2019-10-05
Il tartufo dei poveri che combatte la fame
Il topinambùr, la cui radice ha un gusto che richiama quello del carciofo ed è ricca di proprietà salutari, è un ottimo ingrediente in varie preparazioni culinarie. Suore e frati dei conventi lo adottarono come cibo economico per il sostentamento dei contadini.Risolviamo, innanzitutto, il problema dell'accento, altrimenti il dubbio ci tormenterà per il resto dell'articolo: il nome della radice bernoccoluta, tutta contorsioni e protuberanze, che somiglia a un vermòne alieno, che i piemontesi usano nella tradizionale bagna cauda e si esalta nel risotto, si pronuncia topinàmbur o topinambùr? La seconda intonazione è quella giusta: topinambùr. Nome e accento nascono da un equivoco storico. La pianta arrivò in Francia all'inizio del 17° secolo contemporaneamente allo sbarco di una rappresentanza di indigeni amazzonici della tribù dei Tupinambàs. Presumendo che il vegetale provenisse dalla stessa terra di quei folcloristici e simpatici cannibali, tali si erano dichiarati, i francesi la chiamarono topinamboux e in seguito topinambour. La pianta del Nuovo mondo, dai fiori di un bel giallo intenso, però, non era originaria della regione che sarebbe diventata il Brasile, ma del Canada.Fu l'esploratore francese Samuel de Champlain, in uno dei suoi viaggi sulle coste del Nord America nel secondo decennio del '600, a scoprire che il sapore della radice di quel bel fiore giallo che gli indigeni coltivavano per scopi alimentari da tempi immemorabili, era simile a quello del carciofo. Champlain inviò in Francia le prime pianticelle che incontrarono il favore della gente. Marc Lescarbot, suo collega di esplorazioni, ne aumentò la simpatia descrivendo i topinambùr come una sorta di rape o tartufi «che si potevano mangiare come le bietole, ma più piacevoli di queste». Le piantine si adattarono talmente bene al clima e al suolo europei da moltiplicarsi rapidamente. Verso la metà del '600, il topinambùr era diventato un ortaggio comune, non solo per gli uomini, ma anche per l'alimentazione del bestiame. La pianta arrivata dall'America del nord si può ammirare in tutto il suo splendore proprio nella stagione - questa - che va dalla fine dell'estate all'inizio dell'autunno. Prospera ai margini delle capezzagne, lungo i sentieri di collina e montagna, sulle rive di fiumi e fossati. Impossibile confonderla con altre: slanciata, con agili steli alti fino a due metri e oltre, fiore a capolino con i petali gialli come gli scuolabus, somiglia a una margheritona watussa o a un girasole. Il nome scientifico (e la famiglia, asteraceae) l'apparenta a quest'ultimo richiamando il sole: Helianthus tuberosus. Helianthus annuus è il girasole. Helianthus è la somma di due parole greche, hélios, sole, e ánthos, fiore. È la carta d'identità rilasciatagli da Carlo Linneo, il padre della classificazione scientifica: «Fiore del sole».Questa pianta è tanto bella fuori quanto è racchia sottoterra. Comunque, malformata o no, a noi, in cucina, interessa la sua radice ricca di proprietà salutari, con un gusto che richiama quello del carciofo e ottimo ingrediente in varie preparazioni culinarie. Col topinambùr si preparano gustosissimi piatti. Abbiamo detto quanto sia buono nel risotto, ma lo è altrettanto saltato in padella con la pasta, lessato, fritto, in purè, crudo con olio, sale e pepe. Grattugiato sulle insalate, dona loro un tocco di sapore in più. In Piemonte, dove lo chiamano ciapinabò, è usato, come sopra abbiamo detto, per una variante della classica bagna cauda, salsa di acciughe aglio e olio extravergine d'oliva, al posto del cardo gobbo o del carciofo. Il tubero dell'Helianthus tuberosus, oltre a topinambùr, è conosciuto con molti altri nomi popolari: tartufo dei poveri, rapa tedesca, patata bastarda, pera di terra, patata del Canada, carciofo di Gerusalemme. Anche quest'ultimo curiosissimo nome è frutto di una storpiatura, questa volta operata dagli inglesi. Poiché il topinambùr nelle corti italiane del 17° secolo, per il suo sapore di carciofo, veniva chiamato «girasole articiocco» - ancora adesso in molte regioni del nord Italia il carciofo è chiamato articiocco o ciòcolo - qualche viaggiatore anglosassone lo portò in patria traducendolo, per assonanza, «Jerusalem artichoke». Carciofo di Gerusalemme, appunto. Il topinambùr incontrò, al suo arrivo in Europa, molta più fortuna della patata arrivata pressapoco nello stesso periodo. Scrive Renzo Pellati, specialista in Scienze dell'alimentazione nel libro La storia di ciò che mangiamo: «Il tubero del topinambùr, a differenza di quello della patata, fu considerato come il frutto della provvidenza: il sapore ricordava quello gustoso del carciofo, di polpa bianca, facile da raccogliere, non creava problemi di tolleranza. Di conseguenza le suore e i frati dei conventi lo adottarono come cibo economico per il sostentamento dei poveri e dei contadini».Aiutò il consenso del topinambùr a scapito della patata la convinzione che questa fosse tossica per aver avvelenato chi l'aveva mangiata con buccia e i germogli che contengono un concentrato di solanina, un alcaloide velenoso. Un botanico le imputò addirittura la colpa di provocare la lebbra. Fu un agronomo francese, Antoine Parmentier, a sdoganarla nella seconda metà del '700. In breve tempo la patata soppiantò il topinambùr sulle tavole francesi e nel resto d'Europa.Il tubero dell'Helianthus da ortaggio dimenticato sta tornando in auge in questi ultimi tempi anche se su di esso c'è ancora parecchia ignoranza e ingiusta sfiducia. La forma gibbosa tiene, poi, lontani molti potenziali consumatori convinti che bisogna fare una fatica immane per pelarlo. Il topinambùr, invece, va lavato e spazzolato ben bene, come si fa col tartufo. Nei supermercati, poi, si trova già pulito.A riportarlo sui deschi famigliari e sulle tavole dei ristoranti sono il buon sapore di carciofo, gli importanti principi salutari e la bravura di cuochi che lo usano, per dare un sapore più delicato ai piatti, al posto dei fondi di carciofo. Anche gli chef stellati contribuiscono ad accrescerne la fama: Carlo Cracco lo ha abbinato al cervo, Antonino Canavacciuolo a cioccolato e gorgonzola, Norbert Niedlerkofler lo prepara croccante e lo serve con tartare di cervo e liquirizia, Massimo Bottura nel camouflage (camuffamento) un piatto complicatissimo nella cui ricetta, oltre alla polvere di topinambùr entrano fois gras, caffè espresso, polvere di erbe aromatiche, di tartufo, di spezie, di funghi porcini e un'altra ventina di ingredienti. La ricetta è in internet, ma se qualcuno pensa di farsi il camouflage in casa o è Bottura o abbandoni l'idea e vada a mangiarselo, previo adeguato portafogli, da Bottura.Il topinambùr ha qualità salutari da vendere essendo ricco di sali minerali e fibre. Contiene magnesio, ferro, fosforo, vitamina A, C, E e vitamine del gruppo B. Ha più potassio lui della banana, che ne ha tantissimo. Ha il 20 per cento di carboidrati, ma sotto forma di inulina. Il topinambùr è consigliato nelle diete in generale perché poco calorico: 80 calorie ogni 100 grammi. È lassativo, diuretico e aiuta la digestione. Come sempre, prima di consumarne quantità industriali, è meglio chiedere al medico. Sui benefici dell'inulina, un polisaccaride, diamo ancora la parola a Renzo Pellati: «L'inulina che si trova nel topinambùr si idrolizza a fruttosio che viene assorbito più lentamente nell'organismo umano, senza sbalzi per la glicemia. Di conseguenza può essere utilizzato, a opportune dosi, anche dai diabetici. Il topinambùr migliora la funzionalità intestinale e fornisce la materia prima per la produzione di integratori nell'ambito dietetico».Il poeta Andrea Zanzotto ha elevato l'umile tubero a lirica. Nella raccolta Meteo c'è la poesia Altri topinambùr: «Entro i manipoli qua e là sparsi / dei topinambùr lungo gli argini / ogni lustro del giallo si fa intimo / all'autunnale catarsi... Dove ritroverò le mie infelicità / numerose quanto incontrollabili? / Ma ora coi topinambùr torneranno / attutite dai tocchi di altre deità».