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2019-10-07
Il voto in Kosovo è un terremoto che piace a Putin
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Ansa
La crisi di governo provocata dalle dimissioni a luglio scorso del primo ministro Ramush Haridinaj, a causa della sua convocazione davanti al tribunale speciale per crimini di guerra dell'Aia, rischia di ridisegnare in maniera profonda anche le basi di convivenza della regione balcanica. Con il 25,76% dei voti il vincitore relativo di questa tornata elettorale, che ha visto recarsi alle urne solamente il 44% degli aventi diritto, è il movimento anarchico comunista Autodeterminazione, avente molti punti in comune con i nostrani grillini, guidato da Albin Kurti. Autodeterminazione, un partito mai prima al potere, fonda il proprio programma sulla lotta alla corruzione, su un approccio autarchico in economia basato sulla rinazionalizzazione, sulla necessità di una maggiore sovranità nazionale e, soprattutto, ritiene dannosi gli investimenti esteri ovvero l'unica linfa vitale del Paese in questo momento storico. Al secondo posto con il 25.05% dei voti si è classificato il partito conservatore Lega Democratica per il Kosovo (Ldk) fondato trent'anni fa dal padre della Patria Ibrahim Rugova mentre con il 21,15% il partito Pdk del presidente della Repubblica Hashim Thaci, che da più di dieci anni guida il Paese e ne rappresentava il centro di potere indiscusso, è il vero sconfitto di questa tornata. A causa di una sentenza del tribunale costituzionale kosovaro del 2014 il vincitore relativo deve avere la possibilità di formare un governo. Inoltre per non facilitare le cose alla comunità internazionale, ammettendo la sconfitta, il Pdk ha immediatamente chiarito di voler andare all'opposizione e quindi di non essere disposto a giocare il ruolo della zattera di salvataggio che favorisca in un eventuale secondo giro di consultazioni la formazione di una coalizione maggiormente istituzionale ed internazionalmente accettabile.
La stabilità del Kosovo, per quanto possibile, è ora ancora più volatile di prima. I due vincitori avranno la maggioranza dei 120 seggi al Parlamento ma faticheranno non poco a trovare un comun minimo denominatore che permetta loro di guidare un Paese in maniera coerente.
I risultati delle elezioni in Kosovo sono sotto l'attenzione di tutte le grandi potenze in quanto la formazione del futuro governo inciderà profondamente non solo sulla politica interna del Paese ma soprattutto sui bilanciamenti di potere geopolitici regionali. La Russia di Putin attende di sapere quale posizione prendere nel suo storico, sempre più apparente che reale, sostegno alla Serbia sulla questione kosovara mentre Donald Trump ha mostrato tutto l'interesse degli Stati Uniti nella questione nominando a pochi giorni dalle elezioni un inviato speciale per il dialogo tra Serbia e Kosovo, Richard Grennel, che si affianca al nuovo inviato speciale per i Balcani Occidentali Matthew Palmer nominato dalla Casa Bianca a fine agosto. Dopo gli anni di relativo interesse per i Balcani da parte dell'amministrazione di Barack Obama che hanno portato all'innalzamento della tensione intraregionale gli Usa tornano prepotentemente sulla scena anche a causa della fallimentare gestione del dialogo tra Belgrado e Pristina da parte dell'Alta rappresentante per la politica estera e la sicurezza dell'Unione europea Federica Mogherini la cui incapacità, secondo le parole dell'ex premier kosovaro Haridinaj, ha provocato danni immensi per la futura stabilità della regione. Se la nomina di Matthwe Palmer, sposato con una signora serba, doveva essere un messaggio di cortesia diplomatica a favore di Belgrado, quella di Grennel è un messaggio tutt'altro che velato nei confronti della Germania e dell'Unione europea. Si tratta di un siluro diplomatico. Grennel è l'attuale ambasciatore Usa a Berlino e nella sua nuova veste d'inviato speciale, caso unico nella storia della diplomazia, non rimetterà l'incarico principale. Più di dodici mesi fa il presidente serbo Aleksander Vučić e quello kosovaro Hashim Thaci avevano segretamente raggiunto, con il beneplacito di Washington, un accordo sul reciproco riconoscimento basato su uno scambio territoriale. Questo è stato fermato dalle minacce di estromissione dalla prospettiva europea emesse in camera caritatis da Angela Merkel a Vučić che in seguito hanno permesso ad Haridinaj, nel contesto della sua lotta interna contro Thaci, di alzare a dismisura i dazi nei confronti delle merci serbe e provocare il congelamento del dialogo. La Casa Bianca si è legata al dito lo sgambetto tedesco e ora per risolvere la questione ha ingaggiato l'unica persona che a Berlino, grazie alla potentissima struttura a disposizione, può avere accesso a tutti gli scenari tedeschi in tempo reale, nonché comunicare direttamente con la Cancelleria senza inutili mediazioni. Donald Trump intende chiudere la faccenda. Putin ringrazia. A Mosca, infatti, non vedono l'ora che la problematica del Kosovo trovi una sistemazione in modo da potersi liberare dalla farsa del sostegno a Belgrado e utilizzare il precedente dello scambio territoriale a proprio favore in altri luoghi della Terra.
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Le elezioni politiche di domenica in Kosovo possono definirsi senza mezzi termini un vero e proprio terremoto. Convocato per la quinta volta alle urne dalla dichiarazione dell'indipendenza del 2008, il popolo kosovaro ha chiarito alla propria classe dirigente di voler voltare pagina e di non sostenere più un apparato basato principalmente sulla corruzione sistemica, che per altro tanto spesso ha danneggiato anche gli investimenti italiani.La crisi di governo provocata dalle dimissioni a luglio scorso del primo ministro Ramush Haridinaj, a causa della sua convocazione davanti al tribunale speciale per crimini di guerra dell'Aia, rischia di ridisegnare in maniera profonda anche le basi di convivenza della regione balcanica. Con il 25,76% dei voti il vincitore relativo di questa tornata elettorale, che ha visto recarsi alle urne solamente il 44% degli aventi diritto, è il movimento anarchico comunista Autodeterminazione, avente molti punti in comune con i nostrani grillini, guidato da Albin Kurti. Autodeterminazione, un partito mai prima al potere, fonda il proprio programma sulla lotta alla corruzione, su un approccio autarchico in economia basato sulla rinazionalizzazione, sulla necessità di una maggiore sovranità nazionale e, soprattutto, ritiene dannosi gli investimenti esteri ovvero l'unica linfa vitale del Paese in questo momento storico. Al secondo posto con il 25.05% dei voti si è classificato il partito conservatore Lega Democratica per il Kosovo (Ldk) fondato trent'anni fa dal padre della Patria Ibrahim Rugova mentre con il 21,15% il partito Pdk del presidente della Repubblica Hashim Thaci, che da più di dieci anni guida il Paese e ne rappresentava il centro di potere indiscusso, è il vero sconfitto di questa tornata. A causa di una sentenza del tribunale costituzionale kosovaro del 2014 il vincitore relativo deve avere la possibilità di formare un governo. Inoltre per non facilitare le cose alla comunità internazionale, ammettendo la sconfitta, il Pdk ha immediatamente chiarito di voler andare all'opposizione e quindi di non essere disposto a giocare il ruolo della zattera di salvataggio che favorisca in un eventuale secondo giro di consultazioni la formazione di una coalizione maggiormente istituzionale ed internazionalmente accettabile.La stabilità del Kosovo, per quanto possibile, è ora ancora più volatile di prima. I due vincitori avranno la maggioranza dei 120 seggi al Parlamento ma faticheranno non poco a trovare un comun minimo denominatore che permetta loro di guidare un Paese in maniera coerente. I risultati delle elezioni in Kosovo sono sotto l'attenzione di tutte le grandi potenze in quanto la formazione del futuro governo inciderà profondamente non solo sulla politica interna del Paese ma soprattutto sui bilanciamenti di potere geopolitici regionali. La Russia di Putin attende di sapere quale posizione prendere nel suo storico, sempre più apparente che reale, sostegno alla Serbia sulla questione kosovara mentre Donald Trump ha mostrato tutto l'interesse degli Stati Uniti nella questione nominando a pochi giorni dalle elezioni un inviato speciale per il dialogo tra Serbia e Kosovo, Richard Grennel, che si affianca al nuovo inviato speciale per i Balcani Occidentali Matthew Palmer nominato dalla Casa Bianca a fine agosto. Dopo gli anni di relativo interesse per i Balcani da parte dell'amministrazione di Barack Obama che hanno portato all'innalzamento della tensione intraregionale gli Usa tornano prepotentemente sulla scena anche a causa della fallimentare gestione del dialogo tra Belgrado e Pristina da parte dell'Alta rappresentante per la politica estera e la sicurezza dell'Unione europea Federica Mogherini la cui incapacità, secondo le parole dell'ex premier kosovaro Haridinaj, ha provocato danni immensi per la futura stabilità della regione. Se la nomina di Matthwe Palmer, sposato con una signora serba, doveva essere un messaggio di cortesia diplomatica a favore di Belgrado, quella di Grennel è un messaggio tutt'altro che velato nei confronti della Germania e dell'Unione europea. Si tratta di un siluro diplomatico. Grennel è l'attuale ambasciatore Usa a Berlino e nella sua nuova veste d'inviato speciale, caso unico nella storia della diplomazia, non rimetterà l'incarico principale. Più di dodici mesi fa il presidente serbo Aleksander Vučić e quello kosovaro Hashim Thaci avevano segretamente raggiunto, con il beneplacito di Washington, un accordo sul reciproco riconoscimento basato su uno scambio territoriale. Questo è stato fermato dalle minacce di estromissione dalla prospettiva europea emesse in camera caritatis da Angela Merkel a Vučić che in seguito hanno permesso ad Haridinaj, nel contesto della sua lotta interna contro Thaci, di alzare a dismisura i dazi nei confronti delle merci serbe e provocare il congelamento del dialogo. La Casa Bianca si è legata al dito lo sgambetto tedesco e ora per risolvere la questione ha ingaggiato l'unica persona che a Berlino, grazie alla potentissima struttura a disposizione, può avere accesso a tutti gli scenari tedeschi in tempo reale, nonché comunicare direttamente con la Cancelleria senza inutili mediazioni. Donald Trump intende chiudere la faccenda. Putin ringrazia. A Mosca, infatti, non vedono l'ora che la problematica del Kosovo trovi una sistemazione in modo da potersi liberare dalla farsa del sostegno a Belgrado e utilizzare il precedente dello scambio territoriale a proprio favore in altri luoghi della Terra.
La risposta alla scoppiettante Atreju è stata una grigia assemblea piddina
Il tema di quest’anno, Angeli e Demoni, ha guidato il percorso visivo e narrativo dell’evento. Il manifesto ufficiale, firmato dal torinese Antonio Lapone, omaggia la Torino magica ed esoterica e il fumetto franco-belga. Nel visual, una cosplayer attraversa il confine tra luce e oscurità, tra bene e male, tra simboli antichi e cultura pop moderna, sfogliando un fumetto da cui si sprigiona luce bianca: un ponte tra tradizione e innovazione, tra arte e narrazione.
Fumettisti e illustratori sono stati il cuore pulsante dell’Oval: oltre 40 autori, tra cui il cinese Liang Azha e Lorenzo Pastrovicchio della scuderia Disney, hanno accolto il pubblico tra sketch e disegni personalizzati, conferenze e presentazioni. Primo Nero, fenomeno virale del web con oltre 400.000 follower, ha presentato il suo debutto editoriale con L’Inkredibile Primo Nero Show, mentre Sbam! e altre case editrici hanno ospitato esposizioni, reading e performance di autori come Giorgio Sommacal, Claudio Taurisano e Vince Ricotta, che ha anche suonato dal vivo.
Il cosplay ha confermato la sua centralità: più di 120 partecipanti si sono sfidati nella tappa italiana del Nordic Cosplay Championship, con Carlo Visintini vincitore e qualificato per la finale in Svezia. Parallelamente, il propmaking ha permesso di scoprire il lavoro artigianale dietro armi, elmi e oggetti scenici, rivelando la complessità della costruzione dei personaggi.
La musica ha attraversato generazioni e stili. La Battle of the Bands ha offerto uno spazio alle band emergenti, mentre le icone delle sigle tv, Giorgio Vanni e Cristina D’Avena, hanno trasformato l’Oval in un grande palco popolare, richiamando migliaia di fan. Non è mancato il K-pop, con workshop, esibizioni e karaoke coreano, che ha coinvolto i più giovani in una dimensione interattiva e partecipativa. La manifestazione ha integrato anche dimensioni educative e culturali. Il Dipartimento di Matematica dell’Università di Torino ha esplorato il ruolo della matematica nei fumetti, mostrando come concetti scientifici possano dialogare con la narrazione visiva. Lo chef Carlo Mele, alias Ojisan, ha illustrato la relazione tra cibo e animazione giapponese, trasformando piatti iconici degli anime in esperienze reali. Il pubblico ha potuto immergersi nella magia del Villaggio di Natale, quest’anno allestito nella Casa del Grinch, tra laboratori creativi, truccabimbi e la Christmas Elf Dance, mentre l’area games e l’area videogames hanno offerto tornei, postazioni libere e spazi dedicati a giochi indipendenti, modellismo e miniature, garantendo una partecipazione attiva e immersiva a tutte le età.
Con 28.000 visitatori in due giorni, Xmas Comics & Games conferma la propria crescita come festival della cultura pop, capace di unire creatività, spettacolo e narrazione, senza dimenticare la componente sociale e educativa. Tra fumetti, cosplay, musica e gioco, Torino è diventata il punto d’incontro per chi vuole vivere in prima persona il racconto pop contemporaneo, dove ogni linguaggio si intreccia e dialoga con gli altri, trasformando la fiera in una grande esperienza culturale condivisa.
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i,Hamza Abdi Barre (Getty Images)
La Somalia è intrappolata in una spirale di instabilità sempre più profonda: un’insurrezione jihadista in crescita, un apparato di sicurezza inefficiente, una leadership politica divisa e la competizione tra potenze vicine che alimenta rivalità interne. Il controllo effettivo del governo federale si riduce ormai alla capitale e a poche località satelliti, una sorta di isola amministrativa circondata da gruppi armati e clan in competizione. L’esercito nazionale, logorato, frammentato e privo di una catena di comando solida, non è in grado di garantire la sicurezza nemmeno sulle principali rotte commerciali che costeggiano il Paese. In queste condizioni, il collasso dell’autorità centrale e la caduta di Mogadiscio nelle mani di gruppi ostili rappresentano scenari sempre meno remoti, con ripercussioni dirette sulla navigazione internazionale e sulla sicurezza regionale.
La pirateria somala, un tempo contenuta da pattugliamenti congiunti e operazioni navali multilaterali, è oggi alimentata anche dal radicamento di milizie jihadiste che controllano vaste aree dell’entroterra. Questi gruppi, dopo anni di scontri contro il governo federale e di brevi avanzate respinte con l’aiuto delle forze speciali straniere, hanno recuperato terreno e consolidato le proprie basi logistiche proprio lungo i corridoi costieri. Da qui hanno intensificato sequestri, assalti e sabotaggi, colpendo infrastrutture critiche e perfino centri governativi di intelligence. L’attacco del 2025 contro una sede dei servizi somali, che portò alla liberazione di decine di detenuti, diede il segnale dell’audacia crescente di questi movimenti.
Le debolezze dell’apparato statale restano uno dei fattori decisivi. Nonostante due decenni di aiuti, investimenti e programmi di addestramento militare, le forze somale non riescono a condurre operazioni continuative contro reti criminali e gruppi jihadisti. Il consumo interno di risorse, la corruzione diffusa, i legami di fedeltà clanici e la dipendenza dall’Agenzia dell’Unione africana per il supporto alla sicurezza hanno sgretolato ogni tentativo di riforma. Nel frattempo, l’interferenza politica nella gestione della missione internazionale ha sfiancato i donatori, ridotto il coordinamento e lasciato presagire un imminente disimpegno. A questo si aggiungono le tensioni istituzionali: modifiche costituzionali controverse, una mappa federale contestata e tentativi percepiti come manovre per prolungare la permanenza al potere della leadership attuale hanno spaccato la classe politica e paralizzato qualsiasi risposta comune alla minaccia emergente. Mentre i vertici si dividono, le bande armate osservano, consolidano il controllo del territorio e preparano nuovi colpi contro la navigazione e le città costiere. Sul piano internazionale cresce il numero di governi che, temendo un collasso definitivo del sistema federale, sondano discretamente la possibilità di una trattativa con i gruppi armati. Ma l’ipotesi di una Mogadiscio conquistata da milizie che già controllano ampie aree della costa solleva timori concreti: un ritorno alla pirateria sistemica, attacchi oltre confine e una spirale di conflitti locali che coinvolgerebbe l’intero Corno d’Africa.
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Il presidente eletto del Cile José Antonio Kast e sua moglie Maria Pia Adriasola (Ansa)
Un elemento significativo di queste elezioni presidenziali è stata l’elevata affluenza alle urne, che si è rivelata in aumento del 38% rispetto al 2021. Quelle di ieri sono infatti state le prime elezioni tenute dopo che, nel 2022, è stato introdotto il voto obbligatorio. La vittoria di Kast ha fatto da contraltare alla crisi della sinistra cilena. Il presidente uscente, Gabriel Boric, aveva vinto quattro anni fa, facendo leva soprattutto sull’impopolarità dell’amministrazione di centrodestra, guidata da Sebastián Piñera. Tuttavia, a partire dal 2023, gli indici di gradimento di Boric sono iniziati a crollare. E questo ha danneggiato senza dubbio la Jara, che è stata ministro del Lavoro fino allo scorso aprile. Certo, Kast si accinge a governare a fronte di un Congresso diviso: il che potrebbe rappresentare un problema per alcune delle sue proposte più incisive. Resta tuttavia il fatto che la sua vittoria ha avuto dei numeri assai significativi.
«La vittoria di Kast in Cile segue una serie di elezioni in America Latina che negli ultimi anni hanno spostato la regione verso destra, tra cui quelle in Argentina, Ecuador, Costa Rica ed El Salvador», ha riferito la Bbc. Lo spostamento a destra dell’America Latina è una buona notizia per la Casa Bianca. Ricordiamo che, alcuni giorni fa, Washington a pubblicato la sua nuova strategia di sicurezza nazionale: un documento alla cui base si registra il rilancio della Dottrina Monroe. Per Trump, l’obiettivo, da questo punto di vista, è duplice. Innanzitutto, punta a contrastare il fenomeno dell’immigrazione irregolare. In secondo luogo, mira ad arginare l’influenza geopolitica della Cina sull’Emisfero occidentale. Vale a tal proposito la pena di ricordare che Boric, negli ultimi anni, ha notevolmente avvicinato Santiago a Pechino. Una linea che, di certo, a Washington non è stata apprezzata.
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