2025-11-24
Dalle favelas all’Europa. L’espansione dell’impero dei narcos brasiliani
La maxi retata nelle favelas di rio de Janeiro del novembre 2025 (Ansa)
Alcune cellule del famigerato Comando Vermelho sono operative in Portogallo. In tre anni il flusso di cocaina verso il Vecchio continente è cresciuto del 35%.I porti di Paesi come Sierra Leone, Senegal e Gambia sono sempre più cruciali per il passaggio della droga.L’esperto Antonio Nicaso: «L’uso sempre più sistematico di società di facciata e paradisi fiscali segna una discontinuità. Le autorità non hanno molto tempo per contenere questi sviluppi».Lo speciale contiene tre articoli.Il procuratore generale di Rio de Janeiro, Antonio José Campos Moreira, ha ufficializzato una notizia che gli apparati di sicurezza europei temevano da tempo: il Comando Vermelho (CV), la più longeva e temuta organizzazione criminale brasiliana, ha già iniziato a mettere radici nel continente europeo. In un’intervista concessa all’agenzia Lusa, il magistrato ha confermato che cellule legate al gruppo sono operative in Portogallo e coinvolte nel traffico di cocaina e nel riciclaggio di denaro. La presenza è definita ancora «embrionale», ma concreta e strutturata, ed è il primo riconoscimento istituzionale dell’espansione del CV oltre l’Atlantico. L’organizzazione, nata nelle carceri di Rio alla fine degli anni Settanta dalla collaborazione tra prigionieri politici e criminali comuni, è diventata negli anni un impero criminale capace di controllare interi territori nelle favelas, gestire rotte internazionali, corrompere funzionari e mantenere una struttura paramilitare autonoma. Dopo essersi consolidata in Brasile e aver esteso i propri tentacoli in Paraguay, Bolivia, Venezuela e altri Paesi latinoamericani, ora punta al mercato europeo della droga, dominato da decenni dalla ’ndrangheta calabrese. Secondo gli investigatori, il Portogallo è stato scelto come primo hub europeo per tre motivi principali: condivisione della lingua, presenza di una vasta diaspora brasiliana e ruolo strategico dei porti atlantici. Gli scali di Lisbona, Setúbal e Leixões – già indicati dal Wall Street Journal come una delle principali porte d’ingresso della cocaina sudamericana nell’Ue – vengono usati come punti di sbarco per carichi nascosti in container commerciali. Il Comando Vermelho nasce negli anni Settanta nel carcere di Ilha Grande, Rio de Janeiro, dall’alleanza tra detenuti comuni e militanti politici di sinistra. Da questa fusione prende forma una struttura criminale organizzata, basata su solidarietà interna e gerarchia. Negli anni Ottanta il CV conquista le favelas di Rio, imponendosi nel traffico di droga e diventando un attore chiave nella criminalità urbana brasiliana. Nel tempo ha affrontato scissioni e guerre con altre fazioni, come il Primeiro Comando da Capital (PCC). Dagli anni 2010, il CV ha esteso le sue attività a livello internazionale, soprattutto nel narcotraffico, e oggi resta uno dei gruppi criminali più potenti e violenti del Brasile, con ramificazioni transnazionali.In Portogallo il Comando Vermelho avrebbe iniziato a servirsi di imprenditori apparentemente insospettabili, cittadini con doppia nazionalità e società di facciata per movimentare fondi e merci, replicando lo stesso modello già sperimentato in Sud America. La penetrazione non si limita al traffico di stupefacenti: secondo fonti investigative, in alcune zone di Lisbona, Porto e Algarve si stanno verificando episodi di violenza armata, minacce e regolamenti di conti interni alla comunità brasiliana, con dinamiche analoghe a quelle delle favelas. Giovani appena arrivati dal Brasile vengono reclutati come manodopera criminale, e si stanno riproducendo gli stessi linguaggi, le stesse gerarchie e persino i riti simbolici del CV. Ciò che preoccupa maggiormente le autorità europee è il possibile asse con la ’ndrangheta, storicamente leader del narcotraffico nel continente. Gli analisti non escludono la formazione di un nuovo cartello internazionale in cui mafia calabrese, CV e reti africane collaborano, dividono i profitti e condividono servizi logistici, finanziari e militari. Una parte cruciale della strategia espansionistica del Comando Vermelho passa infatti dall’Africa occidentale. Paesi come Guinea-Bissau, Senegal e Costa d’Avorio sono diventati piattaforme logistiche dove la cocaina viene frazionata, ripulita, stoccata e reinstradata verso l’Europa attraverso imbarcazioni di piccolo cabotaggio, container spezzettati, flotte di pescherecci o voli commerciali. In queste aree la presenza dello Stato è debole, i porti sono permeabili alla corruzione e i gruppi armati locali fungono da intermediari ricevendo una parte dei carichi come compensazione. Secondo dati Unodc, il flusso di cocaina dall’Atlantico verso l’Europa è aumentato del 35% in tre anni e il Brasile è oggi il principale Paese di partenza, con oltre 200 tonnellate sequestrate nel solo 2024. Il CV non agisce con una struttura piramidale ma attraverso cellule semi-indipendenti che rispondono alla leadership di Rio solo per le decisioni strategiche, rendendo difficile colpire il comando centrale e impedendo lo smantellamento completo della rete. L’aspetto più allarmante, sottolinea il procuratore Moreira, è la capacità dell’organizzazione di infiltrarsi nel sistema economico legale. I proventi del narcotraffico vengono reinvestiti in immobili, ristorazione, turismo, attività commerciali e circuiti di import-export. In Portogallo sono stati già identificati investimenti immobiliari sospetti privi di tracciabilità economica plausibile, soprattutto nelle aree di Lisbona e Algarve, dove affluiscono capitali provenienti da società offshore gestite da emissari brasiliani. Il magistrato avverte che l’Europa ha ancora margini per intervenire, ma che il tempo a disposizione è limitato: se non verrà attivata subito una cooperazione giudiziaria e investigativa con Brasile ed Europol, il CV potrebbe consolidarsi e replicare nel Vecchio Continente lo stesso modello che ha imposto in Brasile. La minaccia non riguarda solo il Comando Vermelho. Nel giugno scorso, la Procura di San Paolo ha rivelato che il Portogallo è anche il Paese europeo con il maggior numero di affiliati al PCC – Primeiro Comando da Capital –, considerato il gruppo criminale più potente del Brasile e storico rivale del CV. Un’inchiesta del Jornal de Notícias ha documentato che 87 membri del PCC risiedono stabilmente in Portogallo, 29 dei quali infiltrati nelle carceri locali, luogo privilegiato di reclutamento e radicalizzazione. Tra gli esponenti più noti figura André de Oliveira Macedo, alias André do Rap, uno dei boss più influenti del PCC, rimasto nascosto in territorio portoghese per oltre un anno prima di fuggire di nuovo. Con CV e PCC già presenti in Europa e con le mafie italiane ancora dominanti nella distribuzione della cocaina, lo scenario più temuto è la nascita di un blocco criminale transatlantico basato su logistica condivisa, utilizzo di criptovalute, corruzione sistemica, riciclaggio avanzato e mercati paralleli. Non si tratterebbe più di cartelli nazionali che competono, ma di una rete globale in grado di garantire approvvigionamento, protezione armata, copertura finanziaria e infiltrazione economica. Se il Comando Vermelho riuscirà a consolidare la sua presenza in Europa, non si limiterà a esportare droga ma trasferirà metodo, governance criminale e capacità organizzativa. Dalle celle del carcere di Ilha Grande ai porti dell’Atlantico, passando per le coste dell’Africa occidentale e le banche europee, il gruppo sta completando il percorso che lo trasforma da gang brasiliana a player internazionale del crimine organizzato. E, come avverte il procuratore di Rio, la vera battaglia per fermarlo deve ancora cominciare.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/narcotraffico-brasile-europa-2674336742.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="i-clan-balcanici-controllano-lo-snodo-africano" data-post-id="2674336742" data-published-at="1763985782" data-use-pagination="False"> I clan balcanici controllano lo snodo africano Un’alleanza criminale nata nei Balcani occidentali sta assumendo un ruolo centrale nel commercio globale di cocaina, trasformandosi in un operatore logistico chiave per i cartelli sudamericani. A ricostruire l’organigramma di questo sistema è la Global Initiative Against Transnational Organized Crime (GI-TOC), secondo cui i clan balcanici acquistano direttamente dai loro fornitori brasiliani – in particolare dal poderoso Primeiro Comando da Capital (PCC) – e si occupano poi delle tratte intermedie fino alle coste africane. Non si tratta più di episodi occasionali, ma di un vero meccanismo industriale.Gli investigatori spiegano che una quota rilevante dei carichi – spesso superiori alle due o tre tonnellate – viaggia occultata fuori dai tradizionali container commerciali. Molta cocaina viene caricata negli scafi di pescherecci modificati o trasferita con piccoli natanti veloci fino alle acque territoriali dell’Africa occidentale. Una volta a terra, il prodotto viene smistato in depositi nascosti tra il Golfo di Guinea e i Paesi limitrofi, dove squadre specializzate lo suddividono e lo reimballano per le rotte successive. A sorvegliare questi punti di passaggio ci sono complici reclutati sul posto: addetti portuali corrotti, appartenenti alle forze di sicurezza e imprenditori di facciata.Secondo Saša Djordjević, uno degli analisti principali della GI-TOC, la forza di questi sodalizi non sta nella violenza, ma nella capacità di mimetizzarsi: «Utilizzano intermediari per garantire l’accesso, le protezioni politiche e il collegamento con i cartelli, riducendo così i rischi e lasciando poche tracce». Quella degli intermediari è diventata la firma dei trafficanti ex jugoslavi: strutture flessibili, modulari, che possono essere smontate e ricostruite rapidamente, sempre un passo avanti rispetto alle autorità. L’Africa, per anni semplice zona di passaggio, oggi è diventata il centro di gravità del traffico di cocaina diretto verso l’Europa. L’aumento record della produzione in America Latina, insieme ai controlli serrati sulle rotte dirette e all’esplosione della domanda europea, ha trasformato le coste occidentali africane nella nuova dorsale logistica dello smercio. Come sottolinea Fatjona Mejdini, responsabile dell’Osservatorio sui mercati criminali del GI-TOC, «la regione non è più solo un corridoio: è diventata una componente indispensabile della catena di approvvigionamento globale». Il dossier della Global Initiative stima che oggi circa un terzo della cocaina consumata in Europa transiti dall’Africa occidentale. Se la tendenza dovesse consolidarsi, entro cinque anni la quota potrebbe raggiungere il 50%. Dopo la sosta nei depositi costieri, la droga riparte alla volta dell’Europa su container destinati ai porti del Nord – dall’Atlantico fino ad Anversa – oppure attraverso itinerari più agili, via motoscafi veloci, fino agli arcipelaghi di Capo Verde o delle Canarie, che fungono da stazioni di rifornimento e cambio equipaggi.Al vertice operativo della rotta africana si contendono il territorio due gruppi rivali originari del Montenegro: il clan Kavač, presente in Sierra Leone, e gli Škaljari, attivi soprattutto tra Senegal e Gambia. Entrambi lavorano fianco a fianco con il PCC e con la ’ndrangheta, che da oltre vent’anni rappresenta l’intermediario privilegiato per il mercato europeo. Questa espansione criminale è favorita dalla debolezza strutturale degli Stati coinvolti: porti in crescita ma senza controlli adeguati, traffici marittimi intensificati, forze di polizia a corto di mezzi e governi facilmente infiltrabili. Il risultato è una rotta sempre più redditizia e difficile da intercettare. La nuova «“autostrada della coca» passa dall’Africa, e rischia di diventare irreversibile se non verrà fermata adesso. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/narcotraffico-brasile-europa-2674336742.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="con-la-ndrangheta-ce-gia-un-rapporto-di-cooperazione" data-post-id="2674336742" data-published-at="1763985782" data-use-pagination="False"> «Con la ’ndrangheta c’è già un rapporto di cooperazione» Antonio Nicaso docente universitario e saggista è tra massimi esperti internazionali di mafie e narcotraffico.Quali sono gli indicatori concreti che confermano la presenza del Comando Vermelho in Portogallo e, più in generale, in Europa?«È stato il procuratore generale dello Stato di Rio de Janeiro, Campos Moreira a fare riferimento alla presenza di affiliati al CV in Portogallo, annunciando un protocollo di cooperazione con la magistratura portoghese per monitorare questo fenomeno emergente. Sul piano europeo, gli indicatori più concreti derivano dal mercato della cocaina. Ci sono almeno tre rotte che coinvolgono il Portogallo. Le prime due passano accanto ai due arcipelaghi portoghesi nell’Oceano Atlantico, dove molte imbarcazioni fanno scalo: le Azzorre e Madeira. La terza rotta corre lungo la costa dell’Africa occidentale e comprende Paesi con cui il Portogallo ha affinità storiche, come Capo Verde e Guinea-Bissau. Cambiano anche le modalità di trasporto. Quest’anno, il Portogallo ha intercettato un narco-sommergibile con 1,7 tonnellate di cocaina diretto verso le proprie coste. A questo si aggiungono indagini francesi che collegano casi di omicidi, rapine e traffici all’influenza del CV, individuando reti dormienti attive soprattutto tra Francia continentale e Guyana francese».Il CV potrebbe davvero costruire un’alleanza stabile con la ’ndrangheta?«La ‘ndrangheta ha avuto sempre rapporti con il PCC, anche se recentemente, alcuni collaboratori di giustizia hanno fatto riferimento a contatti operativi tra broker della mafia calabrese ed esponenti del CV. Non parlerei però di alleanze, ma di cooperazione funzionale basata sul mutuo interesse, ovvero un rapporto fluido, dinamico, pragmatico, destinato a modificarsi a seconda delle rotte, della pressione investigativa e degli equilibri interni alle due organizzazioni».In che modo l’utilizzo di società di facciata, logistica portuale e paradisi fiscali sta cambiando le strategie del narcotraffico brasiliano?«Recentemente, alcune indagini come quella denominata Carbono Oculto hanno messo in evidenza la capacità del PCC di gestire fondi di investimento e di utilizzare strutture fintech come sportelli bancari. L’utilizzo sempre più sistematico di società di facciata, infrastrutture logistiche portuali e paradisi fiscali sta trasformando profondamente le strategie del narcotraffico brasiliano, segnando una netta discontinuità rispetto alle modalità del passato».Le comunità brasiliane in Europa rischiano di essere infiltrate o usate come copertura? Quali segnali devono allarmare i servizi di sicurezza?«Le “mele marce” esistono ovunque, e il compito dei servizi di sicurezza è individuare comportamenti sospetti, non colpire identità collettive. La prevenzione passa proprio da questo equilibrio tra attenzione operativa e rifiuto delle generalizzazioni. I segnali da monitorare non riguardano le comunità in quanto tali, bensì comportamenti specifici: movimenti finanziari anomali legati a società appena create; traffici frequenti e inspiegabili verso aree sensibili del narcotraffico; la presenza di soggetti con precedenti rilevanti per reati di droga che improvvisamente ottengono residenze, visti o attività commerciali senza una chiara giustificazione economica; reti di connazionali che operano in settori a rischio – come logistica e porti – con dinamiche di forte chiusura e controllo interno».Qual è lo scenario peggiore se l’Europa non interviene subito? Parliamo di una nuova «mafia transatlantica» o di un fenomeno contenibile? «Lo scenario peggiore non sarebbe la nascita di una nuova “mafia transatlantica” nel senso tradizionale del termine, ma piuttosto il consolidamento di reti criminali ibride, capaci di unire la violenza e la flessibilità delle fazioni brasiliane con la capacità logistica e finanziaria delle mafie europee. È uno scenario indesiderabile ma non inevitabile, e oggi è ancora contenibile con interventi tempestivi. La finestra per farlo è aperta, ma non lo resterà per sempre».
Marjorie Taylor Greene e Donald Trump (Ansa)
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