2020-11-03
Il Vaticano: sulle unioni gay non cambia nulla
La Segreteria di Stato prova a chiudere lo scandalo causato dal via libera del Papa alla tutela delle coppie omo inserito nel docufilm «Francesco». «Nessuna novità dottrinale», si legge nella nota ai nunzi. Ma resta il contrasto con gli atti del Sant'Uffizio di Joseph Ratzinger.Sentenza contro l'aborto in Polonia. Le femministe assaltano le chiese. La protesta conferma il monito di Karol Wojtyla sulla violenza di una libertà senza verità.Lo speciale contiene due articoli.Dopo alcune settimane di mistero e di interpretazioni, si scopre che la Segreteria di Stato vaticana ha fatto arrivare ai nunzi apostolici in giro per il mondo una nota di commento alle parole di papa Francesco presenti nel docufilm a lui dedicato dal regista russo Evgeny Afineevsky. Lo scopo, si legge nella nota pubblicata integralmente su Facebook dal nunzio in Messico Franco Coppola, vuole offrire «alcuni elementi utili, nel desiderio di favorire, per Sua (di papa Francesco, ndr) disposizione, un'adeguata comprensione delle parole del Santo Padre».Il fatto, su cui finora i media vaticani hanno calato solo un silenzio tombale, riguarda il passaggio in cui Francesco dice della necessità per le persone omosessuali di avere «una legge sulle unioni civili (ley de convivenci civil, ndr). In questo modo sono coperti legalmente». E aggiunge: «Mi sono battuto per questo». Tale affermazione appare in discontinuità con quanto espresso nella nota della Congregazione per la dottrina della fede del 2003 a firma del cardinale Joseph Ratzinger e approvata da papa Giovanni Paolo II. In quel documento si indica che non può esserci una equiparazione del matrimonio tra uomo e donna alle unioni tra persone dello stesso sesso, inoltre dal punto di vista dell'antropologia cristiana nemmeno si può approvare il «riconoscimento legale delle unioni omosessuali». La nota diffusa dalla Segreteria di Stato prova quindi a spiegare il montaggio che il regista del docufilm ha fatto estrapolando alcune risposte che il Papa aveva dato in un'intervista del 2019 alla vaticanista messicana Valentina Alazraky. I momenti che risalgono a quell'intervista, si legge nella nota, sono due, il primo riguarda le affermazioni di Francesco circa la «necessità che, all'interno della famiglia, il figlio o la figlia con orientamento omosessuale non siano mai discriminati». In questo caso la Segreteria di Stato cita un paragrafo della esortazione apostolica Amoris laetitia, il n. 250, e sostanzialmente nulla quaestio. Il secondo passaggio, invece, riguarda appunto la frase su cui finora nessuna spiegazione era stata data. Il riferimento, rivela finalmente la nota, è a una domanda della vaticanista Alazraky «inerente a una legge locale di dieci anni fa in Argentina sui “matrimoni egualitari di coppie dello stesso sesso" e l'opposizione dell'allora arcivescovo di Buenos Aires al riguardo». Francesco risponde che «è un'incongruenza parlare di matrimonio omosessuale aggiungendo che, in tale preciso contesto, aveva parlato del diritto di queste persone ad avere delle coperture legali: “Quello che dobbiamo fare è una legge di convivenza civile; hanno diritto di essere coperti legalmente. Io ho difeso questo"». Siamo quindi alla famigerata frase che il Pontefice pronuncia nel docufilm, accanto alla quale la nota della Segreteria di Stato, probabilmente nel tentativo di trovare una quadra, affianca un'altra dichiarazione che Francesco ha fatto nel 2014 al Corriere della Sera: «Il matrimonio è fra un uomo e una donna. Gli Stati laici vogliono giustificare le unioni civili per regolare diverse situazioni di convivenza, spinti dall'esigenza di regolare aspetti economici fra le persone, come ad esempio assicurare l'assistenza sanitaria. Si tratta di patti di convivenza di varia natura, di cui non saprei elencare le diverse forme. Bisogna vedere i diversi casi e valutarli nella loro varietà». Quindi, conclude la Segreteria di Stato, «è pertanto evidente che papa Francesco si sia riferito a determinate disposizioni statali, non certo alla dottrina della Chiesa, numerose volte ribadita nel corso degli anni». Insomma, come già avevano avvertito fin da subito gli interpreti del pontificato, padre Antonio Spadaro in primis, «la dottrina non cambia».Fatto salvo il catechismo della Chiesa cattolica, restano però alcune cose per nulla chiarite. La Segreteria di Stato, infatti, non dice una parola sul perché nel 2019 quella precisa dichiarazione del Papa era stata tagliata dalla intervista mandata in onda dalla televisione messicana. Chi, e perché, ha ritenuto, invece, di dover dare al regista Afineevsky la versione integrale di quell'intervista? E poi, cosa rilevante perché trattasi sempre di magistero, resta quell'odore di discontinuità tra le affermazioni del Papa e la nota firmata da Ratzinger e approvata da Giovanni Paolo II nel 2003. Si deve forse intendere che ora, purché non si equipari al matrimonio tra uomo e donna, la Chiesa possa approvare una tutela legale che riconosca le coppie omosessuali? Peraltro, il vescovo argentino Héctor Aguer, emerito di La Plata, ha ricordato in questi giorni alla stampa internazionale che «quando era ancora arcivescovo, l'allora cardinal Bergoglio, nel corso di un'assemblea plenaria della Conferenza episcopale argentina, propose di approvare la liceità delle unioni civili delle persone omosessuali da parte dello Stato, come una possibile alternativa a quello che si chiamava - e che si chiama - matrimonio egualitario».La nota chiarificatrice, arrivata con ampio ritardo, e nel silenzio assordante del dicastero della comunicazione vaticana, da questo punto di vista sembra risolvere poco. Il problema, come ha sottolineato il cardinale Gerhard Ludwig Müller alla Verità la scorsa settimana, è che quando «i nemici della Chiesa, gli atei e gli attivisti Lgbt sono interlocutori o interpreti del successore di Pietro», il rischio di creare ambiguità è dietro l'angolo e le toppe finiscono per non riuscire a coprire del tutto il buco.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/il-vaticano-sulle-unioni-gay-non-cambia-nulla-2648602450.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="sentenza-contro-laborto-in-polonia-le-femministe-assaltano-le-chiese" data-post-id="2648602450" data-published-at="1604406033" data-use-pagination="False"> Sentenza contro l’aborto in Polonia. Le femministe assaltano le chiese Ricordo che nel 2002, quando visitò la Polonia per l'ottava e ultima volta, Giovanni Paolo II, molto anziano e già malato, fece ricorso a tutte le forze per denunciare che anche la sua patria, condizionata da «una rumorosa propaganda», stava ormai per consegnarsi a un concetto distorto di libertà, privo di verità e responsabilità. Una denuncia, quella di papa Wojtyla, che mi è tornata alla mente vedendo ciò che sta succedendo in Polonia in questi giorni, con masse di giovani polacchi nati nella libertà, non sotto il giogo comunista, che sono scesi in piazza per manifestare contro la sentenza con la quale il 22 ottobre (proprio nel giorno in cui la Chiesa fa memoria di San Giovanni Paolo II) la Corte costituzionale polacca ha dichiarato incostituzionale l'aborto in caso di possibile malattia o malformazioni del nascituro, il cosiddetto «aborto eugenetico». La presidente dell'Alta Corte, Julia Przylebska, ha infatti spiegato che la legge del 1993, che proibiva l'aborto salvo in caso di elevata probabilità di deterioramento irreversibile o di malattia incurabile, è «incompatibile» con la Costituzione polacca perché viola i diritti umani costituzionalmente protetti. In Polonia l'aborto resta consentito in caso di gravidanza derivata da stupro o incesto e in caso di pericolo per la vita della madre, ma ai manifestanti questo non basta e parlano di violazione di un «diritto». Sebbene la decisione sia stata presa da un organo della giustizia, nel mirino c'è il governo e c'è anche la Chiesa, colpevole di aver commentato favorevolmente la sentenza dell'Alta Corte. La protesta ha assunto toni molto aspri, con chiese profanate e messe interrotte dai manifestanti. Poi c'è stato lo strajk kobiet, lo sciopero generale delle donne sia nel settore privato sia in quello pubblico. Subito dopo la sentenza, il presidente della Conferenza episcopale polacca, monsignor Stanislaw Gadecki, ha dichiarato che il concetto di «vita non degna di essere vissuta» apre alla discriminazione e contraddice il principio di uno Stato democratico governato dalla legge. Parole che hanno scatenato la dura reazione della sinistra, dei cosiddetti gruppi pro choice e dell'arcipelago femminista. Gli attacchi alle chiese mettono in luce una Polonia per ora minoritaria ma caratterizzata da una intolleranza feroce. Le sante messe sono state interrotte da esaltati che hanno pronunciato oscenità e insulti. Monumenti sacri sono stati vandalizzati, un prete è stato aggredito. Un giovane è finito all'ospedale, colpito duramente perché stava difendendo una statua di San Giovanni Paolo II. In un sobborgo di Varsavia una statua di papa Wojtyla è stata vandalizzata da ignoti che hanno dipinto di rosso le mani del Pontefice santo, e durante una manifestazione di protesta pro aborto alcune donne hanno mostrato una pozza di sangue ai piedi di un'altra statua del Papa polacco. Un'attivista pro vita, Kaja Godek, artefice del progetto Stop Abortion, ha chiesto la protezione della polizia dopo che gli attivisti pro aborto hanno reso pubblico il suo indirizzo, il telefono e la mail, con conseguenti minacce e atti vandalici contro la sua abitazione. Anche i dati personali del giudice Krystyna Pawlowicz, di Bartlomiej Wróblewski, deputato del partito Diritto e Giustizia, e del presidente dell'associazione March of Independence, Robert Bakiewicz, sono stati resi pubblici. Giorni fa c'è stata una protesta davanti alla casa del giudice Pawlowicz. Tutti atti intimidatori. La protesta a base di vandalismi e attacchi alle statue è affine a quelle che abbiamo visto negli Stati Uniti. Obiettivo dei facinorosi non è solo contestare un provvedimento legislativo, ma è la storia, la memoria, l'identità stessa di un popolo e di una nazione. Già nel 1991, in visita ai suoi connazionali, papa Wojtyla, che vedeva avanzare a grandi passi un'idea di libertà travisata e immiserita, disse che «occorre essere rettamente educati prima che la libertà sia concessa. È necessaria una libertà matura, non un mito di libertà che in realtà schiavizza e degrada». E ancora: «Dio è stato allontanato sotto pretesto della neutralità ideologica. Nei tempi cosiddetti moderni Cristo quale artefice dello spirito europeo è stato messo tra parentesi... Viviamo come se Dio non esistesse». Il grande Papa vedeva lontano.
«Murdaugh: Morte in famiglia» (Disney+)
In Murdaugh: Morte in famiglia, Patricia Arquette guida il racconto di una saga reale di potere e tragedia. La serie Disney+ ricostruisce il crollo della famiglia che per generazioni ha dominato la giustizia nel Sud Carolina, fino all’omicidio e al processo mediatico.