True
2020-11-03
Il Vaticano: sulle unioni gay non cambia nulla
iStock
Dopo alcune settimane di mistero e di interpretazioni, si scopre che la Segreteria di Stato vaticana ha fatto arrivare ai nunzi apostolici in giro per il mondo una nota di commento alle parole di papa Francesco presenti nel docufilm a lui dedicato dal regista russo Evgeny Afineevsky. Lo scopo, si legge nella nota pubblicata integralmente su Facebook dal nunzio in Messico Franco Coppola, vuole offrire «alcuni elementi utili, nel desiderio di favorire, per Sua (di papa Francesco, ndr) disposizione, un'adeguata comprensione delle parole del Santo Padre».
Il fatto, su cui finora i media vaticani hanno calato solo un silenzio tombale, riguarda il passaggio in cui Francesco dice della necessità per le persone omosessuali di avere «una legge sulle unioni civili (ley de convivenci civil, ndr). In questo modo sono coperti legalmente». E aggiunge: «Mi sono battuto per questo». Tale affermazione appare in discontinuità con quanto espresso nella nota della Congregazione per la dottrina della fede del 2003 a firma del cardinale Joseph Ratzinger e approvata da papa Giovanni Paolo II. In quel documento si indica che non può esserci una equiparazione del matrimonio tra uomo e donna alle unioni tra persone dello stesso sesso, inoltre dal punto di vista dell'antropologia cristiana nemmeno si può approvare il «riconoscimento legale delle unioni omosessuali».
La nota diffusa dalla Segreteria di Stato prova quindi a spiegare il montaggio che il regista del docufilm ha fatto estrapolando alcune risposte che il Papa aveva dato in un'intervista del 2019 alla vaticanista messicana Valentina Alazraky. I momenti che risalgono a quell'intervista, si legge nella nota, sono due, il primo riguarda le affermazioni di Francesco circa la «necessità che, all'interno della famiglia, il figlio o la figlia con orientamento omosessuale non siano mai discriminati». In questo caso la Segreteria di Stato cita un paragrafo della esortazione apostolica Amoris laetitia, il n. 250, e sostanzialmente nulla quaestio. Il secondo passaggio, invece, riguarda appunto la frase su cui finora nessuna spiegazione era stata data. Il riferimento, rivela finalmente la nota, è a una domanda della vaticanista Alazraky «inerente a una legge locale di dieci anni fa in Argentina sui “matrimoni egualitari di coppie dello stesso sesso" e l'opposizione dell'allora arcivescovo di Buenos Aires al riguardo». Francesco risponde che «è un'incongruenza parlare di matrimonio omosessuale aggiungendo che, in tale preciso contesto, aveva parlato del diritto di queste persone ad avere delle coperture legali: “Quello che dobbiamo fare è una legge di convivenza civile; hanno diritto di essere coperti legalmente. Io ho difeso questo"».
Siamo quindi alla famigerata frase che il Pontefice pronuncia nel docufilm, accanto alla quale la nota della Segreteria di Stato, probabilmente nel tentativo di trovare una quadra, affianca un'altra dichiarazione che Francesco ha fatto nel 2014 al Corriere della Sera: «Il matrimonio è fra un uomo e una donna. Gli Stati laici vogliono giustificare le unioni civili per regolare diverse situazioni di convivenza, spinti dall'esigenza di regolare aspetti economici fra le persone, come ad esempio assicurare l'assistenza sanitaria. Si tratta di patti di convivenza di varia natura, di cui non saprei elencare le diverse forme. Bisogna vedere i diversi casi e valutarli nella loro varietà». Quindi, conclude la Segreteria di Stato, «è pertanto evidente che papa Francesco si sia riferito a determinate disposizioni statali, non certo alla dottrina della Chiesa, numerose volte ribadita nel corso degli anni». Insomma, come già avevano avvertito fin da subito gli interpreti del pontificato, padre Antonio Spadaro in primis, «la dottrina non cambia».
Fatto salvo il catechismo della Chiesa cattolica, restano però alcune cose per nulla chiarite. La Segreteria di Stato, infatti, non dice una parola sul perché nel 2019 quella precisa dichiarazione del Papa era stata tagliata dalla intervista mandata in onda dalla televisione messicana. Chi, e perché, ha ritenuto, invece, di dover dare al regista Afineevsky la versione integrale di quell'intervista? E poi, cosa rilevante perché trattasi sempre di magistero, resta quell'odore di discontinuità tra le affermazioni del Papa e la nota firmata da Ratzinger e approvata da Giovanni Paolo II nel 2003. Si deve forse intendere che ora, purché non si equipari al matrimonio tra uomo e donna, la Chiesa possa approvare una tutela legale che riconosca le coppie omosessuali?
Peraltro, il vescovo argentino Héctor Aguer, emerito di La Plata, ha ricordato in questi giorni alla stampa internazionale che «quando era ancora arcivescovo, l'allora cardinal Bergoglio, nel corso di un'assemblea plenaria della Conferenza episcopale argentina, propose di approvare la liceità delle unioni civili delle persone omosessuali da parte dello Stato, come una possibile alternativa a quello che si chiamava - e che si chiama - matrimonio egualitario».
La nota chiarificatrice, arrivata con ampio ritardo, e nel silenzio assordante del dicastero della comunicazione vaticana, da questo punto di vista sembra risolvere poco. Il problema, come ha sottolineato il cardinale Gerhard Ludwig Müller alla Verità la scorsa settimana, è che quando «i nemici della Chiesa, gli atei e gli attivisti Lgbt sono interlocutori o interpreti del successore di Pietro», il rischio di creare ambiguità è dietro l'angolo e le toppe finiscono per non riuscire a coprire del tutto il buco.
Sentenza contro l’aborto in Polonia. Le femministe assaltano le chiese
Ricordo che nel 2002, quando visitò la Polonia per l'ottava e ultima volta, Giovanni Paolo II, molto anziano e già malato, fece ricorso a tutte le forze per denunciare che anche la sua patria, condizionata da «una rumorosa propaganda», stava ormai per consegnarsi a un concetto distorto di libertà, privo di verità e responsabilità.
Una denuncia, quella di papa Wojtyla, che mi è tornata alla mente vedendo ciò che sta succedendo in Polonia in questi giorni, con masse di giovani polacchi nati nella libertà, non sotto il giogo comunista, che sono scesi in piazza per manifestare contro la sentenza con la quale il 22 ottobre (proprio nel giorno in cui la Chiesa fa memoria di San Giovanni Paolo II) la Corte costituzionale polacca ha dichiarato incostituzionale l'aborto in caso di possibile malattia o malformazioni del nascituro, il cosiddetto «aborto eugenetico». La presidente dell'Alta Corte, Julia Przylebska, ha infatti spiegato che la legge del 1993, che proibiva l'aborto salvo in caso di elevata probabilità di deterioramento irreversibile o di malattia incurabile, è «incompatibile» con la Costituzione polacca perché viola i diritti umani costituzionalmente protetti.
In Polonia l'aborto resta consentito in caso di gravidanza derivata da stupro o incesto e in caso di pericolo per la vita della madre, ma ai manifestanti questo non basta e parlano di violazione di un «diritto». Sebbene la decisione sia stata presa da un organo della giustizia, nel mirino c'è il governo e c'è anche la Chiesa, colpevole di aver commentato favorevolmente la sentenza dell'Alta Corte. La protesta ha assunto toni molto aspri, con chiese profanate e messe interrotte dai manifestanti. Poi c'è stato lo strajk kobiet, lo sciopero generale delle donne sia nel settore privato sia in quello pubblico.
Subito dopo la sentenza, il presidente della Conferenza episcopale polacca, monsignor Stanislaw Gadecki, ha dichiarato che il concetto di «vita non degna di essere vissuta» apre alla discriminazione e contraddice il principio di uno Stato democratico governato dalla legge. Parole che hanno scatenato la dura reazione della sinistra, dei cosiddetti gruppi pro choice e dell'arcipelago femminista.
Gli attacchi alle chiese mettono in luce una Polonia per ora minoritaria ma caratterizzata da una intolleranza feroce. Le sante messe sono state interrotte da esaltati che hanno pronunciato oscenità e insulti. Monumenti sacri sono stati vandalizzati, un prete è stato aggredito. Un giovane è finito all'ospedale, colpito duramente perché stava difendendo una statua di San Giovanni Paolo II.
In un sobborgo di Varsavia una statua di papa Wojtyla è stata vandalizzata da ignoti che hanno dipinto di rosso le mani del Pontefice santo, e durante una manifestazione di protesta pro aborto alcune donne hanno mostrato una pozza di sangue ai piedi di un'altra statua del Papa polacco.
Un'attivista pro vita, Kaja Godek, artefice del progetto Stop Abortion, ha chiesto la protezione della polizia dopo che gli attivisti pro aborto hanno reso pubblico il suo indirizzo, il telefono e la mail, con conseguenti minacce e atti vandalici contro la sua abitazione.
Anche i dati personali del giudice Krystyna Pawlowicz, di Bartlomiej Wróblewski, deputato del partito Diritto e Giustizia, e del presidente dell'associazione March of Independence, Robert Bakiewicz, sono stati resi pubblici. Giorni fa c'è stata una protesta davanti alla casa del giudice Pawlowicz. Tutti atti intimidatori.
La protesta a base di vandalismi e attacchi alle statue è affine a quelle che abbiamo visto negli Stati Uniti. Obiettivo dei facinorosi non è solo contestare un provvedimento legislativo, ma è la storia, la memoria, l'identità stessa di un popolo e di una nazione.
Già nel 1991, in visita ai suoi connazionali, papa Wojtyla, che vedeva avanzare a grandi passi un'idea di libertà travisata e immiserita, disse che «occorre essere rettamente educati prima che la libertà sia concessa. È necessaria una libertà matura, non un mito di libertà che in realtà schiavizza e degrada».
E ancora: «Dio è stato allontanato sotto pretesto della neutralità ideologica. Nei tempi cosiddetti moderni Cristo quale artefice dello spirito europeo è stato messo tra parentesi... Viviamo come se Dio non esistesse».
Il grande Papa vedeva lontano.
Continua a leggereRiduci
La Segreteria di Stato prova a chiudere lo scandalo causato dal via libera del Papa alla tutela delle coppie omo inserito nel docufilm «Francesco». «Nessuna novità dottrinale», si legge nella nota ai nunzi. Ma resta il contrasto con gli atti del Sant'Uffizio di Joseph Ratzinger.Sentenza contro l'aborto in Polonia. Le femministe assaltano le chiese. La protesta conferma il monito di Karol Wojtyla sulla violenza di una libertà senza verità.Lo speciale contiene due articoli.Dopo alcune settimane di mistero e di interpretazioni, si scopre che la Segreteria di Stato vaticana ha fatto arrivare ai nunzi apostolici in giro per il mondo una nota di commento alle parole di papa Francesco presenti nel docufilm a lui dedicato dal regista russo Evgeny Afineevsky. Lo scopo, si legge nella nota pubblicata integralmente su Facebook dal nunzio in Messico Franco Coppola, vuole offrire «alcuni elementi utili, nel desiderio di favorire, per Sua (di papa Francesco, ndr) disposizione, un'adeguata comprensione delle parole del Santo Padre».Il fatto, su cui finora i media vaticani hanno calato solo un silenzio tombale, riguarda il passaggio in cui Francesco dice della necessità per le persone omosessuali di avere «una legge sulle unioni civili (ley de convivenci civil, ndr). In questo modo sono coperti legalmente». E aggiunge: «Mi sono battuto per questo». Tale affermazione appare in discontinuità con quanto espresso nella nota della Congregazione per la dottrina della fede del 2003 a firma del cardinale Joseph Ratzinger e approvata da papa Giovanni Paolo II. In quel documento si indica che non può esserci una equiparazione del matrimonio tra uomo e donna alle unioni tra persone dello stesso sesso, inoltre dal punto di vista dell'antropologia cristiana nemmeno si può approvare il «riconoscimento legale delle unioni omosessuali». La nota diffusa dalla Segreteria di Stato prova quindi a spiegare il montaggio che il regista del docufilm ha fatto estrapolando alcune risposte che il Papa aveva dato in un'intervista del 2019 alla vaticanista messicana Valentina Alazraky. I momenti che risalgono a quell'intervista, si legge nella nota, sono due, il primo riguarda le affermazioni di Francesco circa la «necessità che, all'interno della famiglia, il figlio o la figlia con orientamento omosessuale non siano mai discriminati». In questo caso la Segreteria di Stato cita un paragrafo della esortazione apostolica Amoris laetitia, il n. 250, e sostanzialmente nulla quaestio. Il secondo passaggio, invece, riguarda appunto la frase su cui finora nessuna spiegazione era stata data. Il riferimento, rivela finalmente la nota, è a una domanda della vaticanista Alazraky «inerente a una legge locale di dieci anni fa in Argentina sui “matrimoni egualitari di coppie dello stesso sesso" e l'opposizione dell'allora arcivescovo di Buenos Aires al riguardo». Francesco risponde che «è un'incongruenza parlare di matrimonio omosessuale aggiungendo che, in tale preciso contesto, aveva parlato del diritto di queste persone ad avere delle coperture legali: “Quello che dobbiamo fare è una legge di convivenza civile; hanno diritto di essere coperti legalmente. Io ho difeso questo"». Siamo quindi alla famigerata frase che il Pontefice pronuncia nel docufilm, accanto alla quale la nota della Segreteria di Stato, probabilmente nel tentativo di trovare una quadra, affianca un'altra dichiarazione che Francesco ha fatto nel 2014 al Corriere della Sera: «Il matrimonio è fra un uomo e una donna. Gli Stati laici vogliono giustificare le unioni civili per regolare diverse situazioni di convivenza, spinti dall'esigenza di regolare aspetti economici fra le persone, come ad esempio assicurare l'assistenza sanitaria. Si tratta di patti di convivenza di varia natura, di cui non saprei elencare le diverse forme. Bisogna vedere i diversi casi e valutarli nella loro varietà». Quindi, conclude la Segreteria di Stato, «è pertanto evidente che papa Francesco si sia riferito a determinate disposizioni statali, non certo alla dottrina della Chiesa, numerose volte ribadita nel corso degli anni». Insomma, come già avevano avvertito fin da subito gli interpreti del pontificato, padre Antonio Spadaro in primis, «la dottrina non cambia».Fatto salvo il catechismo della Chiesa cattolica, restano però alcune cose per nulla chiarite. La Segreteria di Stato, infatti, non dice una parola sul perché nel 2019 quella precisa dichiarazione del Papa era stata tagliata dalla intervista mandata in onda dalla televisione messicana. Chi, e perché, ha ritenuto, invece, di dover dare al regista Afineevsky la versione integrale di quell'intervista? E poi, cosa rilevante perché trattasi sempre di magistero, resta quell'odore di discontinuità tra le affermazioni del Papa e la nota firmata da Ratzinger e approvata da Giovanni Paolo II nel 2003. Si deve forse intendere che ora, purché non si equipari al matrimonio tra uomo e donna, la Chiesa possa approvare una tutela legale che riconosca le coppie omosessuali? Peraltro, il vescovo argentino Héctor Aguer, emerito di La Plata, ha ricordato in questi giorni alla stampa internazionale che «quando era ancora arcivescovo, l'allora cardinal Bergoglio, nel corso di un'assemblea plenaria della Conferenza episcopale argentina, propose di approvare la liceità delle unioni civili delle persone omosessuali da parte dello Stato, come una possibile alternativa a quello che si chiamava - e che si chiama - matrimonio egualitario».La nota chiarificatrice, arrivata con ampio ritardo, e nel silenzio assordante del dicastero della comunicazione vaticana, da questo punto di vista sembra risolvere poco. Il problema, come ha sottolineato il cardinale Gerhard Ludwig Müller alla Verità la scorsa settimana, è che quando «i nemici della Chiesa, gli atei e gli attivisti Lgbt sono interlocutori o interpreti del successore di Pietro», il rischio di creare ambiguità è dietro l'angolo e le toppe finiscono per non riuscire a coprire del tutto il buco.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/il-vaticano-sulle-unioni-gay-non-cambia-nulla-2648602450.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="sentenza-contro-laborto-in-polonia-le-femministe-assaltano-le-chiese" data-post-id="2648602450" data-published-at="1604406033" data-use-pagination="False"> Sentenza contro l’aborto in Polonia. Le femministe assaltano le chiese Ricordo che nel 2002, quando visitò la Polonia per l'ottava e ultima volta, Giovanni Paolo II, molto anziano e già malato, fece ricorso a tutte le forze per denunciare che anche la sua patria, condizionata da «una rumorosa propaganda», stava ormai per consegnarsi a un concetto distorto di libertà, privo di verità e responsabilità. Una denuncia, quella di papa Wojtyla, che mi è tornata alla mente vedendo ciò che sta succedendo in Polonia in questi giorni, con masse di giovani polacchi nati nella libertà, non sotto il giogo comunista, che sono scesi in piazza per manifestare contro la sentenza con la quale il 22 ottobre (proprio nel giorno in cui la Chiesa fa memoria di San Giovanni Paolo II) la Corte costituzionale polacca ha dichiarato incostituzionale l'aborto in caso di possibile malattia o malformazioni del nascituro, il cosiddetto «aborto eugenetico». La presidente dell'Alta Corte, Julia Przylebska, ha infatti spiegato che la legge del 1993, che proibiva l'aborto salvo in caso di elevata probabilità di deterioramento irreversibile o di malattia incurabile, è «incompatibile» con la Costituzione polacca perché viola i diritti umani costituzionalmente protetti. In Polonia l'aborto resta consentito in caso di gravidanza derivata da stupro o incesto e in caso di pericolo per la vita della madre, ma ai manifestanti questo non basta e parlano di violazione di un «diritto». Sebbene la decisione sia stata presa da un organo della giustizia, nel mirino c'è il governo e c'è anche la Chiesa, colpevole di aver commentato favorevolmente la sentenza dell'Alta Corte. La protesta ha assunto toni molto aspri, con chiese profanate e messe interrotte dai manifestanti. Poi c'è stato lo strajk kobiet, lo sciopero generale delle donne sia nel settore privato sia in quello pubblico. Subito dopo la sentenza, il presidente della Conferenza episcopale polacca, monsignor Stanislaw Gadecki, ha dichiarato che il concetto di «vita non degna di essere vissuta» apre alla discriminazione e contraddice il principio di uno Stato democratico governato dalla legge. Parole che hanno scatenato la dura reazione della sinistra, dei cosiddetti gruppi pro choice e dell'arcipelago femminista. Gli attacchi alle chiese mettono in luce una Polonia per ora minoritaria ma caratterizzata da una intolleranza feroce. Le sante messe sono state interrotte da esaltati che hanno pronunciato oscenità e insulti. Monumenti sacri sono stati vandalizzati, un prete è stato aggredito. Un giovane è finito all'ospedale, colpito duramente perché stava difendendo una statua di San Giovanni Paolo II. In un sobborgo di Varsavia una statua di papa Wojtyla è stata vandalizzata da ignoti che hanno dipinto di rosso le mani del Pontefice santo, e durante una manifestazione di protesta pro aborto alcune donne hanno mostrato una pozza di sangue ai piedi di un'altra statua del Papa polacco. Un'attivista pro vita, Kaja Godek, artefice del progetto Stop Abortion, ha chiesto la protezione della polizia dopo che gli attivisti pro aborto hanno reso pubblico il suo indirizzo, il telefono e la mail, con conseguenti minacce e atti vandalici contro la sua abitazione. Anche i dati personali del giudice Krystyna Pawlowicz, di Bartlomiej Wróblewski, deputato del partito Diritto e Giustizia, e del presidente dell'associazione March of Independence, Robert Bakiewicz, sono stati resi pubblici. Giorni fa c'è stata una protesta davanti alla casa del giudice Pawlowicz. Tutti atti intimidatori. La protesta a base di vandalismi e attacchi alle statue è affine a quelle che abbiamo visto negli Stati Uniti. Obiettivo dei facinorosi non è solo contestare un provvedimento legislativo, ma è la storia, la memoria, l'identità stessa di un popolo e di una nazione. Già nel 1991, in visita ai suoi connazionali, papa Wojtyla, che vedeva avanzare a grandi passi un'idea di libertà travisata e immiserita, disse che «occorre essere rettamente educati prima che la libertà sia concessa. È necessaria una libertà matura, non un mito di libertà che in realtà schiavizza e degrada». E ancora: «Dio è stato allontanato sotto pretesto della neutralità ideologica. Nei tempi cosiddetti moderni Cristo quale artefice dello spirito europeo è stato messo tra parentesi... Viviamo come se Dio non esistesse». Il grande Papa vedeva lontano.
La risposta alla scoppiettante Atreju è stata una grigia assemblea piddina
Il tema di quest’anno, Angeli e Demoni, ha guidato il percorso visivo e narrativo dell’evento. Il manifesto ufficiale, firmato dal torinese Antonio Lapone, omaggia la Torino magica ed esoterica e il fumetto franco-belga. Nel visual, una cosplayer attraversa il confine tra luce e oscurità, tra bene e male, tra simboli antichi e cultura pop moderna, sfogliando un fumetto da cui si sprigiona luce bianca: un ponte tra tradizione e innovazione, tra arte e narrazione.
Fumettisti e illustratori sono stati il cuore pulsante dell’Oval: oltre 40 autori, tra cui il cinese Liang Azha e Lorenzo Pastrovicchio della scuderia Disney, hanno accolto il pubblico tra sketch e disegni personalizzati, conferenze e presentazioni. Primo Nero, fenomeno virale del web con oltre 400.000 follower, ha presentato il suo debutto editoriale con L’Inkredibile Primo Nero Show, mentre Sbam! e altre case editrici hanno ospitato esposizioni, reading e performance di autori come Giorgio Sommacal, Claudio Taurisano e Vince Ricotta, che ha anche suonato dal vivo.
Il cosplay ha confermato la sua centralità: più di 120 partecipanti si sono sfidati nella tappa italiana del Nordic Cosplay Championship, con Carlo Visintini vincitore e qualificato per la finale in Svezia. Parallelamente, il propmaking ha permesso di scoprire il lavoro artigianale dietro armi, elmi e oggetti scenici, rivelando la complessità della costruzione dei personaggi.
La musica ha attraversato generazioni e stili. La Battle of the Bands ha offerto uno spazio alle band emergenti, mentre le icone delle sigle tv, Giorgio Vanni e Cristina D’Avena, hanno trasformato l’Oval in un grande palco popolare, richiamando migliaia di fan. Non è mancato il K-pop, con workshop, esibizioni e karaoke coreano, che ha coinvolto i più giovani in una dimensione interattiva e partecipativa. La manifestazione ha integrato anche dimensioni educative e culturali. Il Dipartimento di Matematica dell’Università di Torino ha esplorato il ruolo della matematica nei fumetti, mostrando come concetti scientifici possano dialogare con la narrazione visiva. Lo chef Carlo Mele, alias Ojisan, ha illustrato la relazione tra cibo e animazione giapponese, trasformando piatti iconici degli anime in esperienze reali. Il pubblico ha potuto immergersi nella magia del Villaggio di Natale, quest’anno allestito nella Casa del Grinch, tra laboratori creativi, truccabimbi e la Christmas Elf Dance, mentre l’area games e l’area videogames hanno offerto tornei, postazioni libere e spazi dedicati a giochi indipendenti, modellismo e miniature, garantendo una partecipazione attiva e immersiva a tutte le età.
Con 28.000 visitatori in due giorni, Xmas Comics & Games conferma la propria crescita come festival della cultura pop, capace di unire creatività, spettacolo e narrazione, senza dimenticare la componente sociale e educativa. Tra fumetti, cosplay, musica e gioco, Torino è diventata il punto d’incontro per chi vuole vivere in prima persona il racconto pop contemporaneo, dove ogni linguaggio si intreccia e dialoga con gli altri, trasformando la fiera in una grande esperienza culturale condivisa.
Continua a leggereRiduci
i,Hamza Abdi Barre (Getty Images)
La Somalia è intrappolata in una spirale di instabilità sempre più profonda: un’insurrezione jihadista in crescita, un apparato di sicurezza inefficiente, una leadership politica divisa e la competizione tra potenze vicine che alimenta rivalità interne. Il controllo effettivo del governo federale si riduce ormai alla capitale e a poche località satelliti, una sorta di isola amministrativa circondata da gruppi armati e clan in competizione. L’esercito nazionale, logorato, frammentato e privo di una catena di comando solida, non è in grado di garantire la sicurezza nemmeno sulle principali rotte commerciali che costeggiano il Paese. In queste condizioni, il collasso dell’autorità centrale e la caduta di Mogadiscio nelle mani di gruppi ostili rappresentano scenari sempre meno remoti, con ripercussioni dirette sulla navigazione internazionale e sulla sicurezza regionale.
La pirateria somala, un tempo contenuta da pattugliamenti congiunti e operazioni navali multilaterali, è oggi alimentata anche dal radicamento di milizie jihadiste che controllano vaste aree dell’entroterra. Questi gruppi, dopo anni di scontri contro il governo federale e di brevi avanzate respinte con l’aiuto delle forze speciali straniere, hanno recuperato terreno e consolidato le proprie basi logistiche proprio lungo i corridoi costieri. Da qui hanno intensificato sequestri, assalti e sabotaggi, colpendo infrastrutture critiche e perfino centri governativi di intelligence. L’attacco del 2025 contro una sede dei servizi somali, che portò alla liberazione di decine di detenuti, diede il segnale dell’audacia crescente di questi movimenti.
Le debolezze dell’apparato statale restano uno dei fattori decisivi. Nonostante due decenni di aiuti, investimenti e programmi di addestramento militare, le forze somale non riescono a condurre operazioni continuative contro reti criminali e gruppi jihadisti. Il consumo interno di risorse, la corruzione diffusa, i legami di fedeltà clanici e la dipendenza dall’Agenzia dell’Unione africana per il supporto alla sicurezza hanno sgretolato ogni tentativo di riforma. Nel frattempo, l’interferenza politica nella gestione della missione internazionale ha sfiancato i donatori, ridotto il coordinamento e lasciato presagire un imminente disimpegno. A questo si aggiungono le tensioni istituzionali: modifiche costituzionali controverse, una mappa federale contestata e tentativi percepiti come manovre per prolungare la permanenza al potere della leadership attuale hanno spaccato la classe politica e paralizzato qualsiasi risposta comune alla minaccia emergente. Mentre i vertici si dividono, le bande armate osservano, consolidano il controllo del territorio e preparano nuovi colpi contro la navigazione e le città costiere. Sul piano internazionale cresce il numero di governi che, temendo un collasso definitivo del sistema federale, sondano discretamente la possibilità di una trattativa con i gruppi armati. Ma l’ipotesi di una Mogadiscio conquistata da milizie che già controllano ampie aree della costa solleva timori concreti: un ritorno alla pirateria sistemica, attacchi oltre confine e una spirale di conflitti locali che coinvolgerebbe l’intero Corno d’Africa.
Continua a leggereRiduci
Il presidente eletto del Cile José Antonio Kast e sua moglie Maria Pia Adriasola (Ansa)
Un elemento significativo di queste elezioni presidenziali è stata l’elevata affluenza alle urne, che si è rivelata in aumento del 38% rispetto al 2021. Quelle di ieri sono infatti state le prime elezioni tenute dopo che, nel 2022, è stato introdotto il voto obbligatorio. La vittoria di Kast ha fatto da contraltare alla crisi della sinistra cilena. Il presidente uscente, Gabriel Boric, aveva vinto quattro anni fa, facendo leva soprattutto sull’impopolarità dell’amministrazione di centrodestra, guidata da Sebastián Piñera. Tuttavia, a partire dal 2023, gli indici di gradimento di Boric sono iniziati a crollare. E questo ha danneggiato senza dubbio la Jara, che è stata ministro del Lavoro fino allo scorso aprile. Certo, Kast si accinge a governare a fronte di un Congresso diviso: il che potrebbe rappresentare un problema per alcune delle sue proposte più incisive. Resta tuttavia il fatto che la sua vittoria ha avuto dei numeri assai significativi.
«La vittoria di Kast in Cile segue una serie di elezioni in America Latina che negli ultimi anni hanno spostato la regione verso destra, tra cui quelle in Argentina, Ecuador, Costa Rica ed El Salvador», ha riferito la Bbc. Lo spostamento a destra dell’America Latina è una buona notizia per la Casa Bianca. Ricordiamo che, alcuni giorni fa, Washington a pubblicato la sua nuova strategia di sicurezza nazionale: un documento alla cui base si registra il rilancio della Dottrina Monroe. Per Trump, l’obiettivo, da questo punto di vista, è duplice. Innanzitutto, punta a contrastare il fenomeno dell’immigrazione irregolare. In secondo luogo, mira ad arginare l’influenza geopolitica della Cina sull’Emisfero occidentale. Vale a tal proposito la pena di ricordare che Boric, negli ultimi anni, ha notevolmente avvicinato Santiago a Pechino. Una linea che, di certo, a Washington non è stata apprezzata.
Continua a leggereRiduci