
Pure il progetto per usare i fondi Ue, grazie a Lucia Morselli, sembra archiviato. Oggi cda.L’ex Ilva riparte da zero. Salvo sorprese dell’ultimo minuto, un cda di Acciaierie d’Italia holding, previsto per oggi - ma potrebbe slittare a lunedì - dovrebbe ufficializzare l’uscita di Franco Bernabè dal consiglio. L’uscita del manager arriva dopo mesi di tensioni e almeno due piani elaborati e smontati per cercare di dare un futuro alla principale acciaieria italiana. Nonché asset strategico dal quale dipende l’approvvigionamento di una buona fetta del settore manifatturiero nazionale. Il primo, elaborato con il contributo della struttura del ministero delle imprese guidato da Adolfo Urso, prevedeva una deroga all’accordo d’investimento tra Invitalia e ArcelorMittal per permettere l’ingresso di soci industriali e non solo finanziari. Individuati nella Danieli e nella ucraina MetInvest. Con l’obiettivo di trovare un’alternativa agli indiani di Arcelor. Il tandem è lo stesso che adesso è tornato d’attualità per subentrare agli indiani di Jindal nella ex Lucchini. Ma quella di Ilva è una partita molto più complessa di Piombino. C’è da gestire la decarbonizzazione e i miliardi di euro di fondi europei.Da qui parte però uno scontro tutto interno al governo Meloni, con l’iniziativa che passa dal Mimit a Palazzo Chigi e al ministro del Mezzogiorno e delle politiche europee, Raffaele Fitto. Il cui impegno è quello di far arrivare i fondi europei, a costo di dover andare avanti con Arcelor e i suoi manager, in primis l’ad Lucia Morselli sempre più ai ferri corti con Bernabè, con i fornitori, con i sindacati, con il sistema bancario che non concede più credito. In Acciaierie d'Italia Holding, va ricordato, convivono malamente il socio pubblico Invitalia e quello privato ArcelorMittal. Peccato originale forse di questa coabitazione, dato che la società operativa, quella che gestisce gli impianti ex Ilva, è al piano di sotto. E lì, in Acciaierie d’Italia spa, i manager nominati da ArcelorMittal hanno mano libera. Un modello che già all’epoca dell’accordo, durante il governo Conte II, aveva sollevato qualche perplessità. Dato che al socio pubblico veniva chiesto di mettere soldi senza un controllo diretto sull’andamento operativo della società. Da qui le tensioni che hanno covato sottotraccia per mesi. A settembre si arriva però al memorandum «segreto», reso noto al cda di Acciaierie solo lo scorso 16 ottobre. Il ministro Fitto s’impegna a far arrivare i fondi di RePower Eu. Acciaierie, nella persona di Lucia Morselli, si impegna a utilizzarli. Ma qualche giorno dopo la firma del memorandum è Bernabè a sbottare pubblicamente: senza garanzie precise di un cambio di rotta, annuncia il 23 settembre, il suo mandato è a disposizione del governo. Il contesto verrà chiarito meglio qualche giorno dopo in Parlamento dallo stesso Bernabè: non ci sono soldi, la società brucia cassa, le banche non fanno credito, la fornitura di gas durerà per poco. La corrispondenza tra Invitalia e la Morselli, avviata in primavera dopo l’assemblea, diventa sempre più cruda. L’ultimo passaggio è stato svelato martedì scorso da La Verità: quattro pagine firmate dall’ad di Invitalia Bernardo Mattarella per dire che il mancato rispetto degli accordi, reiterato, avrà delle conseguenze. È la pietra tombale sul memorandum «segreto» che segreto non è più. Accantonato l’ingresso dei soci industriali, sepolta la possibilità di andare avanti con Arcelor come nulla fosse, Bernabè lascia e il futuro di Ilva diventa sempre più oscuro. Intanto, a inizio ottobre Acciaierie non ha pagato la rata del piano di rientro firmato nel luglio del 2022 con Eni e garantito da Arcelor e Invitalia. Eni aspetta ancora poco meno di 100 milioni degli oltre 300 iniziali. Il mancato pagamento, avvisa Invitalia, rischia di compromettere la continuità aziendale e l’apertura formale di una nuova crisi per Taranto. Ma la cassa è vuota, dice Morselli al colosso dell’energia. La colpa? Delle «tensioni finanziarie» iniziate guarda caso il 23 settembre, giorno dell’allarme di Bernabè e causate dagli «allarmanti articoli di stampa».
Francobollo sovietico commemorativo delle missioni Mars del 1971 (Getty Images)
Nel 1971 la sonda sovietica fu il primo oggetto terrestre a toccare il suolo di Marte. Voleva essere la risposta alla conquista americana della Luna, ma si guastò dopo soli 20 secondi. Riuscì tuttavia ad inviare la prima immagine del suolo marziano, anche se buia e sfocata.
Dopo il 20 luglio 1969 gli americani furono considerati universalmente come i vincitori della corsa allo spazio, quella «space race» che portò l’Uomo sulla Luna e che fu uno dei «fronti» principali della Guerra fredda. I sovietici, consapevoli del vantaggio della Nasa sulle missioni lunari, pianificarono un programma segreto che avrebbe dovuto superare la conquista del satellite terrestre.
Mosca pareva in vantaggio alla fine degli anni Cinquanta, quando lo «Sputnik» portò per la prima volta l’astronauta sovietico Yuri Gagarin in orbita. Nel decennio successivo, tuttavia, le missioni «Apollo» evidenziarono il sorpasso di Washington su Mosca, al quale i sovietici risposero con un programma all’epoca tecnologicamente difficilissimo se non impossibile: la conquista del «pianeta rosso».
Il programma iniziò nel 1960, vale a dire un anno prima del lancio del progetto «Gemini» da parte della Nasa, che sarebbe poi evoluto nelle missioni Apollo. Dalla base di Baikonur in Kazakhistan partiranno tutte le sonde dirette verso Marte, per un totale di 9 lanci dal 1960 al 1973. I primi tentativi furono del tutto fallimentari. Le sonde della prima generazione «Marshnik» non raggiunsero mai l’orbita terrestre, esplodendo poco dopo il lancio. La prima a raggiungere l’orbita fu la Mars 1 lanciata nel 1962, che perse i contatti con la base terrestre in Crimea quando aveva percorso oltre 100 milioni di chilometri, inviando preziosi dati sull’atmosfera interplanetaria. Nel 1963 sorvolò Marte per poi perdersi in un’orbita eliocentrica. Fino al 1969 i lanci successivi furono caratterizzati dall’insuccesso, causato principalmente da lanci errati e esplosioni in volo. Nel 1971 la sonda Mars 2 fu la prima sonda terrestre a raggiungere la superficie del pianeta rosso, anche se si schiantò in fase di atterraggio. Il primo successo (ancorché parziale) fu raggiunto da Mars 3, lanciato il 28 maggio 1971 da Baikonur. La sonda era costituita da un orbiter (che avrebbe compiuto orbitazioni attorno a Marte) e da un Lander, modulo che avrebbe dovuto compiere l’atterraggio sulla superficie del pianeta liberando il Rover Prop-M che avrebbe dovuto esplorare il terreno e l’atmosfera marziani. Il viaggio durò circa sei mesi, durante i quali Mars 3 inviò in Urss preziosi dati. Atterrò su Marte senza danni il 2 dicembre 1971. Il successo tuttavia fu vanificato dalla brusca interruzione delle trasmissioni con la terra dopo soli 20 secondi a causa, secondo le ipotesi più accreditate, dell’effetto di una violenta tempesta marziana che danneggiò l’equipaggiamento di bordo. Solo un’immagine buia e sfocata fu tutto quello che i sovietici ebbero dall’attività di Mars 3. L’orbiter invece proseguì la sua missione continuando l’invio di dati e immagini, dalle quali fu possibile identificare la superficie montagnosa del pianeta e la composizione della sua atmosfera, fino al 22 agosto 1972.
Sui giornali occidentali furono riportate poche notizie, imprecise e incomplete a causa della difficoltà di reperire notizie oltre la Cortina di ferro così la certezza dell’atterraggio di Mars 3 arrivò solamente dopo il crollo dell’Unione Sovietica nel 1991. Gli americani ripresero le redini del successo anche su Marte, e nel 1976 la sonda Viking atterrò sul pianeta rosso. L’Urss abbandonò invece le missioni Mars nel 1973 a causa degli elevatissimi costi e della scarsa influenza sull’opinione pubblica, avviandosi verso la lunga e sanguinosa guerra in Afghanistan alla fine del decennio.
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Il presidente torna dal giro in Francia, Grecia e Spagna con altri missili, caccia, radar, fondi energetici. Festeggiano i produttori di armi e gli Stati: dopo gli Usa, la Francia è la seconda nazione per export globale.
Il recente tour diplomatico di Volodymyr Zelensky tra Atene, Parigi e Madrid ha mostrato, più che mai, come il sostegno all’Ucraina sia divenuto anche una vetrina privilegiata per l’industria bellica europea. Missili antiaerei, caccia di nuova generazione, radar modernizzati, fondi energetici e contratti pluriennali: ciò che appare come normale cooperazione militare è in realtà la struttura portante di un enorme mercato che non conosce pause. La Grecia garantirà oltre mezzo miliardo di euro in forniture e gas, definendosi «hub energetico» della regione. La Francia consegnerà 100 Rafale F4, sistemi Samp-T e nuove armi guidate, con un ulteriore pacchetto entro fine anno. La Spagna aggiungerà circa 500 milioni tra programmi Purl e Safe, includendo missili Iris-T e aiuti emergenziali. Una catena di accordi che rivela l’intreccio sempre più solido tra geopolitica e fatturati industriali. Secondo il SIPRI, le importazioni europee di sistemi militari pesanti sono aumentate del 155% tra il 2015-19 e il 2020-24.
Imagoeconomica
Altoforno 1 sequestrato dopo un rogo frutto però di valutazioni inesatte, non di carenze all’impianto. Intanto 4.550 operai in Cig.
La crisi dell’ex Ilva di Taranto dilaga nelle piazze e fra i palazzi della politica, con i sindacati in mobilitazione. Tutto nasce dalla chiusura dovuta al sequestro probatorio dell’altoforno 1 del sito pugliese dopo un incendio scoppiato il 7 maggio. Mesi e mesi di stop produttivo che hanno costretto Acciaierie d’Italia, d’accordo con il governo, a portare da 3.000 a 4.450 i lavoratori in cassa integrazione, dato che l’altoforno 2 è in manutenzione in vista di una futura produzione di acciaio green, e a produrre è rimasto solamente l’altoforno 4. In oltre sei mesi non sono stati prodotti 1,5 milioni di tonnellate di acciaio. Una botta per l’ex Ilva ma in generale per la siderurgia italiana.
2025-11-20
Mondiali 2026, il cammino dell'Italia: Irlanda del Nord in semifinale e Galles o Bosnia in finale
True
Getty Images
Gli azzurri affronteranno in casa l’Irlanda del Nord nella semifinale playoff del 26 marzo, con eventuale finale in trasferta contro Galles o Bosnia. A Zurigo definiti percorso e accoppiamenti per gli spareggi che assegnano gli ultimi posti al Mondiale 2026.





