2021-03-13
Ilva salva. Ma ora va riscritto il piano Arcuri
Il Consiglio di Stato sospende la sentenza del Tar che imponeva di spegnere gli altiforni. Prossima udienza il 13 maggio L'ingresso di Invitalia nell'acciaieria però resta nel limbo. Giancarlo Giorgetti: «La pronuncia dà il tempo al Mise di cercare la soluzione»Gli altiforni dell'ex Ilva di Taranto restano accesi, ma la soluzione della vicenda non sembra vicina. Ieri la quarta sezione del Consiglio di Stato ha accolto la richiesta di sospensiva presentata da Arcelormittal e Ilva in amministrazione straordinaria contro la chiusura dell'area a caldo dello stabilimento siderurgico tarantino, in attesa dell'udienza di merito del 13 maggio. In questo modo sono stati «congelati» gli effetti della sentenza del Tar di Lecce, che lo scorso 13 febbraio aveva imposto alle due società di procedere entro 60 giorni dalla notifica, cioè entro il 14 aprile, a fermare gli impianti. I giudici amministrativi leccesi avevano così confermato un'ordinanza emessa dal sindaco di Taranto, Rinaldo Melucci, esattamente un anno fa: il 27 febbraio 2020, il primo cittadino aveva infatti imposto un termine di 60 giorni per il «completamento delle operazioni di spegnimento dell'area a caldo» dell'acciaieria giustificando la decisione in base ai livelli di emissioni nocive.Per il Consiglio di Stato, invece, la sospensione dell'attività avrebbe creato «un danno grave e irreparabile», perché «non è stato adeguatamente smentito» il fatto «che lo spegnimento della cosiddetta “area a caldo" in tempi così brevi e senza seguire le necessarie procedure di fermata in sicurezza, avrebbe comportato con certezza gravissimi danni all'impianto, tali da determinare di fatto la cessazione definitiva dell'attività».Così l'ex Ilva, almeno per il momento, continuerà a operare: ma se è stato scongiurato lo stop nell'immediato, sul futuro del sito siderurgico tarantino restano le incognite. Il progetto che prevedeva l'ingresso dello Stato tramite Invitalia, sottoscritto lo scorso 10 dicembre, è infatti rimasto sostanzialmente inattuato: come ha già rivelato La Verità, i 400 milioni annunciati da Invitalia nell'accordo di dicembre per entrare nella società con il 50% non sono ancora stati bonificati, tanto che Arcelormittal ha deciso di mettere in mora il governo. L'accordo prevede a maggio del 2022 un'altra ricapitalizzazione, da 680 milioni di euro, che dovrebbe consegnare a Invitalia complessivamente il 60% della nuova società. Ma al momento è tutto fermo, perché il Conte bis non ha mai firmato il decreto legge, pronto e bollinato dalla Ragioneria generale dello Stato, che avrebbe dovuto formalizzare la joint venture con la società angloindiana; dapprima in attesa del via libera delle autorità europee e in seguito a causa della crisi che ha portato all'arrivo di Mario Draghi. Sta di fatto che la patata bollente è passata ora nelle mani del nuovo esecutivo, che si troverà quindi, con ogni probabilità, a dover riscrivere il piano per l'acciaio verde elaborato dall'ex commissario straordinario all'emergenza Covid, Domenico Arcuri, che per ora è rimasto al timone di Invitalia. Che si debba riprendere in mano il dossier è stato ventilato anche dal ministro per lo Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti, secondo cui «questa pronuncia dà comunque la possibilità e il tempo alla politica, e al Mise in particolare, di cercare la soluzione per gli operai, l'azienda e la produzione siderurgica italiana, che rappresenta un asset strategico oltre che un'eccellenza e va tutelata».Il tempo perso ha già creato danni, come ha sintetizzato il segretario generale dei metalmeccanici della Uil Rocco Palombella: «Non ci sono più alibi per l'azienda e per il governo. Dopo la decisione del Consiglio di Stato si deve dare seguito all'accordo del 10 dicembre con l'ingresso di Invitalia nel capitale societario di Arcelormittal. Non è più rinviabile la realizzazione di un progetto industriale che metta al centro la transizione ecologica, il risanamento ambientale e la piena salvaguardia occupazionale. Non possiamo attendere ulteriormente, il governo deve intervenire adesso per evitare una condizione irreversibile che farebbe diventare l'ex Ilva una polveriera sociale». Anche per la Fiom Cgil di Francesca Re David «occorre completare la transizione degli assetti societari con l'ingresso di Invitalia e la possibilità di utilizzare le risorse del coinvestimento. Inoltre, è necessario aprire immediatamente il confronto sul piano industriale e sul rapporto dello stesso con le scelte e le decisioni sul Recovery fund, per costruire da subito le condizioni per una produzione ambientalmente sostenibile dell'acciaio a Taranto e nell'insieme della siderurgia, attraverso un'accelerazione degli investimenti sulle migliori tecnologie disponibili e contemporaneamente con una ripresa degli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria degli impianti».
Rod Dreher (Getty Images)