True
2020-05-20
Il virologo francese più chiacchierato aveva previsto il disastro 17 anni fa
Didier Raoult (Moura F/Alpaca/Andia/Universal Images Group via Getty Images))
«Tra i virus influenzali, un mutante quale l'influenza Spagnola può riapparire dall'oggi al domani» con «conseguenze incalcolabili». Pagina 166 del rapporto scritto nel 2003 dal professor Didier Raoult su incarico del governo francese dopo l'attacco alle Torri Gemelle. Non è una profezia ma l'analisi scientifica e lucida degli scenari della nuova guerra asimmetrica: la guerra dei nuovi virus. «Il rischio dell'apparizione di un nuovo agente patogeno, estremamente contagioso, per via respiratoria, è chiaro». Del resto, calcola l'infettivologo, il costo di un'arma biologica «è 2000 volte inferiore a quello di un'arma convenzionale».
Didier Raoult, 68 anni, figlio di un medico militare e di un'infermiera, è direttore dell'Istituto di malattie infettive di Marsiglia, centro d'avanguardia, e personaggio molto discusso (ha teorizzato e messo in pratica l'uso dell'antimalarico per curare il Sars-Cov-2). Per qualcuno un genio, per altri un ciarlatano. Ma di sicuro sa di cosa parla. Nella cosiddetta «mission Raoult» delinea in modo impressionante ciò che accadrà 17 anni dopo con lo spettro Covid 19. Ed anche i fili che emergono solo ora e che ai segreti del laboratorio cinese di Wuhan legano Parigi - ma anche altri Paesi come l'Australia - come abbiamo già cercato di raccontare sulla Verità il 14 maggio.
Nel 2002 il ministro per la Ricerca e le nuove tecnologie e il ministro della Salute francesi, valutato che «il bioterrorismo è una minaccia latente contro l'umanità», affidano al Raoult analisi e progetto per costruire «un'organizzazione interministeriale sotto l'egida del Sgdsn», il Secrétariat général de la défense et de la sécurité nationale, il «cuore della sicurezza» francese.
Il professore consegna una versione preliminare il 2 aprile 2003 e quella definitiva il 17 giugno 2003. Citando l'esempio del virus mutante dell'influenza aviaria ad Hong Kong nel 1999, avverte: «Questo tipo di avvenimenti, la mutazione brutale più l'introduzione di un virus di origine animale nel mondo umano, sono eventi rari e caotici» ma dagli effetti devastanti. La diffusione dei contagi sarà velocissima, prevede, grazie alla densità abitativa e agli spostamenti aerei (500.000-1 miliardo nel 2003).
Ma quello che colpisce di più è l'attenzione, 17 anni fa, ai risvolti sull'opinione pubblica. Non è materia da giornali e tv. I temi legati ad un sistema «che permette di evitare le conseguenze drammatiche di avvenimenti improbabili» «non sono mediaticamente interessanti»: «Sulla stampa comparirebbero commenti estremamente negativi», accuse di «catastrosfismo e paranoia». Vi ricorda qualcosa, magari gli inviti a darci sotto con gli aperitivi? Ad epidemia conclamata saranno complicati anche i riflessi giuridici e psicologici, perché «la gestione delle malattie infettive può portare a rimettere in discussione la libertà individuale»: «È il caso dell'isolamento necessario per evitare il contagio quando i pazienti sono infettivi, è il caso della dichiarazione obbligatoria della malattia…». È ciò che è accaduto ora.
Didier Raoult per il bio-terrorismo militare classico cita l'esempio dell'Unione sovietica (almeno 50.000 addetti nel dipartimento Biopreparat, diversi incidenti tra cui un centinaio di morti nei pressi di un laboratorio militare per una fuga di carbonchio). Tanto che ora viene da chiedersi: la Cina comun-turbocapitalista non ha fatto altro che prendere il testimone della vecchia Urss?
Ma sono i cosiddetti «virus emergenti» la nuova frontiera della geopolitica e della sicurezza nelle sue due facce (offesa e difesa). Raoult passa in rassegna tutte le lacune francesi, dall'incompetenza degli «esperti» presso i ministeri ed i «servizi», alla mancanza di coordinamento. Le uniche strutture all'altezza sono a Lione l'Istituto Pasteur e il laboratorio P4 della Fondazione Merieux «costruito interamente con investimenti privati». Proprio da queste due strutture nel progetto di cooperazione franco-cinese «per la lotta alle malattie infettive emergenti» sarà derivato il clone del laboratorio P4 a Wuhan, dal 2003-2004 a tutto il 2019.
Il professor Raoult spiega anche perché proprio la Cina. «Solo l'impianto duraturo», scrive, «di centri di ricerca e sorveglianza nei Paesi tropicali permetterà l'individuazione precoce di questi nuovi agenti (infettivi)». Chi pensa a qualche angolo sperduto delle ex colonie francesi è fuori strada. È la Cina che offre le condizioni ottimali con il suo sviluppo caotico, la commistione di megalopoli con aree rurali e selvagge, e, cosa che non guasta, è una dittatura con un ferreo controllo su media e giornali. Ed è nelle grotte dello Yunnan, provincia sud-occidentale della Cina toccata dal Tropico del Cancro che «Batwoman» Shi Zhengli e la sua equipe dell'Istituto di virologia di Wuhan per 15 anni andranno a caccia dei coronavirus nei pipistrelli.
Ergo, è da ritenere plausibile che tutto ciò che è avvenuto nella cooperazione franco-cinese e nelle pericolose sperimentazioni a Wuhan e altrove (ne abbiamo ampiamente parlato il 14 maggio), sospettate da più parti - Usa in testa - di essere all'origine della pandemia del Covid, sia avvenuto con la conoscenza del governo e degli apparati di sicurezza di Parigi. Nel suo rapporto Raoult raccomandava nel consiglio d'amministrazione del Laboratorio P4 lionese - quello della collaborazione con l'Istituto di Wuhan - la presenza di «ufficiali della sicurezza», che «deve riflettere la posizione del SGD(S)N» sui progetti e sui candidati ammessi agli esperimenti sui nuovi virus.
A questo punto vi chiederete: ci sono anche i militari francesi? Sì. Tra le équipe con le capacità di lavorare in un laboratorio ad altissima livello di biosicurezza (P4) Raoult indica anche due squadre di ricercatori di Marsiglia, universitarie e «militari (Docteur Toulu e Docteur Durand)» e due di Grenoble, del Centro nazionale di ricerche scientifiche e «militari (Docteur Jouan e Docteur Garin)».
L’Oms cala ancora le braghe Zero indagini sulla Cina (e infatti Pechino applaude)
La montagna ha partorito il proverbiale topolino. La World health assembly, l'organo decisionale dell'Oms, ha approvato ieri - senza obiezioni - una risoluzione, redatta dall'Unione europea, per condurre un'inchiesta sulla risposta globale alla pandemia. Chi tuttavia ritiene che si tratti di una mossa per chiarire le responsabilità di Pechino nella gestione del Covid-19, è destinato a restare deluso. Quello approvato ieri risulta infatti un documento particolarmente blando. Innanzitutto il testo non include la parola «indagine», limitandosi a richiedere una «valutazione imparziale, indipendente e globale» da effettuarsi «al momento opportuno», quindi collocato in un futuro indefinito. Inoltre, non soltanto la Cina non viene menzionata ma, oltre alla sua intrinseca genericità, la risoluzione mette tutto nelle mani dell'Oms: quell'Oms che - ricordiamolo - intrattiene ai propri vertici saldi legami politici con la Repubblica Popolare. Invocare imparzialità a queste condizioni rischia quindi di rivelarsi abbastanza azzardato. Infine, la questione dell'origine del Covid-19 viene soltanto accennata in un generico impegno a «identificare la fonte zoonotica del virus e la via di introduzione alla popolazione umana». Insomma, per piacere a tutti (o per non scontentar qualcuno) si è approvato un testo svuotato di contenuti. E si fa pertanto un po' fatica a condividere l'ottimismo del nostro viceministro degli Esteri, Marina Sereni, che lunedì aveva salutato la proposta europea di «un'inchiesta indipendente sull'origine del Covid-19», twittando: «Good news».
D'altronde alla Cina questa risoluzione non sembra dispiacere affatto. Non sarà del resto un caso che, dopo un primo momento di scetticismo, Pechino abbia alla fine deciso di sostenere il documento. E, a confermare questo stato di cose, sta la polemica esplosa ieri tra Cina e Australia. In un primo momento, Canberra aveva lasciato intendere che la risoluzione fosse quasi una conseguenza della propria richiesta - avanzata alcune settimane fa, con conseguente irritazione cinese - di aprire un'indagine indipendente sulle origini del virus. Un'interpretazione che non è granché piaciuta a Pechino: Pechino che, guarda caso, è andata ieri all'attacco, con l'ambasciata cinese a Canberra che ha affermato: «Il progetto di risoluzione sul Covid-19 che sarà adottato dalla World health assembly è totalmente diverso dalla proposta australiana di una revisione internazionale indipendente». «Definire la risoluzione della World health assembly», ha aggiunto l'ambasciata, «una rivendicazione della richiesta australiana non è altro che uno scherzo». Lo stesso Global Times (organo del Partito comunista cinese) aveva d'altronde ieri attaccato Canberra, ridimensionando inoltre la portata della risoluzione: «Questo esame», ha scritto il quotidiano cinese, «ha lo scopo di riassumere le esperienze e trarre insegnamenti dalla gestione della crisi della salute pubblica, che è anche la pratica di routine per l'Oms a seguito di una grande pandemia». Ma non è tutto, perché, nelle scorse ore, Pechino ha imposto tariffe dell'80% sulle importazioni di orzo dall'Australia: mossa che è difficile non leggere (anche) come una ritorsione. E chissà che cosa diranno adesso quanti hanno sempre condannato Donald Trump per l'uso dei dazi come strumento di pressione politica.
L'influenza della Cina, insomma, non è stata granché intaccata in sede Oms. E questo spiega del resto le turbolenze verificatesi negli ultimi due giorni con Washington. È pur vero che, secondo Reuters, gli americani non abbiano accolto del tutto negativamente la risoluzione di ieri. Ma gli Stati Uniti non compaiono comunque tra i proponenti del documento, ne hanno preso esplicitamente le distanze sui paragrafi dedicati sulla salute riproduttiva e - in tutto questo - la tensione generale resta alle stelle. Lunedì scorso, Trump ha definito l'Oms una «marionetta della Cina» e, in una lettera indirizzata al direttore generale Tedros Adhanom Ghebreyesus, ha minacciato di bloccare per sempre i finanziamenti americani all'agenzia Onu: finanziamenti che la Casa Bianca aveva temporaneamente congelato il mese scorso. «Non abbiamo tempo da perdere», ha scritto Trump, «Ecco perché è mio dovere, in qualità di presidente degli Stati Uniti, informarla che, se l'Oms non si impegnerà in importanti miglioramenti sostanziali entro i prossimi 30 giorni, renderò permanente il mio congelamento temporaneo dei fondi americani all'Oms e riconsidererò la nostra adesione all'Organizzazione». L'affondo del presidente statunitense è del resto arrivato poche ore dopo le aspre critiche, mosse all'Oms, dal segretario di Stato americano, Mike Pompeo, e dal ministro della Sanità, Alex Azar. Dura la replica del portavoce del ministero degli Esteri cinese, Zhao Lijian, che ha dichiarato: «[La lettera di Trump] inganna l'opinione pubblica e infanga la Cina». Critica verso la Casa Bianca anche la Commissione europea, che si è nettamente schierata a favore dell'Oms. Il dissidio si acuisce. E Trump punta sempre più sull'America First, per scardinare il multilateralismo made in China.
Continua a leggere
Riduci
In uno studio per il governo dopo l'11 settembre, Didier Raoult elencava rischi, danni e pratiche (tracciamento compreso) connessi a un'imminente pandemia. Le sue profezie ispirarono il laboratorio sinocinese a WuhanLa risoluzione, che non accenna a errori o omissioni, è fatta votare da Xi. Invocata solo una «valutazione» sulla risposta al Covid. E gli Usa minacciano di tagliare i fondi.Lo speciale contiene due articoli«Tra i virus influenzali, un mutante quale l'influenza Spagnola può riapparire dall'oggi al domani» con «conseguenze incalcolabili». Pagina 166 del rapporto scritto nel 2003 dal professor Didier Raoult su incarico del governo francese dopo l'attacco alle Torri Gemelle. Non è una profezia ma l'analisi scientifica e lucida degli scenari della nuova guerra asimmetrica: la guerra dei nuovi virus. «Il rischio dell'apparizione di un nuovo agente patogeno, estremamente contagioso, per via respiratoria, è chiaro». Del resto, calcola l'infettivologo, il costo di un'arma biologica «è 2000 volte inferiore a quello di un'arma convenzionale». Didier Raoult, 68 anni, figlio di un medico militare e di un'infermiera, è direttore dell'Istituto di malattie infettive di Marsiglia, centro d'avanguardia, e personaggio molto discusso (ha teorizzato e messo in pratica l'uso dell'antimalarico per curare il Sars-Cov-2). Per qualcuno un genio, per altri un ciarlatano. Ma di sicuro sa di cosa parla. Nella cosiddetta «mission Raoult» delinea in modo impressionante ciò che accadrà 17 anni dopo con lo spettro Covid 19. Ed anche i fili che emergono solo ora e che ai segreti del laboratorio cinese di Wuhan legano Parigi - ma anche altri Paesi come l'Australia - come abbiamo già cercato di raccontare sulla Verità il 14 maggio.Nel 2002 il ministro per la Ricerca e le nuove tecnologie e il ministro della Salute francesi, valutato che «il bioterrorismo è una minaccia latente contro l'umanità», affidano al Raoult analisi e progetto per costruire «un'organizzazione interministeriale sotto l'egida del Sgdsn», il Secrétariat général de la défense et de la sécurité nationale, il «cuore della sicurezza» francese. Il professore consegna una versione preliminare il 2 aprile 2003 e quella definitiva il 17 giugno 2003. Citando l'esempio del virus mutante dell'influenza aviaria ad Hong Kong nel 1999, avverte: «Questo tipo di avvenimenti, la mutazione brutale più l'introduzione di un virus di origine animale nel mondo umano, sono eventi rari e caotici» ma dagli effetti devastanti. La diffusione dei contagi sarà velocissima, prevede, grazie alla densità abitativa e agli spostamenti aerei (500.000-1 miliardo nel 2003). Ma quello che colpisce di più è l'attenzione, 17 anni fa, ai risvolti sull'opinione pubblica. Non è materia da giornali e tv. I temi legati ad un sistema «che permette di evitare le conseguenze drammatiche di avvenimenti improbabili» «non sono mediaticamente interessanti»: «Sulla stampa comparirebbero commenti estremamente negativi», accuse di «catastrosfismo e paranoia». Vi ricorda qualcosa, magari gli inviti a darci sotto con gli aperitivi? Ad epidemia conclamata saranno complicati anche i riflessi giuridici e psicologici, perché «la gestione delle malattie infettive può portare a rimettere in discussione la libertà individuale»: «È il caso dell'isolamento necessario per evitare il contagio quando i pazienti sono infettivi, è il caso della dichiarazione obbligatoria della malattia…». È ciò che è accaduto ora. Didier Raoult per il bio-terrorismo militare classico cita l'esempio dell'Unione sovietica (almeno 50.000 addetti nel dipartimento Biopreparat, diversi incidenti tra cui un centinaio di morti nei pressi di un laboratorio militare per una fuga di carbonchio). Tanto che ora viene da chiedersi: la Cina comun-turbocapitalista non ha fatto altro che prendere il testimone della vecchia Urss?Ma sono i cosiddetti «virus emergenti» la nuova frontiera della geopolitica e della sicurezza nelle sue due facce (offesa e difesa). Raoult passa in rassegna tutte le lacune francesi, dall'incompetenza degli «esperti» presso i ministeri ed i «servizi», alla mancanza di coordinamento. Le uniche strutture all'altezza sono a Lione l'Istituto Pasteur e il laboratorio P4 della Fondazione Merieux «costruito interamente con investimenti privati». Proprio da queste due strutture nel progetto di cooperazione franco-cinese «per la lotta alle malattie infettive emergenti» sarà derivato il clone del laboratorio P4 a Wuhan, dal 2003-2004 a tutto il 2019.Il professor Raoult spiega anche perché proprio la Cina. «Solo l'impianto duraturo», scrive, «di centri di ricerca e sorveglianza nei Paesi tropicali permetterà l'individuazione precoce di questi nuovi agenti (infettivi)». Chi pensa a qualche angolo sperduto delle ex colonie francesi è fuori strada. È la Cina che offre le condizioni ottimali con il suo sviluppo caotico, la commistione di megalopoli con aree rurali e selvagge, e, cosa che non guasta, è una dittatura con un ferreo controllo su media e giornali. Ed è nelle grotte dello Yunnan, provincia sud-occidentale della Cina toccata dal Tropico del Cancro che «Batwoman» Shi Zhengli e la sua equipe dell'Istituto di virologia di Wuhan per 15 anni andranno a caccia dei coronavirus nei pipistrelli.Ergo, è da ritenere plausibile che tutto ciò che è avvenuto nella cooperazione franco-cinese e nelle pericolose sperimentazioni a Wuhan e altrove (ne abbiamo ampiamente parlato il 14 maggio), sospettate da più parti - Usa in testa - di essere all'origine della pandemia del Covid, sia avvenuto con la conoscenza del governo e degli apparati di sicurezza di Parigi. Nel suo rapporto Raoult raccomandava nel consiglio d'amministrazione del Laboratorio P4 lionese - quello della collaborazione con l'Istituto di Wuhan - la presenza di «ufficiali della sicurezza», che «deve riflettere la posizione del SGD(S)N» sui progetti e sui candidati ammessi agli esperimenti sui nuovi virus. A questo punto vi chiederete: ci sono anche i militari francesi? Sì. Tra le équipe con le capacità di lavorare in un laboratorio ad altissima livello di biosicurezza (P4) Raoult indica anche due squadre di ricercatori di Marsiglia, universitarie e «militari (Docteur Toulu e Docteur Durand)» e due di Grenoble, del Centro nazionale di ricerche scientifiche e «militari (Docteur Jouan e Docteur Garin)». <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/il-virologo-francese-piu-chiacchierato-aveva-previsto-il-disastro-17-anni-fa-2646035621.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="loms-cala-ancora-le-braghe-zero-indagini-sulla-cina-e-infatti-pechino-applaude" data-post-id="2646035621" data-published-at="1589914122" data-use-pagination="False"> L’Oms cala ancora le braghe Zero indagini sulla Cina (e infatti Pechino applaude) La montagna ha partorito il proverbiale topolino. La World health assembly, l'organo decisionale dell'Oms, ha approvato ieri - senza obiezioni - una risoluzione, redatta dall'Unione europea, per condurre un'inchiesta sulla risposta globale alla pandemia. Chi tuttavia ritiene che si tratti di una mossa per chiarire le responsabilità di Pechino nella gestione del Covid-19, è destinato a restare deluso. Quello approvato ieri risulta infatti un documento particolarmente blando. Innanzitutto il testo non include la parola «indagine», limitandosi a richiedere una «valutazione imparziale, indipendente e globale» da effettuarsi «al momento opportuno», quindi collocato in un futuro indefinito. Inoltre, non soltanto la Cina non viene menzionata ma, oltre alla sua intrinseca genericità, la risoluzione mette tutto nelle mani dell'Oms: quell'Oms che - ricordiamolo - intrattiene ai propri vertici saldi legami politici con la Repubblica Popolare. Invocare imparzialità a queste condizioni rischia quindi di rivelarsi abbastanza azzardato. Infine, la questione dell'origine del Covid-19 viene soltanto accennata in un generico impegno a «identificare la fonte zoonotica del virus e la via di introduzione alla popolazione umana». Insomma, per piacere a tutti (o per non scontentar qualcuno) si è approvato un testo svuotato di contenuti. E si fa pertanto un po' fatica a condividere l'ottimismo del nostro viceministro degli Esteri, Marina Sereni, che lunedì aveva salutato la proposta europea di «un'inchiesta indipendente sull'origine del Covid-19», twittando: «Good news». D'altronde alla Cina questa risoluzione non sembra dispiacere affatto. Non sarà del resto un caso che, dopo un primo momento di scetticismo, Pechino abbia alla fine deciso di sostenere il documento. E, a confermare questo stato di cose, sta la polemica esplosa ieri tra Cina e Australia. In un primo momento, Canberra aveva lasciato intendere che la risoluzione fosse quasi una conseguenza della propria richiesta - avanzata alcune settimane fa, con conseguente irritazione cinese - di aprire un'indagine indipendente sulle origini del virus. Un'interpretazione che non è granché piaciuta a Pechino: Pechino che, guarda caso, è andata ieri all'attacco, con l'ambasciata cinese a Canberra che ha affermato: «Il progetto di risoluzione sul Covid-19 che sarà adottato dalla World health assembly è totalmente diverso dalla proposta australiana di una revisione internazionale indipendente». «Definire la risoluzione della World health assembly», ha aggiunto l'ambasciata, «una rivendicazione della richiesta australiana non è altro che uno scherzo». Lo stesso Global Times (organo del Partito comunista cinese) aveva d'altronde ieri attaccato Canberra, ridimensionando inoltre la portata della risoluzione: «Questo esame», ha scritto il quotidiano cinese, «ha lo scopo di riassumere le esperienze e trarre insegnamenti dalla gestione della crisi della salute pubblica, che è anche la pratica di routine per l'Oms a seguito di una grande pandemia». Ma non è tutto, perché, nelle scorse ore, Pechino ha imposto tariffe dell'80% sulle importazioni di orzo dall'Australia: mossa che è difficile non leggere (anche) come una ritorsione. E chissà che cosa diranno adesso quanti hanno sempre condannato Donald Trump per l'uso dei dazi come strumento di pressione politica. L'influenza della Cina, insomma, non è stata granché intaccata in sede Oms. E questo spiega del resto le turbolenze verificatesi negli ultimi due giorni con Washington. È pur vero che, secondo Reuters, gli americani non abbiano accolto del tutto negativamente la risoluzione di ieri. Ma gli Stati Uniti non compaiono comunque tra i proponenti del documento, ne hanno preso esplicitamente le distanze sui paragrafi dedicati sulla salute riproduttiva e - in tutto questo - la tensione generale resta alle stelle. Lunedì scorso, Trump ha definito l'Oms una «marionetta della Cina» e, in una lettera indirizzata al direttore generale Tedros Adhanom Ghebreyesus, ha minacciato di bloccare per sempre i finanziamenti americani all'agenzia Onu: finanziamenti che la Casa Bianca aveva temporaneamente congelato il mese scorso. «Non abbiamo tempo da perdere», ha scritto Trump, «Ecco perché è mio dovere, in qualità di presidente degli Stati Uniti, informarla che, se l'Oms non si impegnerà in importanti miglioramenti sostanziali entro i prossimi 30 giorni, renderò permanente il mio congelamento temporaneo dei fondi americani all'Oms e riconsidererò la nostra adesione all'Organizzazione». L'affondo del presidente statunitense è del resto arrivato poche ore dopo le aspre critiche, mosse all'Oms, dal segretario di Stato americano, Mike Pompeo, e dal ministro della Sanità, Alex Azar. Dura la replica del portavoce del ministero degli Esteri cinese, Zhao Lijian, che ha dichiarato: «[La lettera di Trump] inganna l'opinione pubblica e infanga la Cina». Critica verso la Casa Bianca anche la Commissione europea, che si è nettamente schierata a favore dell'Oms. Il dissidio si acuisce. E Trump punta sempre più sull'America First, per scardinare il multilateralismo made in China.
(Totaleu)
Lo ha detto il Ministro per gli Affari europei in un’intervista margine degli Ecr Study Days a Roma.
Getty Images
Ed è quel che ha pensato il gran capo della Fifa, l’imbarazzante Infantino, dopo aver intestato a Trump un neonato riconoscimento Fifa. Solo che stavolta lo show diventa un caso diplomatico e rischia di diventare imbarazzante e difficile da gestire perché, come dicevamo, la partita celebrativa dell’orgoglio Lgbtq+ sarà Egitto contro Iran, due Paesi dove gay, lesbiche e trans finiscono in carcere o addirittura condannate a morte.
Ora, delle due l’una: o censuri chi non si adegua a certe regole oppure imporre le proprie regole diventa ingerenza negli affari altrui. E non si può. Com’è noto il match del 26 giugno a Seattle, una delle città in cui la cultura Lgbtq+ è più radicata, era stata scelto da tempo come pride match, visto che si giocherà di venerdì, alle porte del nel weekend dell’orgoglio gay. Diciamo che la sorte ha deciso di farsi beffa di Infantino e del politically correct. Infatti le due nazioni hanno immediatamente protestato: che c’entriamo noi con queste convenzioni occidentali? Del resto la protesta ha un senso: se nessuno boicotta gli Stati dove l’omosessualità è reato, perché poi dovrebbero partecipare ad un rito occidentale? Per loro la scelta è «inappropriata e politicamente connotata». Così Iran ed Egitto hanno presentato un’obiezione formale, tant’è che Mehdi Taj, presidente della Federcalcio iraniana, ha spiegato la posizione del governo iraniano e della sua federazione: «Sia noi che l’Egitto abbiamo protestato. È stata una decisione irragionevole che sembrava favorire un gruppo particolare. Affronteremo sicuramente la questione». Se le Federcalcio di Iran ed Egitto non hanno intenzione di cedere a una pressione internazionale che ingerisce negli affari interni, nemmeno la Fifa ha intenzione di fare marcia indietro. Secondo Eric Wahl, membro del Pride match advisory committee, «La partita Egitto-Iran a Seattle in giugno capita proprio come pride match, e credo che sia un bene, in realtà. Persone Lgbtq+ esistono ovunque. Qui a Seattle tutti sono liberi di essere se stessi». Certo, lì a Seattle sarà così ma il rischio che la Fifa non considera è quello di esporre gli atleti egiziani e soprattutto iraniani a ritorsioni interne. Andremo al Var? Meglio di no, perché altrimenti dovremmo rivedere certi errori macroscopici su altri diritti dei quali nessun pride si era occupato organizzando partite ad hoc. Per esempio sui diritti dei lavoratori; eppure non pochi operai nei cantieri degli stadi ci hanno lasciato le penne. Ma evidentemente la fretta di rispettare i tempi di consegna fa chiudere entrambi gli occhi. Oppure degli operai non importa nulla. E qui tutto il mondo è Paese.
Continua a leggere
Riduci