2024-08-09
In Campania è emergenza rifiuti
L’inceneritore di Acerra guasto per almeno 10 giorni: la Regione ha un piano per stoccare l’immondizia ma gli spazi sono risicati. Oltre quel termine andrà esportata. Ancora una volta la Regione Campania si trova a fare i conti con l’incapacità di gestire in modo efficace un settore cruciale come quello dei rifiuti. Lo stop di 10 giorni del termovalorizzatore di Acerra, uno dei più grandi d’Europa, per un’avaria tecnica, annunciato con il consueto ritardo (l’avaria è stata riscontrata martedì) e accompagnato dalle solite rassicurazioni di rito, mette in luce una gestione fallimentare che sembra non imparare mai dai propri errori. E i campani rischiano di ritrovarsi nell’ennesima emergenza in piena estate. Un impianto come quello di Acerra, pilastro della gestione dei rifiuti campani, dovrebbe essere monitorato e manutenuto con la massima cura, considerando il suo ruolo fondamentale. E invece: filiera paralizzata e rischi per la salute pubblica. Dalla Regione sostengono che ci sia un «piano B». I cumuli di immondizia saranno provvisoriamente stoccati utilizzando la fossa di accumulo del termovalorizzatore e gli spazi di stoccaggio degli Stir (Stabilimenti di tritovagliatura e imballaggio rifiuti) provinciali e aree pertinenziali. La fossa di accumulo però è uno spazio progettato per contenere i rifiuti prima che vengano inceneriti. In condizioni normali funziona come uno snodo di transito: i rifiuti vengono scaricati, stoccati temporaneamente e poi bruciati. Con l’impianto fermo la fossa verrebbe trasformata in un magazzino statico, con una capacità di accumulo molto limitata. Se il guasto dovesse protrarsi oltre i 10 giorni previsti, infatti, c’è il rischio concreto che la fossa si saturi rapidamente, lasciando la Regione senza ulteriori margini di manovra. Spazio limitato anche negli Stir, non concepiti per accogliere eccessive quantità per lunghi periodi. E immaginare di riempire pure le aree pertinenziali significa non avere altro posto in cui poter accumulare. Più che «Piano B», quindi, sembra un semplice rattoppo. La realtà è che la Regione Campania non ha mai davvero risolto il problema dei rifiuti, ma si è limitata a tamponare le falle di un sistema che resta in perenne stato di emergenza. In sostanza, stando a quanto è stato comunicato alla Regione dalla A2a, la partecipata che gestisce l’impianto, si tratta di intervenire sulle tre caldaie e sul sistema di lubrificazione della turbina. Il vice sceriffo Fulvio Bonavitacola, numero due di Vincenzo De Luca che è anche assessore all’Ambiente, ha immaginato che sarebbe stata sufficiente una dichiarazione: «La Regione ha raccomandato al gestore massimo impegno per minimizzare i tempi di ripristino». Ma trattandosi di «un grave imprevisto tecnico, che non ha precedenti nei tanti anni di funzionamento dell’impianto», come ha spiegato proprio Bonavitacola, le preoccupazioni dei cittadini, che hanno già vissuto molteplici emergenze, sono salite ai livelli di guardia. Il guasto è solo l’ultimo sintomo di una malattia cronica: la mancanza di una strategia a lungo termine e la costante improvvisazione. Anche perché le condizioni di salute dell’impianto erano note. Solo cinque mesi fa De Luca annunciò di aver rinunciato alla costruzione della quarta linea del termovalorizzatore. E subito dopo profetizzò: «L’impianto è vecchio di 15 anni e ha bisogno di manutenzione». Le ultime parole famose. L’accumulo di rifiuti nel periodo estivo potrebbe comportare serie difficoltà. E in mancanza di altri impianti, come già avvenuto in passato, l’unico modo per chiudere il ciclo sarebbe esportare l’immondizia.
Container in arrivo al Port Jersey Container Terminal di New York (Getty Images)
La maxi operazione nella favela di Rio de Janeiro. Nel riquadro, Gaetano Trivelli (Ansa)
Nicolas Maduro e Hugo Chavez nel 2012. Maduro è stato ministro degli Esteri dal 2006 al 2013 (Ansa)
Un disegno che ricostruisce i 16 mulini in serie del sito industriale di Barbegal, nel Sud della Francia (Getty Images)
Situato a circa 8 km a nord di Arelate (odierna Arles), il sito archeologico di Barbegal ha riportato alla luce una fabbrica per la macinazione del grano che, secondo gli studiosi, era in grado di servire una popolazione di circa 25.000 persone. Ma la vera meraviglia è la tecnica applicata allo stabilimento, dove le macine erano mosse da 16 mulini ad acqua in serie. Il sito di Barbegal, costruito si ritiene attorno al 2° secolo dC, si trova ai piedi di una collina rocciosa piuttosto ripida, con un gradiente del 30% circa. Le grandi ruote erano disposte all’esterno degli edifici di fabbrica centrali, 8 per lato. Erano alimentate da due acquedotti che convergevano in un canale la cui portata era regolata da chiuse che permettevano di controllare il flusso idraulico.
Gli studi sui resti degli edifici, i cui muri perimetrali sono oggi ben visibili, hanno stabilito che l’impianto ha funzionato per almeno un secolo. La datazione è stata resa possibile dall’analisi dei resti delle ruote e dei canali di legno che portavano l’acqua alle pale. Anche questi ultimi erano stati perfettamente studiati, con la possibilità di regolarne l’inclinazione per ottimizzare la forza idraulica sulle ruote. La fabbrica era lunga 61 metri e larga 20, con una scala di passaggio tra un mulino e l’altro che la attraversava nel mezzo. Secondo le ipotesi a cui gli archeologi sono giunti studiando i resti dei mulini, il complesso di Barbegal avrebbe funzionato ciclicamente, con un’interruzione tra la fine dell’estate e l’autunno. Il fatto che questo periodo coincidesse con le partenze delle navi mercantili, ha fatto ritenere possibile che la produzione dei 16 mulini fosse dedicata alle derrate alimentari per i naviganti, che in quel periodo rifornivano le navi con scorte di pane a lunga conservazione per affrontare i lunghi mesi della navigazione commerciale.
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