Il rischio recessione in Italia esiste oppure no? A invitare alla cautela è stato il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, che dall’assemblea annuale dell’associazione a Cuneo ha ammonito: «La cosa che inizia un po' a stupirmi è la revisione dei numeri, perché nel silenzio più assoluto al 31 maggio di quest’anno l’Istat ha rivisto alcuni parametri con i quali si calcola il Pil. Effetto per cui il quarto trimestre del 2019 è stato rivisto e guarda caso al 31 marzo 2022 magicamente siamo ritornati ai livelli pre-Covid», ha osservato Bonomi. «Ecco, io su questa elaborazione dei numeri starei molto attento, perché non vorrei che qualcuno iniziasse a raccontarci che sta andando tutto bene». Bonomi ha aggiunto che «la situazione economica che stiamo vivendo è molto complicata, però non nasce oggi. Sembra che tutto sia dovuto al conflitto russo-ucraino, ma è da prima, è dall’autunno dell’anno scorso, che Confindustria diceva che dopo il rimbalzo successivo alla perdita del 9% del Pil nel 2020 avevamo già iniziato a rallentare».
E ora il quadro non è affatto roseo. «È innegabile: c’è una fascia di italiani che sta soffrendo a causa dell’inflazione, dei costi». In più, ha evidenziato Bonomi, «abbiamo 880 miliardi di debito pubblico in più in 11 anni ed è raddoppiato il numero dei poveri. Qual è stato il grande errore? La politica dei bonus: dagli 80 euro in poi, i partiti hanno fatto una politica molto chiara, decine e decine di bonus, per terme, rubinetti, famiglia, potrei andare avanti tutto il giorno. È una spesa pubblica inefficiente e che non è riuscita a contrastare la povertà. I nostri sforzi di ripresa», ha concluso Bonomi, «sono messi in discussione da una guerra alle nostre porte».
Parole bollate come esagerate dal ministro della Pubblica amministrazione, Renato Brunetta, secondo cui «il presidente dei catastrofisti è il presidente di Confindustria». Brunetta ha spiegato: «L’anno scorso il Pil ha chiuso al +6,6%, cifra mai vista in ultimi 10 anni, anche, ma non solo, figlia del rimbalzo post pandemia. Quest’anno, a fronte di alcune previsioni anche ingiustificate legate alla guerra e all’inflazione, Confindustria parlava di recessione tecnica in atto», mentre per il ministro, in base ai primi dati sul Pil del primo e del secondo trimestre, «c’è la grande probabilità che quest’anno si chiuda attorno al 3%. Naturalmente se non cade un asteroide».
Chi ha ragione? Di certo sono diversi gli indicatori che invitano alla cautela. Secondo l’Istat le famiglie italiane vedono la loro situazione economica in peggioramento: nel 2021 questa percezione ha riguardato il 30,5% dei nuclei, rispetto al 29,1% del 2020. Il lavoro in Italia è sempre più povero e precario: solo un contratto su cento ha una durata superiore a un anno mentre uno su tre arriva fino a un mese. Come è emerso dalle comunicazioni obbligatorie del ministero del Lavoro, nel primo trimestre del 2022 sono aumentati i contratti di pochi giorni mentre sono calati quelli di durata maggiore. E in base alla nota trimestrale sulle tendenze dell’occupazione pubblicata da Istat, ministero del Lavoro, Inps, Inail e Anpal, nel primo trimestre 2022 il 33,3% delle posizioni lavorative attivate prevedeva una durata fino a 30 giorni (il 9,2% un solo giorno), il 27,5% da due a sei mesi e soltanto l’1% superiore all’anno. Anche chi lavora rischia poi di non guadagnare abbastanza per vivere: come ha rilevato ieri lo stesso ministro, Andrea Orlando, «il 12-13% dei lavoratori è sotto la soglia di povertà». Sono solo alcuni segnali del fatto che, al di là dei numeri e dei sistemi di calcolo, in Italia c’è effettivamente qualche motivo di preoccuparsi.
All’improvviso l’illuminazione, il ministro lunare stavolta azzecca la previsione. «Da un certo punto di vista siamo già in recessione». L’ammissione è arrivata ieri dal ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, nel corso di un incontro con il premio Nobel Michael Spence al Festival internazionale dell’economia di Torino. Per il titolare del Mite le responsabilità sono da ricercarsi nel fatto che «una parte del mondo sta rallentando per quello che riguarda la transizione ecologica e dobbiamo anche considerare gli enormi investimenti che saranno necessari per ricostruire l’Ucraina. Ci saranno dunque conseguenze a lungo termine per questi eventi che sono successi negli ultimi mesi». Per cui, ha aggiunto Cingolani, «l’unica cosa che possiamo fare è imparare la lezione. Avremmo dovuto avere una visione più chiara, essere più intelligenti nel gestire il nostro mix energetico. È ora di cambiare e vorrei che fosse chiaro che per il futuro abbiamo bisogno di fonti energetiche verdi programmabili e questo non può essere fatto senza tecnologie, come ad esempio la cattura del carbonio, la fusione nucleare e piccoli reattori moderni». E ancora, per il ministro «è ora di investire in ricerca, sviluppo e tecnologia, altrimenti raggiungeremo il 2030 assolutamente inadatti a rispondere alle sfide».
Cingolani ha poi paragonato la situazione sul fronte energetico a quella che si è creata durante la pandemia: «Durante la crisi del Covid ci hanno detto che per sviluppare un vaccino ci volevano otto-dieci anni, ma abbiamo collaborato tutti e in otto mesi abbiamo sviluppato un vaccino. Per l’energia serve la stessa alleanza globale», ha osservato il ministro, «Ci sono voluti otto mesi per il vaccino anti Covid, otto anni per arrivare alla fusione nucleare per tutti. Questa sarebbe una sfida per tutto il pianeta per ridurre le ineguaglianze globali e raddrizzare il mercato, non dimentichiamo che l’energia è la materia prima più importante».
Ma la situazione critica sul fronte energetico non è certamente una notizia di questi giorni: la guerra in Ucraina non ha fatto altro che esacerbare una situazione già grave da mesi. A notarlo era stato lo stesso ministro Cingolani, che lo scorso settembre aveva individuato nella domanda di energia in crescita e soprattutto nella necessità di decarbonizzare l’economia alcune delle principali ragioni dell’aumento dei costi del gas e dell’elettricità, che è già in atto dall’autunno. In particolare, Cingolani aveva sottolineato che «le aziende che producono anidride carbonica (il principale gas serra), fra le quali quelle energetiche, nella Ue devono pagare per questo, comprando quote di emissioni nel sistema europeo Ets. Il prezzo di queste quote viene aumentato gradualmente, per spingere le aziende a decarbonizzare. Ma questo porta anche a un aumento dei costi di produzione, e quindi delle tariffe in bolletta». E i maggiori costi dell’energia significano seri problemi per le famiglie e soprattutto per le imprese: una transizione ecologica troppo rapida e spinta nel breve termine non può non portare a conseguenze gravissime per l’economia. Dal Mite, in estrema sintesi, mai una soluzione o una dritta.
Non si fermano le polemiche su Idpay, la piattaforma digitale per ricevere i bonus governativi che dovrebbe vedere la luce a breve, secondo quanto annunciato dal ministro per l’Innovazione tecnologica e la transizione digitale Vittorio Colao. Come già anticipato dalla Verità, a partire dal 2023 - ma forse anche prima - tutti i bonus previsti dalle normative verranno erogati tramite questa piattaforma, che consente appunto di avere «immediato accesso all’agevolazione al momento dell’acquisto di un bene o un servizio con strumenti di pagamento elettronici». Il ministro Colao ha precisato: «Stiamo pensando a una piattaforma per l’erogazione di tutti i benefici sociali, il cui nome provvisorio è Idpay e dove tutto avverrà direttamente in digitale, addirittura in pagamento anticipato» e si può partire «già da quest’anno».
In pratica, in un futuro neanche troppo lontano il cittadino si vedrà riconosciuti i bonus a cui ha diritto nel momento in cui effettua pagamenti con sistemi elettronici, utilizzando appunto la piattaforma tecnologica per l’interconnessione e l’interoperabilità tra le pubbliche amministrazioni e i prestatori di servizi di pagamento abilitati. Già per aprile potrebbe essere avviata la piattaforma dell’interoperabilità, sulla quale alcune grandi pubbliche amministrazioni come l’Agenzia delle Entrate, l’Anagrafe, il ministero dell’Interno e l’Inps potrebbero agganciare i propri dati. E questa ipotesi apre a scenari preoccupanti sul fronte della gestione dei dati sensibili: nell’eventualità in cui sulla piattaforma nazionale Idpay fosse disponibile anche il fascicolo sanitario di ogni cittadino, per esempio, in caso di emergenza sanitaria potrebbe essere prevista dalla stessa piattaforma la necessità di vaccinarsi contro un determinato virus, con un modello simile a quello di green pass e super green pass.
L’introduzione di una piattaforma di questo genere potrebbe preludere anche ad altri pericoli sul fronte della privacy: l’Agenzia delle entrate potrebbe avere la possibilità di tracciare con esattezza non solo le spese del singolo cittadino, ma anche gli incassi in tempo reale di ogni commerciante. La Sogei, l’azienda che già gestisce la piattaforma del green pass e che è stata incaricata di strutturare l’Idpay, potrebbe infatti richiedere il numero del conto corrente di ogni cittadino, necessario per ricevere i bonus.
Una serie di criticità che si aggiungono ai rilievi evidenziati dai senatori della Lega Alberto Bagnai e Andrea Ostellari, secondo cui la nuova piattaforma, oltre a essere «sinistramente assonante col sistema dei crediti sociali cinese, preoccupa per la deriva ideologica che la ispira». A impensierire i senatori leghisti è il problema della sicurezza delle infrastrutture digitali, a cui verranno affidati dati così sensibili, ma anche il fatto che l’introduzione di Idpay possa rappresentare il nuovo fronte della lotta al contante. Un aspetto che va nella direzione di un ritorno al sistema del cashback, presente nella riforma fiscale (nella forma del cashback fiscale, ovvero della possibilità di ricevere in automatico rimborsi e detrazioni) e molto caro al M5s: un emendamento alla delega fiscale prevede infatti che le detrazioni Irpef per le spese sociosanitarie possano essere incassate direttamente sul conto corrente tramite l’app Io, senza attendere la dichiarazione dei redditi dell’anno successivo. Ovviamente sempre a patto di pagare con strumenti elettronici.





