2020-06-01
Imputato Cina, discolpati
Nel mondo si moltiplicano cause e class action contro Pechino. Ora arrivano in Italia: ecco gli argomenti e le requisitorie degli accusatoriL'esperto di diritto internazionale Fabrizio Marrella,: «Più che evidenziare un dolo diretto, per avviare il contenzioso è sufficiente dimostrare ciò che non è stato fatto per evitare l'epidemia».Lo speciale contiene due articoliLa pandemia da Covid-19 ha distrutto vite ed economie, la Cina non può passarla liscia. Questo è il concetto, più o meno articolato, che sta spingendo governatori di Stati, associazioni, imprese e singoli cittadini ad arruolare fior di avvocati perché promuovano class action contro il Dragone. Azioni collettive ma anche iniziative private, tutte tese a far pagare al governo cinese l'origine del virus dal mercato degli orrori di Wuhan o ancor peggio (se venisse dimostrato), da qualche istituto di virologia e, in ogni caso, le responsabilità nella diffusione del micidiale virus. Le prime azioni sono state avviate negli Stati Uniti il cui presidente, Donald Trump, è convinto che la Cina abbia commesso un «terribile errore» nella gestione dell'epidemia di Covid-19 e promette rivelazioni che inchioderanno Pechino.In California, già ai primi di marzo un gruppo di piccole imprese ha citato in giudizio la Repubblica popolare cinese, la città di Wuhan e la commissione Sanità della Cina per aver taciuto, sebbene fossero a conoscenza da metà novembre di un virus altamente mortale. Chiedono 8.000 miliardi di dollari per danni che hanno subìto e subiranno a causa di lockdown disposti dal governo per limitare i contagi. Il 12 marzo, lo studio legale Berman Law group ha intentato una class action nel distretto meridionale della Florida contro il Partito comunista cinese, la provincia di Hubei, la città di Wuhan e diversi ministri di Xi Jinping per «non essere riusciti a contenere il coronavirus». Miliardi di dollari di risarcimento per coloro che hanno sofferto lesioni personali, decessi ingiusti, tracolli economici. Lo stesso gruppo di avvocati ha promosso un'azione collettiva anche per sostenere i diritti dei sanitari americani a ottenere un indennizzo economico dalla Cina. Il 17 marzo, l'ex procuratore Larry Klayman, fondatore di Judicial watch e Freedom watch, gruppi di interesse politico che hanno promosso cause contro Clinton e Obama, ha annunciato la presentazione di un reclamo per azione collettiva presso la Corte distrettuale degli Stati Uniti per il distretto settentrionale del Texas. Alla Cina, l'ex procuratore chiede oltre 20.000 miliardi di dollari. Il 21 aprile, il procuratore generale del Missouri, Eric Schmitt, ha presentato una causa civile contro il governo cinese sostenendo che «ha mentito al mondo sul pericolo e sulla natura contagiosa del Covid-19, ha messo a tacere le voci che hanno lanciato l'allarme e ha fatto ben poco per fermare la diffusione della malattia. Devono essere ritenuti responsabili delle loro azioni». Schmitt ha evidenziato l'alto numero di decessi nello Stato americano e le gravi conseguenze economiche con una disoccupazione «che prima della pandemia era a livelli molto bassi mentre ora è la più alta dalla Grande depressione». Queste cause, a detta di molti esperti in diritto costituzionale, avrebbero ben poche speranze di successo in base al Foreign sovereign immunities act, legge del 1976 che disciplina l'immunità degli Stati stranieri (e ogni loro suddivisione politica) dalla giurisdizione americana e che rappresenta un grosso ostacolo per chi vuole citare in giudizio la Cina. Il principio dell'immunità sovrana è ampiamente riconosciuto nel diritto internazionale e la stragrande maggioranza degli Stati ha emanato una legislazione che la prevede.«Gli stessi Stati Uniti hanno sempre voluto l'immunità quando operavano all'estero e con lo stesso principio altri Paesi potrebbero toglierla a loro», osserva Alberto Forchielli, managing partner del fondo di private equity Mandarin Capital Partners. C'è anche la proposta di avviare una commissione d'inchiesta che operi sotto l'egida di qualche organismo internazionale e i cui membri dovrebbero avere accesso incondizionato in Cina e poter parlare con chiunque, ma Pechino si è opposta all'idea. Intanto il Dragone si è mosso replicando alle accuse facendole passare per strumentalizzazione politica: «La demonizzazione della Cina è stata spesso utilizzata negli Stati Uniti per influenzare l'opinione pubblica durante le elezioni», ha dichiarato l'agenzia di stampa statale Xinhua. Il quotidiano ufficiale del Partito comunista cinese, People's Daily, definendo «una vergogna per l'umanità» le richieste di risarcimento americane per gli effetti del Covid-19, ha chiesto perché allora gli Stati Uniti non siano stati costretti a risarcire il mondo per morti e perdite finanziarie causate dalla pandemia di influenza del 1918, dall'epidemia di Aids o dalla crisi finanziaria globale del 2008.Di certo, l'avvio di grandi contenziosi con il colosso asiatico provocherà conseguenze sul piano dei rapporti economici ma la prospettiva non scoraggia il moltiplicarsi di iniziative come nel Regno Unito, dove il centro studi dalla Henry Jackson society ha pubblicato un rapporto di 44 pagine in cui analizza i fondamenti di un'azione legale nei confronti di Pechino. Anche per gli inglesi, la condotta del governo cinese avrebbe «di fatto provocato migliaia di morti, nonché la crisi dell'economia globale». L'11 maggio Ashish Sohani, avvocato presso l'alta corte di Mumbai, ha denunciato il presidente Xi Jinping e altri quattro alti ufficiali cinesi alla Corte penale internazionale chiedendo un risarcimento di 2.500 miliardi di dollari per conto del governo indiano, in seguito alla perdita di vite umane e ai danni economici. Secondo il legale, i tentativi di Pechino di minimizzare il coronavirus equivalgono a un «crimine contro l'umanità». Class action si stanno promuovendo in Francia, Germania e nel nostro Paese con Oneurope onlus, che organizza progetti per aiutare gli immigrati a integrarsi, e con il Codacons, associazione di consumatori, che sta valutando azioni collettive contro il governo cinese attraverso tribunali statunitensi. L'intero distretto turistico delle Dolomiti bellunesi, 64 Comuni rimasti bloccati in tutte le iniziative dei Mondiali di sci alpino 2021 e in previsione dei Giochi Olimpici invernali del 2026, ha citato per danni il ministero della Sanità della Repubblica popolare cinese. L'udienza si terrà il 21 dicembre 2020 dinanzi al Tribunale di Belluno.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/imputato-cina-discolpati-2646134950.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="i-comportamenti-omissivi-sono-facili-da-documentare" data-post-id="2646134950" data-published-at="1590910919" data-use-pagination="False"> «I comportamenti omissivi sono facili da documentare» Fabrizio Marrella, 53 anni, ordinario di diritto internazionale all'Università Cà Foscari di Venezia e professore invitato alla Sorbona Parigi, ci aiuta a capire se abbiamo qualche speranza di ottenere da un giudice nazionale una pronuncia di condanna della Cina e conseguente risarcimento dei danni. Sul piano giuridico si può sostenere e dimostrare che il Covid-19 ha origini cinesi e che la Cina ne ha responsabilità davanti al mondo intero? «Questa è la domanda più difficile a cui rispondere. Abbiamo solamente alcuni indizi, ovvero le dichiarazioni del governo cinese che fa risalire il virus al mercato di Wuhan, e quelle di importanti scienziati come Luc Montagnier che ha definito il Covid-19 un lavoro minuzioso di professionisti. Non dimentichiamo che il laboratorio P4 era stato costruito in partnership tra Francia e Cina e che la Francia aveva formato diversi medici cinesi. Manca però il nesso di causalità, non sappiamo se il virus sia stato prodotto nel laboratorio di Wuhan, né conosciamo se lo scopo di queste ricerche fosse di carattere civile o militare. Nella seconda eventualità, uno scenario di sviluppo di armi di distruzione di massa sarebbe spaventoso. Però non è necessario avere queste certezze». Si spieghi meglio, professore. «L'eventuale responsabilità della Cina può anche derivare dal mancato contenimento dei danni legati al coronavirus, per aver lasciato che il Covid-19 circolasse al di fuori dei confini cinesi e si estendesse in tutto il mondo. È molto più facile da dimostrare se ha violato la cosiddetta “regola di buon vicinato" con gli altri Stati, che nel diritto internazionale rientra fra gli obblighi “negativi", quelli che hanno per oggetto il non facere, il non causare danni». Sta dicendo che il ritardo nel gestire e comunicare la diffusione di un virus così letale, sono le imputazioni più verosimili da attribuire alla nazione di Xi Jinping? «Certo. Non aver saputo contenere e non aver dato tempestiva comunicazione all'Organizzazione mondiale della sanità di una pandemia che ha provato danni economici enormi e centinaia di migliaia di morti, proprio perché gli Stati non hanno potuto contrastarla per tempo, è stato un comportamento omissivo da parte della Cina. Si può profilare una sua responsabilità internazionale e prevedere cause civili. Lasciamo invece alle intelligence e a inchieste intergovernative il compito di far luce sull'origine del virus». Però che cosa accadrebbe se fosse confermata la tesi dell'origine artificiale del virus? «L'ipotesi del Covid-19 sfuggito accidentalmente nel quadro di un programma di ricerca militare, significherebbe che la Cina sta sviluppando delle armi di distruzione di massa in violazione della Convenzione sulla proibizione delle armi biologiche del 10 aprile 1972. A quel punto, oltre a una tensione internazionale gravissima, le richieste risarcitorie diventerebbero incalcolabili». Quali danni può chiedere l'Italia a Pechino, per la scorretta e intempestiva informazione circa il virus? «Diciamo innanzitutto che è difficile ma non impossibile impostare una causa civile contro la Cina. Pur rilevando le numerose difficoltà tecnico giuridiche, perché si tratta di uno Stato estero con diritto all'immunità dalla giurisdizione civile degli altri Stati quindi anche dell'Italia, c'è però la violazione della due diligence, delle regole di buon vicinato che hanno provocato danni enormi al nostro Paese e 30.000 morti. Occorrono dei limiti precisi all'immunità dalla giurisdizione ed il giudice nazionale può contribuire a ridefinire le regole del gioco. Almeno nel delicatissimo settore del diritto internazionale della salute umana, dove il Covid-19 ha mostrato l'assurdità e i rischi terribili degli eventi pandemici». I diritti umani come limite all'immunità? «È una tesi più nuova, in corso di evoluzione. Si potrebbe argomentare che il principio della sovranità intoccabile può essere limitato da una violazione grave e sistematica del diritto alla vita dei cittadini - un diritto umano fondamentale - come è accaduto in Italia per colpa del coronavirus. I privati possono chiedere a un giudice italiano una condanna risarcitoria della Cina perché si tratta di danni transnazionali. La Repubblica popolare cinese come origine del danno, non del virus». Quante probabilità di successo possono avere class action e altre azioni risarcitorie dei privati? «Vedo basse possibilità di vittoria, però dipende molto dal numero -quante più saranno, maggior forza si avrà- e dall'argomentazione che viene presentata. La questione dell'immunità da scalzare richiede raffinatissimi specialisti di diritto internazionale e molto dipenderà anche dall'atteggiamento dei giudici che seguiranno il processo nei vari gradi. Una causa contro la Cina è molto costosa e diventa anche lunga, considerati i tempi della nostra giustizia. Ci possono essere ricadute dal livello intergovernativo a quello nazionale, pensiamo ai risultati dell'inchiesta internazionale quando sarà avviata: se dovesse emergere che la Cina si è comportata correttamente o se fossero confermate le sue responsabilità, le azioni civili risulterebbero indebolite o rafforzate a seconda degli esiti». La Cina reagirà con pressioni economiche come già sta facendo? «Se le cause civili saranno in forte numero e in molti Stati, si difenderà con ogni mezzo ma sarà sempre più isolata. Potrà decidere di intraprendere la strada dei risarcimenti» Possiamo far causa anche all'Oms, davanti a un giudice italiano, e chiedere i danni? «È un capitolo nuovo che merita di essere esplorato. Un cittadino, un'azienda, un'associazione può pensare di citare in giudizio non la Cina ma l'Organizzazione mondiale della sanità che doveva informare l'Italia della pericolosità del virus, della pandemia, delle mascherine indispensabili fin da subito, di altre misure e linee d'azione tempestive che invece sono mancate o risultavano poco chiare. Anche i cinesi avrebbero tutto l'interesse di dire che è colpa dell'Oms. Conclusione ingiusta, ma giuridicamente ineccepibile: l'Oms ha proprio il compito di monitorare queste situazioni e dal 2005 è stata potenziata dopo le terribili epidemie della Sars. C'è un regolamento che prevede la comunicazione nell'arco di 24 ore. Le sue omissioni sono state pesanti».
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
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