2025-01-28
        Se non cacci i clandestini sei un bluff. Se lo fai diventi subito un criminale
    
 
Il paradosso della sinistra: prima accusava Giorgia Meloni di non fare espulsioni, ora teme che imiti Donald Trump. Quando Barack Obama e Joe Biden organizzavano rimpatri di milioni di persone, invece, nessuno faceva un fiato.Ieri, all’Aria che tira, Luigi Manconi sosteneva che l’operazione Albania serva semplicemente a nascondere i migranti, e che ciò che il governo italiano stia cercando di fare sia sottrarre gli stranieri alla vista degli italiani: «Quella che in psicologia si chiama rimozione». Il ragionamento articolato da uno dei maggiori difensori delle frontiere aperte sulla piazza, è sicuramente suggestivo. Ma, a dire il vero, chiunque circoli nelle città italiane, grandi e piccole, di immigrati in giro ne vede parecchi, e spesso i più visibili sono proprio quelli che passano le giornate a bivaccare o delinquere. Più interessante è la questione della rimozione, perché da queste parti in effetti se ne fa largo uso, ma soprattutto a sinistra.Lo sdegno che trasuda copioso dai media progressisti per i rimpatri messi in atto da Donald Trump è estremamente emblematico a tale riguardo. Coloro che si stracciano le vesti, gridano al razzismo e al nazismo e blaterano di «deportazioni» (dimostrando cattiva conoscenza dell’inglese e ancor più cattiva coscienza) hanno serenamente dimenticato quel che avveniva ai tempi di Barack Obama. Cioè del sincero democratico antirazzista e woke che i liberal ancora rimpiangono. L’allora inquilino della Casa Bianca - come riportava eloquentemente un titolo del New York Times che in queste ore ha ripreso a circolare in Rete - cacciò dal suolo statunitense per rimandarli in patria milioni di migranti irregolari. Non ci risulta tuttavia che Obama sia stato equiparato a Himmler o che i giornali italiani si siano spesi per invocarne la caduta o ancora che i vescovi, il Papa e altre autorità religiose abbiano alzato la voce per rimproverarlo. Omnia munda mundis: tutto è puro per i puri, ai buoni tutto è concesso. Tra i buoni c’era con tutta evidenza anche Joe Biden, responsabile della maggiore «deportazione» (per dirla come Repubblica) di irregolari dei tempi recenti. Citiamo quel che scrisse qualche mese fa Avvenire sul tema: «La più grande espulsione di migranti dagli Usa è già avvenuta, nell’ultimo anno, sotto la presidenza del democratico Joe Biden. Un rapporto dell’Immigration and Custom Enforcement rende noto che quello che sta per chiudersi è stato l’anno con il maggior numero di espulsioni nell’ultimo decennio: fra ottobre 2023 e settembre 2024, sono stati fatti uscire dal territorio statunitense 270.000 stranieri entrati illegalmente». Il quotidiano dei vescovi proseguiva con grande perizia: «A ben guardare, non è una novità. Secondo i dati riportati dal Migration Policy Institute, un think tank indipendente che si occupa di immigrazione citato dalla Cnn, era stato il democratico Barack Obama durante il suo primo mandato a mettere in atto espulsioni di massa: due milioni e 900.000 in quattro anni e poco meno di 1,9 milioni nel secondo quadriennio. Con Trump alla Casa Bianca, dal 20 gennaio 2017 alla stessa data del 2021, era stato fatto uscire dal territorio degli Stati Uniti un milione e mezzo di irregolari. Praticamente lo stesso numero degli espulsi da Biden (1,49 milioni) nei quattro anni della sua presidenza». Resoconto perfetto e puntualissimo. Peccato solo che sul giornale della Cei quelle che per Biden erano espulsioni siano diventate con Trump deportazioni. E che ora si susseguano editoriali indignati di cui anni fa non vi era traccia: chiamale, se vuoi, rimozioni. Vi è poi da osservare un altro curioso fenomeno di più ampia portata. Ricordiamo che quando il governo Meloni era fresco di insediamento, uno dei più pressanti rimproveri che gli venivano mossi riguardava proprio i rimpatri. I media progressisti e i politici ospiti nei talk show non lasciavano passare un giorno senza rinfacciare al governo di aver fallito nel rimandare a casa i clandestini. Citiamo a scopo esplicativo quel che scriveva nel 2023 l’Huffington Post: «In dieci anni l’Italia non è riuscita a rimpatriare neanche un migrante su cinque tentativi. I dati della fondazione Moressa smentiscono la narrazione di Meloni, secondo cui più Cpr e più detenzione aiutano a risolvere il problema profughi». Altrove i commenti erano sostanzialmente dello stesso tenore. Persino Nigrizia, rivista dei padri comboniani, definiva la politica dei rimpatri un «fallimento annunciato». Tutto ciò, a pensarci, è ben curioso: se un governo non espelle gli stranieri lo si accusa di essere fanfarone e incapace. È accaduto a Matteo Salvini, è successo di nuovo a Giorgia Meloni. Se lo stesso governo o un altro di eguale orientamento (che magari, come nel caso di Trump, non deve fare i conti con mille resistenze di giudici, tribunali, associazioni umanitarie e simili) procede rapido ai rimpatri, ecco che lo si accusa di connettere la peggiore delle nefandezze. Comunque vada, ti tirano le pietre. I governi di sinistra o di centro o comunque quelli che conviene blandire sono autorizzati a comportarsi come desiderano: i francesi hanno potuto respingere i migranti a calci, i tedeschi li rimpatriavano sedati e si accordavano con la Turchia per fare selezione all’ingresso, la Spagna sinistrorsa sparava e bastonava e gli Stati Uniti democratici rispedivano oltre confine milioni di persone. Ma i lamenti si levano soltanto per l’Albania e i rimpatri di Trump. Ritornando a quel che diceva Luigi Manconi, viene da sospettare che la rimozione sia esattamente ciò che le sinistre chiedono: vogliono che espulsioni e respingimenti - se proprio bisogna farli perché la situazione è al collasso - si facciano in silenzio, senza pubblicità e comunicati stampa. Così se falliscono poco male, se invece riescono si può comunque recitare la parte dei generosi che accolgono. Occhio non vede, buonista non duole.
        Container in arrivo al Port Jersey Container Terminal di New York (Getty Images)
    
        La maxi operazione nella favela di Rio de Janeiro. Nel riquadro, Gaetano Trivelli (Ansa)
    
        Nicolas Maduro e Hugo Chavez nel 2012. Maduro è stato ministro degli Esteri dal 2006 al 2013 (Ansa)
    
        Un disegno che ricostruisce i 16 mulini in serie del sito industriale di Barbegal, nel Sud della Francia (Getty Images)
    
Situato a circa 8 km a nord di Arelate (odierna Arles), il sito archeologico di Barbegal ha riportato alla luce una fabbrica per la macinazione del grano che, secondo gli studiosi, era in grado di servire una popolazione di circa 25.000 persone. Ma la vera meraviglia è la tecnica applicata allo stabilimento, dove le macine erano mosse da 16 mulini ad acqua in serie. Il sito di Barbegal, costruito si ritiene attorno al 2° secolo dC, si trova ai piedi di una collina rocciosa piuttosto ripida, con un gradiente del 30% circa. Le grandi ruote erano disposte all’esterno degli edifici di fabbrica centrali, 8 per lato. Erano alimentate da due acquedotti che convergevano in un canale la cui portata era regolata da chiuse che permettevano di controllare il flusso idraulico. 
Gli studi sui resti degli edifici, i cui muri perimetrali sono oggi ben visibili, hanno stabilito che l’impianto ha funzionato per almeno un secolo. La datazione è stata resa possibile dall’analisi dei resti delle ruote e dei canali di legno che portavano l’acqua alle pale. Anche questi ultimi erano stati perfettamente studiati, con la possibilità di regolarne l’inclinazione per ottimizzare la forza idraulica sulle ruote. La fabbrica era lunga 61 metri e larga 20, con una scala di passaggio tra un mulino e l’altro che la attraversava nel mezzo. Secondo le ipotesi a cui gli archeologi sono giunti studiando i resti dei mulini, il complesso di Barbegal avrebbe funzionato ciclicamente, con un’interruzione tra la fine dell’estate e l’autunno. Il fatto che questo periodo coincidesse con le partenze delle navi mercantili, ha fatto ritenere possibile che la produzione dei 16 mulini fosse dedicata alle derrate alimentari per i naviganti, che in quel periodo rifornivano le navi con scorte di pane a lunga conservazione per affrontare i lunghi mesi della navigazione commerciale.
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