2019-09-05
Il vicolo cieco dei progressisti newyorchesi
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Non sono tempi rosei, questi, per il progressismo newyorchese. Bill de Blasio sembra infatti ormai vicino alla resa. Il sindaco della Grande Mela è stato escluso dal dibattito televisivo tra i candidati democratici che si terrà la prossima settimana a Houston (in Texas), non essendo riuscito a rispettare i criteri di ammissione in termini di sondaggi e raccolta fondi. E ora questo fallimento ha gettato il primo cittadino nello sconforto. «Ovviamente volevo partecipare al dibattito di settembre», ha dichiarato nel corso di una recentissima conferenza stampa, «Ma non è stato possibile. Credo che la cosa logica da dire sia, lo sapete, cercare di essere ammesso al dibattito di ottobre. E se ci riesco, penso che sia una buona ragione per andare avanti e, se non ci riesco, penso che sia davvero difficile concepire di continuare. Quindi è così che la vedo in questo momento».Insomma, pur escludendo un ritiro imminente, il sindaco lascia intendere che per resuscitare la sua corsa elettorale occorra una sorta di miracolo. Per partecipare al confronto televisivo di ottobre, è richiesto che i candidati rispettino gli stessi criteri necessari per il dibattito di Houston: raggiungere, cioè, una soglia minima del 2% in quattro sondaggi qualificati e ricevere finanziamenti da almeno 130.000 donatori unici. Obiettivi abbastanza difficili da conseguire, visto che – secondo l'ultima media sondaggistica diffusa da Real Clear Politics – de Blasio resterebbe per ora inchiodato allo 0,4% dei consensi.Qualora il primo cittadino decidesse di fare un passo indietro, farebbe probabilmente innanzitutto un favore allo stesso comitato nazionale del Partito Democratico, che si sta trovando a gestire ancora oggi una pletora di ben venti candidati. Una posizione condivisa, per ragioni ovviamente differenti, anche da Mike LiPetri, membro repubblicano dell'assemblea dello Stato di New York, che ha invitato de Blasio ad abbandonare la corsa per la nomination democratica. «In realtà ci preoccupiamo della nostra dignità ed è imbarazzante in questo momento per lo Stato di New York [e] New York City», ha dichiarato LiPetri mercoledì su Fox News. «De Blasio se n'è andato. I senzatetto dilagano. I criminali sono incoraggiati. La polizia non ha rispetto». In particolare, LiPetri ha citato un articolo del New York Post, secondo cui – nel mese di maggio – il sindaco avrebbe trascorso solo sette ore al municipio. «Non solo [dovrebbe] ritirarsi dalla campagna presidenziale ... ma soprattutto, dovrebbe dimettersi dall'incarico di sindaco perché non gli importa della gente», ha tuonato. Insomma, de Blasio sarebbe un sindaco assenteista, oltre che – alla prova dei fatti – non certo un granché come candidato presidenziale.Da quando è sceso in campo lo scorso maggio, il primo cittadino ha cercato di proporsi come punto di riferimento per le galassie progressiste. Una strategia che è tuttavia man mano incorsa in un totale fallimento. Innanzitutto, il sindaco non ha adeguatamente tenuto conto della sovrabbondante concorrenza che avrebbe trovato a sinistra. Dal senatore del Vermont, Bernie Sanders, alla senatrice del Massachusetts, Elizabeth Warren, passando per la senatrice della California, Kamala Harris: sono molte le figure che, nell'attuale corsa per la nomination democratica, stanno cercando di intestarsi la rappresentanza delle correnti progressiste. De Blasio, che già partiva svantaggiato rispetto a molti suoi rivali in termini di notorietà e potenza economica, non ha saputo emergere, non riuscendo a trovare elementi che gli consentissero di differenziarsi. A questo bisogna poi aggiungere la pessima performance registrata nel corso dei primi due dibattiti televisivi a Miami e Detroit: si è agitato molto, gridando e lanciando strali in stile Masaniello. Ma di concretezza se n'è vista ben poca.Che non si tratti di un buon periodo per i liberal dell'Empire State è anche testimoniato dal ritiro – la settimana scorsa – della senatrice dello Stato di New York, Kirsten Gillibrand: un'altra figura che, scesa formalmente in campo a marzo, ha cercato invano di accattivarsi le simpatie delle correnti progressiste, attraverso una proposta politica monotematica. Una proposta, cioè, pressoché esclusivamente incentrata sui temi del femminismo e dell'aborto, senza toccare questioni dirimenti quali l'economia, il commercio internazionale o la politica estera. Come de Blasio, anche lei aveva conseguito risultati sondaggistici impietosi e – anche lei – era rimasta esclusa dal dibattito del 12 settembre.Al di là dei grossolani errori dei singoli candidati, è forse possibile individuare, più in generale, un problema strutturale in grado di spiegare questo stato di cose. Soprattutto negli ultimi anni, il progressismo newyorchese è diventato sempre più astratto e autoreferenziale, mostrandosi di fatto incapace di rivolgersi adeguatamente a un elettorato variegato e trasversale. E, in questo senso, figure come quelle di de Blasio e della Gillibrand evidenziano perfettamente tale incresciosa situazione: una situazione che lascerebbe impalliditi storici liberal newyorchesi come Franklin D. Roosevelt o Mario Cuomo. Perché l'aspetto più allarmante della faccenda riguarda forse il fatto che questa tipologia di sinistra non sia più in grado di parlare alla classe operaia della Rust Belt, presa com'è dalle sue astrazioni politically correct venate di puritanesimo e giacobinismo. Che cosa hanno del resto da dire politici come de Blasio o la Gillibrand ai colletti blu di Stati come il Michigan o l'Ohio? Poco. Probabilmente nulla. Il progressismo newyorchese, insomma, è finito in un vicolo cieco. E le attuali primarie democratiche lo stanno dimostrando.
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