazza per contestare la legge regionale e in particolare il consigliere Claudio Cia. Il quale a proposito della auspicata legge in corso di approvazione ha dichiarato: «Non baratto la famiglia, dove tutto si genera, per piacere a qualcuno. Il ddl tanto osteggiato rivendica il principio del primato della famiglie sull’educazione dei figli e non specula su scelte di vita di studenti e professori. Tantomeno sulle tragedie». Non si tratta di mere questioni locali o di battaglie moralistiche e di nicchia. Infatti «Elisa», la piattaforma di monitoraggio usata dal ministero dell’Istruzione «per intervenire efficacemente sul tema del bullismo e del cyberbullismo» prevede nell’ultimo questionario, inviato di recente a docenti di tutta Italia, la domanda sul sesso di appartenenza del docente (quesito numero 104). Che potrebbe essere maschio, femmina, altro…
Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa podcast del 19 dicembre con Flaminia Camilletti
Alberto Stasi (Ansa)
Ieri, nell’aula del tribunale di Pavia, quell’ombra è stata cancellata dall’incidente probatorio. «È stato chiarito definitivamente che Stasi è escluso». Lo dice senza giri di parole all’uscita dal palazzo di giustizia Giada Bocellari, difensore con Antonio De Rensis di Stasi. «Tenete conto», ha spiegato Bocellari, «che noi partivamo da una perizia del professor Francesco De Stefano (il genetista che nel 2014 firmò la perizia nel processo d’appello bis, ndr) che diceva che il Dna era tutto degradato e che Stasi non poteva essere escluso da quelle tracce». È il primo elemento giudiziario della giornata di ieri. La stessa Bocellari, però, mette anche un freno a ogni lettura forzata: «Non è che Andrea Sempio verrà condannato per il Dna. Non verrà mai forse neanche rinviato a giudizio solo per il Dna». Gli elementi ricavati dall’incidente probatorio, spiega, sono «un dato processuale, una prova che dovrà poi essere valutata e questo lo potrà fare innanzitutto la Procura quando dovrà decidere, alla fine delle indagini, cosa fare». Dentro l’aula, però, la tensione non è stata solo scientifica. È stata anche simbolica. Perché Stasi era presente. Seduto, in silenzio. E la sua presenza ha innescato uno scontro.
«È venuto perché questa era una giornata importante», spiega ancora Bocellari, aggiungendo: «Tenete conto che sono undici anni che noi parliamo di questo Dna e finalmente abbiamo assunto un risultato nel contraddittorio». Una scelta rivendicata senza tentennamenti: «Tenete conto anche del fatto che lui ha sempre partecipato al suo processo, è sempre stato presente alle udienze e quindi questo era un momento in cui esserci, nel massimo rispetto anche dell’autorità giudiziaria che oggi sta procedendo nei confronti di un altro soggetto». E quel soggetto è Sempio. Indagato. Ma assente. Una scelta opposta, spiegata dai suoi legali. «In ogni caso non avrebbe potuto parlare», chiarisce Angela Taccia, che spiega: «Il Dna non è consolidato, non c’è alcuna certezza contro Sempio. Il software usato non è completo, anzi è molto scarno, non si può arrivare a nessun punto fermo». Lo stesso tono lo usa Liborio Cataliotti, l’altro difensore di Sempio. «Confesso che non mi aspettavo oggi la presenza di Stasi. Però non mi sono opposto, perché si è trattato di una presenza, sia pur passiva, di chi è interessato all’espletamento della prova. Non mi sembrava potessero esserci controindicazioni alla sua presenza». Se per la difesa di Sempio la presenza di Stasi è neutra, sul fronte della famiglia Poggi il clima è diverso. L’avvocato Gian Luigi Tizzoni premette: «Vedere Stasi non mi ha fatto nessun effetto, non ho motivi per provare qualsiasi tipo di emozione». Ma la linea processuale è chiara. Durante l’udienza i legali dei Poggi (rappresentati anche dall’avvocato Francesco Compagna) hanno chiesto che Stasi uscisse dall’aula perché «non è né la persona offesa né l’indagato». Richiesta respinta dal gip Daniela Garlaschelli come «irrilevante e tardiva», perché giunta «a sei mesi di distanza dall’inizio dell’incidente probatorio». Stasi è stato quindi ammesso come «terzo interessato». Ma l’avvocato Compagna tiene il punto: «Credo che di processuale ci sia poco in questa vicenda, è un enorme spettacolo mediatico». E attacca sul merito: «La verità è che le unghie sono prive di significato, visto che la vittima non si è difesa e giocare su un dato che non è scientifico è una follia».
La perita Denise Albani, ricorda Compagna, «ha ribadito che non si può dire come, dove e quando quella traccia è stata trasferita e quindi non ha valore». Deve essersi sentito un terzo interessato anche il difensore dell’ex procuratore aggiunto di Pavia Mario Venditti (indagato a Brescia per un’ipotesi di corruzione in atti giudiziari riferita all’archiviazione della posizione di Sempio nel 2017). L’avvocato Domenico Aiello, infatti, ha alzato il livello dello scontro: «Non mi risulta che esista la figura della parte processuale del “terzo interessato”. Si è palesato in aula a Pavia il titolare effettivo del subappalto di manodopera nel cantiere della revisione». E insiste: «Sarei curioso di capire se sia soddisfatto e in quale veste sarà registrato al verbale di udienza, se spettatore abusivo o talent scout od osservatore interessato. Ancora una grave violazione del Codice di procedura penale. Spero non si sostituisca un candidato innocente con un altro sfortunato innocente e a spese di un sicuro innocente».
Ma mentre le polemiche rimbalzano fuori dall’aula, dentro il dato resta tecnico. E su quel dato, paradossalmente, tutti escono soddisfatti. «Dal nostro punto di vista abbiamo ottenuto risposte che riteniamo molto ma molto soddisfacenti sulla posizione di Sempio», dice Cataliotti. Taccia conferma: «Siamo molto soddisfatti di com’è andata oggi». La difesa di Sempio ribadisce che il dato è neutro, parziale, non decisivo. La difesa di Stasi incassa l’esclusione definitiva del Dna. E alla fine l’incidente probatorio ha fatto la sua parte. Ha prodotto una prova. Ha chiarito un equivoco storico. E ha lasciato ognuno con il proprio argomento in mano. Fuori dall’aula, però, il processo mediatico si è concentrato tutto sulla presenza di Stasi e sull’assenza di Sempio, come se l’innocenza o la colpevolezza di qualcuno fosse misurabile a colpi di apparizioni sceniche.
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E come si può chiamare un tizio che promette «appena posso (violare la legge, ndr) lo rifaccio»?. «Costi quel che costi», disse Luca Casarini, «al vostro ordine continuerò a disobbedire, perché obbedisco ad altro, di fronte al quale le vostre leggi ingiuste e criminali, ciniche e orribili non possono niente». Quelle contestate sono le leggi dello Stato italiano, approvate dal Parlamento italiano, vigilate dalla Corte costituzionale italiana, rispettate dalla maggioranza degli italiani. Ma per Casarini e compagni si possono ignorare. Anzi, si devono violare. E nessuno può permettersi il diritto di critica e di chiamarli pirati. «Abbiamo disobbedito a un ordine ingiusto e inumano del ministero dell’Interno», disse Beppe Caccia, capo missione di Mediterranea, «ma così facendo abbiamo obbedito al diritto marittimo, alla Costituzione italiana, alle leggi dell’umanità». Chi si può arrogare il diritto di stabilire che ci si può infischiare di una legge? Ve la immaginate quale sarebbe la reazione di fronte a un tizio che ignora il codice della strada o la normativa fiscale e dice che lui risponde a una legge superiore? E vi ricorda qualche cosa la definizione di «legge criminale»? Negli anni della contestazione lo Stato era criminale, le misure repressive, i divieti autoritari. Come sia finita si sa.
Il soccorso in mare ha un obiettivo politico: è un’azione che mira a «contrastare e a sovvertire il sistema capitalista e patriarcale» come ha spiegato don Mattia Ferrari, il cappellano di Mediterranea. «Abbiamo abbattuto un muro. Quello innalzato in mare dal decreto sicurezza bis. Siamo stati costretti a farlo», ha aggiunto Carola Rackete, la capitana che nella foga di attraccare nonostante le fosse stato negato il diritto allo sbarco andò a sbattere con la sua nave contro una motovedetta della Guardia di finanza. E costoro non si possono definire pirati? Chiamarli tali, perché come diceva il filosofo Giulio Giorello a proposito dei bucanieri, ritengono la loro coscienza «superiore a ogni legge», sarebbe diffamatorio? E quale offesa alla propria reputazione, quale danno, avrebbero patito, di grazia? È evidente che le querele hanno un obiettivo: tappare la bocca a chi esprime un giudizio critico, impedire alla libera stampa di dire quel che pensa e di chiamare le cose con il loro nome.
Da una settimana si discute di giornali comprati e venduti, perché John Elkann ha messo in vendita Repubblica e La Stampa. Ma la minaccia all’articolo 21 della Costituzione non viene da un imprenditore greco o italiano che compra una testata, bensì dal tentativo di imbavagliare chi si oppone, con le inchieste e le notizie, alla strategia dell’immigrazione, arma - come predica don Ferrari - usata per abbattere il sistema capitalistico e patriarcale. Sono certo che di fronte alla sentenza contro Panorama non si leveranno le voci degli indignati speciali. Quelle si alzano solo quando condannano Roberto Saviano a pagare mille euro per aver chiamato bastardi Meloni e Salvini. Visti i risultati, mi conveniva titolare «I nuovi bastardi».
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