
La società aveva segnalato che la procedura per lo stop all’impianto era rischiosa.Regna la confusione attorno all’incendio che il 7 maggio scorso ha colpito l’Altoforno 1 dell’ex Ilva di Taranto. La Procura locale, all’indomani del grave incidente, ha effettuato il sequestro dell’impianto. Alle ore 5 e 45 del mattino viene inviata una dichiarazione del Capo Area Altoforni che spiega come «Il forno è stato fermato senza una adeguata preparazione della carica (mix dei materiali introdotti), tale da permettere un riavvio dello stesso dopo la fermata. Se la stessa fermata dovesse superare un periodo temporale di alcuni giorni, tale da determinare un raffreddamento significativo dei fusi presenti nel crogiolo, il riavvio potrebbe risultare estremamente difficoltoso, se non addirittura impossibile». Dopo circa 31 ore dall’applicazione dei sigilli, viene notificato il provvedimento di convalida del sequestro probatorio emesso dalla Procura di Taranto. Dal provvedimento di convalida, Acciaierie d’Italia apprende che nessuna delle istanze della società (compreso il colaggio dei fusi) era stata presa in considerazione: le richieste formulate in sede di applicazione del sequestro da parte della Polizia giudiziaria, il giorno antecedente alle ore 5 e 45, semplicemente non erano state trattate dalla Procura. A quel punto parte una seconda istanza da parte di AdI alla quale viene allegata nuovamente anche la prima, e indicato un termine utile residuo di 48 ore per effettuare gli interventi richiesti.Secondo quanto scritto nel primo verbale, che La Verità ha potuto visionare, emerge chiaramente che, fin dalle 5 e 45 del 8 maggio Adi ha manifestato agli inquirenti l’importanza di intervenire tempestivamente con l’attività di colaggio dei fusi, operazione essenziale per evitare danni strutturali. La Procura tuttavia ha dato il via libera dopo oltre 50 ore, nelle prime ore del pomeriggio di sabato 10 maggio ma solamente a una parte delle attività (intervento salvaguardia dei cowpers esterni all’Altoforno) e non alla colata dei fusi. Il ritardo con cui è stata autorizzata la messa in sicurezza dell’altoforno 1 dello stabilimento di Taranto di Acciaierie d’Italia «potrebbe aver compromesso la possibilità di rispettare il cronoprogramma industriale, ripercuotendosi negativamente sui numeri della cassa integrazione» fa sapere la stessa azienda, tuttavia la Procura ha dichiarato di non aver ricevuto la richiesta di intervento per la colata dei fusi. In un comunicato stampa del 13 maggio 2025, ha riferito che la richiesta di autorizzazione al colaggio dei fusi «non risultava essere stata avanzata in nessuna delle due menzionate istanze».Alle 14 del 10 maggio sul tema interveniva il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso: «Se il provvedimento inibirà anche la manutenzione degli impianti, che deve essere effettuata nelle prossime ore, compromettendo per sempre il ripristino dell’altoforno, potete immaginare quali possono essere le conseguenze. Aspettiamo, ovviamente nel rispetto dell’equilibrio dei poteri, le decisioni dei magistrati». Nelle prime ore del pomeriggio la Procura di Taranto trasmette ad Adi un provvedimento di parziale accoglimento. Non basta, mancano le autorizzazioni per le attività di colaggio dei fusi perché secondo il parere tecnico reso da Arpa Puglia, sarebbero funzionali alla ripresa dell’esercizio e non come evidenziato da Adi, ad evitare che il loro raffreddamento danneggiasse l’impianto in maniera irreversibile. Attualmente questa richiesta non risulta essere stata autorizzata e Acciaierie d’Italia, ha chiarito: «Oggi, dopo oltre 120 ore dall’evento, non è più possibile procedere con il colaggio dei fusi, con la conseguenza che, in caso di riavvio, si dovranno adottare procedure straordinarie, complesse e con esiti assolutamente incerti. Le richieste, presentate in condizioni di estrema urgenza, erano mirate a tutelare l’integrità dell’impianto e non finalizzate alla ripresa della produzione. Nonostante ciò, solo alcune attività sono state autorizzate con un successivo provvedimento del 10 maggio». «Se la Procura avesse mentito», si chiede il senatore di Fdi Matteo Gelmetti, «chi risponderà per i danni?».
Emmanuel Macron (Ansa)
Per Fabien Mandon, capo di Stato maggiore dell’Aeronautica, il Paese vacilla contro Mosca perché non è pronto a far morire i suoi giovani. Intanto, il governo pubblica un opuscolo su come sopravvivere a un attacco.
L’ipotesi dello scoppio di un conflitto capace di coinvolgere la Francia continua a tenere banco al di là delle Alpi. Ieri, il governo guidato da Sébastien Lecornu ha pubblicato online un opuscolo volto a spiegare ai francesi come diventare «resilienti» in caso di guerra o catastrofe naturale. Due giorni fa invece, un generale ha fatto saltare sulla sedia mezzo Paese affermando che la Francia deve essere pronta ad «accettare di perdere i propri figli». Lunedì invece, il presidente francese Emmanuel Macron e il suo omologo ucraino Volodymyr Zelensky avevano firmato una «dichiarazione d’intenzione» per la vendita a Kiev di 100 caccia transalpini Rafale, nell’arco di un decennio.
Alessandro Zan (Ansa)
Si salda la maggioranza che aveva già affossato la legge green anti imprese. Ribaltati i rapporti di forza: sì ai controlli in Spagna.
Un tentativo di imboscata non riuscito. Popolari, conservatori, patrioti e sovranisti si sono fatti trovare pronti e, costituendo una maggioranza in seno alla Conferenza dei capigruppo dell’Eurocamera, hanno deciso di non autorizzare due missioni di eurodeputati in Italia proposte dal gruppo di monitoraggio sullo Stato di diritto della commissione Libertà civili del Parlamento europeo. La prima sarebbe stata della commissione Libertà civili, la seconda della commissione Occupazione e Affari sociali. Missioni che avrebbero dovuto essere calendarizzate prima della fine dell’anno ed erano state fissate intorno all’inizio di giugno. Tra i membri della Commissione Libe ci sono tre italiani: Alessandro Zan del Pd per i socialisti, Gaetano Pedullà del Movimento 5 stelle per Left e Nicola Procaccini di Fratelli d’Italia per Ecr.
(Totaleu)
Lo ha detto il vicepremier e ministro degli Esteri a margine del consiglio Affari esteri in corso a Bruxelles.
Donald Trump (Ansa)
La proposta Usa non piace a Volodymyr Zelensky, azzoppato però dal caos corruzione. Marco Rubio: «Tutti devono accettare concessioni difficili».
Donald Trump tira dritto con il suo nuovo tentativo di porre fine alla guerra in Ucraina. Un funzionario americano ha riferito a Nbc News che l’inquilino della Casa Bianca avrebbe dato la sua approvazione al piano di pace in 28 punti, elaborato nell’ultimo mese principalmente da Steve Witkoff in consultazione sia con l’inviato del Cremlino, Kirill Dmitriev, sia con il governo ucraino. La medesima fonte ha rivelato che nella stesura del progetto sarebbero stati coinvolti anche il vicepresidente americano, JD Vance, il segretario di Stato, Marco Rubio, e il genero dello stesso Trump, Jared Kushner.






