2020-11-11
Il trucco per punire chi si oppone al gender
Il pdl Zan sulla omotransfobia è peggiore della precedente proposta di legge presentata nel 2013 da Ivan Scalfarotto perché, sebbene l'articolo 4 finga di tutelare la libertà di opinione, nei fatti colpisce ogni condotta astrattamente definita come «discriminatoria».C'è una caramella avvelenata nel pacco-dono contenente il testo definitivo del progetto di legge sulla «omotransfobia», quale approvato dalla Camera nei giorni scorsi ed attualmente all'esame del Senato. Si tratta dell'art. 4, il quale stabilisce che: «Ai fini della presente legge, sono fatte salve la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte, purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti». La finalità di tale disposizione è, con ogni evidenza, quella di far credere che con essa sia scongiurato il pericolo, da molti paventato, di una criminalizzazione di atteggiamenti e comportamenti che, in realtà, dovrebbero essere considerati come legittima estrinsecazione dei diritti di libertà garantiti dalla Costituzione ma che potrebbero tuttavia, in mancanza di quella stessa disposizione, essere perseguiti penalmente in quanto costituenti atti di «discriminazione» o di «istigazione alla discriminazione», come tali punibili ai sensi dell'art. 604 bis del codice penale.Ma si tratta di un inganno, e ci vuol poco a rendersene conto. Una volta stabilito, infatti, che costituisce reato la «discriminazione» o la «istigazione alla discriminazione», escludere la rilevanza penale di determinati comportamenti (come si fa con la disposizione in questione) solo a condizione che essi non diano luogo neppure al «pericolo» della discriminazione stessa equivale, né più e né meno, che a confermare la loro punibilità, facendo, in sostanza, rientrare dalla finestra ciò che, formalmente, si fa uscire dalla porta. Il «discriminare» o l'«istigare alla discriminazione», quale che sia il contenuto da attribuire a tali espressioni, resta quindi assoggettabile, in ogni caso, a sanzione penale. Ciò rappresenta addirittura un peggioramento rispetto all'originaria proposta di legge a firma Ivan Scalfarotto ed altri, nel testo approvato dalla Camera nel corso della precedente legislatura e, precisamente, il 19 settembre 2013. In esso, infatti, all'art. 1, comma 1, lett. c), si stabiliva che: «Ai sensi della presente legge, non costituiscono discriminazione, né istigazione alla discriminazione, la libera espressione e manifestazione di convincimenti od opinioni riconducibili al pluralismo delle idee, purché non istighino all'odio o alla violenza, né le condotte conformi al diritto vigente ovvero anche se assunte all'interno di organizzazioni che svolgono attività di natura politica, sindacale, culturale, sanitaria, di istruzione ovvero di religione o di culto, relative all'attuazione dei princìpi e dei valori di rilevanza costituzionale che connotano tali organizzazioni». Appare evidente, nel raffronto tra questo testo e quello dell'art. 4 del progetto attualmente all'esame del Senato, che il primo, a differenza del secondo, pur lasciando aperti molti ed inquietanti interrogativi circa l'individuazione, in concreto, delle condizioni previste per la sua operatività, garantiva però che, una volta riscontrata comunque l'esistenza di tali condizioni, sarebbe stata automaticamente esclusa la configurabilità di una «discriminazione» o di una «istigazione alla discriminazione» e, quindi, anche la possibilità che si fosse in presenza di una condotta costituente reato. Tanto per fare un esempio, stando alla formulazione del testo approvato nel 2013, il direttore di una scuola privata avrebbe potuto nutrire il ragionevole convincimento di non commettere reato nel rifiutare l'assunzione, come insegnante, di un soggetto dichiaratamente ed ostentatamente dedito a pratiche omosessuali, ove avesse ritenuto che una tale scelta di vita fosse in contrasto con gli indirizzi educativi della stessa scuola, quali individuati nell'ambito del diritto che l'art. 33, comma terzo, della Costituzione, attribuisce ad enti e privati di «istituire scuole e istituti di educazione senza oneri per lo Stato». Lo stesso non potrebbe dirsi, però, sulla base di quanto ora prevede l'art. 4 del progetto licenziato dalla Camera, dal momento che quell'eventuale rifiuto di assunzione, siccome effettivamente costituente, sotto un profilo meramente oggettivo, una «discriminazione», darebbe comunque luogo, per ciò solo, a responsabilità penale. Da qui si vede chiaramente come i promotori della legge in questione abbiano voluto rendere penalmente perseguibile ogni condotta astrattamente qualificabile come «discriminatoria» eliminando, senza darlo a vedere, anche la più remota possibilità che essa potesse trovare giustificazione sulla base dei diritti di libertà formalmente garantiti dalla Costituzione; e ciò mediante il truffaldino espediente costituito, come si è visto, dall'inserimento, nel progetto, dell'art. 4, nel testo sopra riportato. Il trucco, però, c'è e si vede. Rimane solo da sperare, quindi, che, nell'aula del Senato, qualcuno se ne accorga. Pietro DubolinoPres. di sez. a riposo della Corte di cassazione