2023-04-15
Il Tar salva l’orsa dopo gli abbagli degli uomini
Il Tribunale trentino ha graziato per la seconda volta l’animale che ha ucciso un giovane. Il caso, conseguenza di anni di sciatteria ed errori, mostra l’incapacità di relazionarsi con la natura. Che può anche essere brutale, ma la società ha il diritto di difendersi.Che si debba finire in tribunale pure per regolare i rapporti fra uomo e animale (quelli tra uomo e uomo son già da un po’ gestiti a colpi di querele) dà la misura del livello di alienazione a cui siamo giunti. Che è poi la causa vera e profonda di tutti i problemi con gli orsi che assillano da qualche giorno media e opinione pubblica. Tribunale, dunque: il Tar di Trento ha sospeso l’ordinanza di abbattimento dell’orsa Jj4 firmata l’8 aprile dal presidente della provincia autonoma di Trento, Maurizio Fugatti. Contro il provvedimento avevano presentato ricorso le associazioni animaliste Lav e Lac: i giudici l’hanno sospeso in attesa di una decisione definitiva che dovrebbe arrivare il prossimo 11 maggio. L’orsa - una volta catturata, il che non è semplice - potrebbe finire in una delle strutture che si sono rese disponibili ad accoglierla. Si potrebbe così evitare l’abbattimento dell’animale e comunque togliere dalla circolazione un esemplare che nel 2020 aveva aggredito - per difendere i piccoli, pare - una coppia di cacciatori (padre e figlio) e lo scorso 5 aprile ha aggredito e ammazzato il corridore Andrea Papi a Caldes, in val di Sole. È la seconda volta che il tribunale amministrativo grazia l’orsa, e pare che i tre anni circa trascorsi fra le due decisioni non siano stati più di tanto istruttivi. La storia di Jj4 è un concentrato di storture del nostro tempo, l’emblema dell’incapacità di stabilire una corretta relazione fra uomo e animale nella società odierna, della pretesa di controllare e manipolare ciò che in realtà sfugge al nostro controllo. Prima si decide, sulla base di un progetto europeo, di importare una decina di esemplari dalla Slovenia, più grossi dei pochi rimasti nelle valli trentine e sicuramente più pericolosi dell’orsetto marsicano che placidamente ancheggia per i paeselli abruzzesi senza causare troppi danni. Lo si fa per un misto di dirigismo ecologista e ambizione turistica, forse animati dalla convinzione che il bosco possa diventare attrazione disneyana. Solo che la natura non è funzionale allo spettacolo: non è buona e pacifica come pensano certi attivisti floreali. È anzi luogo di lotte ancestrali e brutali, crudele senza saperlo, spietata e forse immorale nel mantenimento dell’equilibrio. L’uomo sapeva che il bosco è fitto di terrori, e di minacce, e ci si gioca la vita. Ma lo ha disimparato, nonostante i suoi antenati abbiano combattuto battaglie sanguinose per sottrarsi alla tirannia della mera sopravvivenza, per addomesticare l’ambiente altrimenti ostile. Certo, la natura è madre e creatrice, ma il suo ciclo per rigenerarsi richiede sacrifici cruenti. Da un lato dunque l’idealizzazione di ciò che pacifico non è. Dall’altro lato (della stessa medaglia) la convinzione che ci si possa baloccare con le leggi del creato a piacimento, estinguendo di qua e prelevando di là, senza conseguenze. Vogliamo il verde delle fronde, ma a rischio zero. Ci piace la foresta se fa da contorno all’agriturismo o alla Spa raffinata. Al primo imprevisto, tuttavia, esplode il panico. Al solito, poi, l’arroganza ha un contorno di sciatteria. Gli orsi vengono reintrodotti, e si riproducono notevolmente. Ma non si creano corridoi faunistici per fare in modo che si spostino evitando di concentrarsi in un’unica zona. Non si fanno i cassonetti anti orso, si gestisce la sorveglianza come si gestirebbe quella di un bel parco cittadino. La sensazione è quella di una sottovalutazione del potenziale pericolo: l’immagine dell’orso che graffia, taglia e scuoia si perde nella notte dei tempi, è buona al massimo per i film con Leonardo Di Caprio, oscurata da un marea di orsetti del cuore, peluche, cartoni animati. L’orso però è sempre lo stesso, se non ci spaventa più è solo perché abbiamo tagliato il cordone che ci legava alla realtà, salvo risvegliarci all’improvviso dopo la tragedia, dopo che a fare le spese dell’incoscienza collettiva è stato un povero ragazzo incolpevole. Poi certo: l’orso è sempre l’orso ma anche l’uomo è sempre uomo. Anch’esso parte dell’ecosistema, anch’esso predatore, anch’esso giustamente brutale quando lotta per la vita (e ingiustamente quando sfrutta, distrugge e devasta). Dell’orso è uccidere, se necessario. Dell’uomo pure, se lo è altrettanto. La rimozione della violenza, della difficoltà e la cultura del rischio zero valgono in entrambi i sensi. Il passaggio al bosco è il confronto con la paura e con la morte: con la nostra e con quella altrui. Nella logica della natura rientrano egualmente il rispetto dell’animale e del suo spirito ma pure la caccia: così è il sistema della sopravvivenza. E non c’è morale che tenga. Solo che oggi si vuole moralizzare a ogni costo. S’accusa l’orsa di essere recidiva, come se si potesse rieducarla. Si dice che è «problematica», come dei bambini con certificato medico che affollano le nostre scuole. E insieme ci si scandalizza se i valligiani vogliono abbatterla, come se non avessero diritto - anche loro - a proteggere i propri cuccioli più o meno cresciuti. Dunque ci si scontra e ci si indigna, anche se tutti hanno ragione, semplicemente perché la ragione non c’è: perché l’orso fa l’orso e l’uomo fa l’uomo, lo spettacolo artificiale lascia di nuovo la scena alla danza preistorica della ferocia amorale, su cui nulla si può dire se non che funziona così, e basta. Se non fosse che ci sono di mezzo i politici, le consorterie, gli attivisti, le tv, i giornali e infine i tribunali. Forse qualcuno si deciderà a dotare gli abitanti di fischietti, a potenziare la segnaletica, a istruire turisti e residenti. O forse finirà con qualche fucilata e una deportazione correttiva della deportazione precedente. E chissà se davvero la maestosa e terribile carnivora che affollava i sogni a occhi aperti degli antichi preferisce finire i suoi giorni in un parco, «risparmiata». O se invece non riterrebbe più onorevole una morte di sangue, là nel folto del bosco, al culmine di una caccia che - per una volta - renderebbe uomo e orso di nuovo parte della stessa, selvaggia, natura.
Il giubileo Lgbt a Roma del settembre 2025 (Ansa)
Mario Venditti. Nel riquadro, da sinistra, Francesco Melosu e Antonio Scoppetta (Ansa)