2021-05-08
Il Tar fa tirare fuori i verbali a Speranza
I giudici danno ragione a Galeazzo Bignami di Fdi: i resoconti delle riunioni della task force del ministro della Salute, sinora segretati, dovranno essere consegnati entro 30 giorni. Finalmente capiremo come sono nate le scelte disastrose del precedente governo.Ora Roberto Speranza e i suoi sottoposti del ministero della Salute la verità dovranno dircela. Dovranno farci - perché lo ha appena stabilito un tribunale - sapere che cosa si sono detti nei primi giorni dell'emergenza Covid, prima di prendere decisioni che hanno condizionato per oltre un anno la vita di tutti noi. Dovranno farci sapere come mai non hanno utilizzato il piano anti pandemia. E dovranno, soprattutto, dirci su quali dati e quali analisi hanno basato affermazioni granitiche tipo «Siamo il più preparato fra i Paesi occidentali ad affrontare il virus».Ieri il Tar del Lazio ha accolto il ricorso presentato da Galeazzo Bignami, deputato di Fratelli d'Italia e dall'avvocato Silvia Marzot e ha fatto sapere che il ministero della Salute dovrà rendere pubblici i documenti della celebre task force anti Covid. «Per la seconda volta i giudici condannano il ministro Speranza e danno ragione a Fdi nella battaglia per la trasparenza condotta nell'interesse di tutti gli italiani. I verbali della task force del ministro della Salute, sinora secretati, devono essere consegnati a Bignami entro 30 giorni», dice il capogruppo di Fratelli d'Italia alla Camera, Francesco Lollobrigida. «Si tratta di documenti fondamentali, che, come affermato dallo stesso ministero, hanno condotto alla dichiarazione dello stato di emergenza del 31 gennaio 2020, determinando tutte le scelte operate dal governo nella gestione della pandemia». Per capire bene il contesto urge fare un passo indietro. Il 22 gennaio del 2020 gli italiani furono informati della costituzione di una «task force» voluta da Speranza e ricca di esperti di primo piano. «Questa mattina al ministero della Salute si è riunita, presso l'Ufficio di gabinetto, la task force con compito di coordinare ogni iniziativa relativa al fenomeno coronavirus 2019-nCoV», si leggeva nel comunicato ufficiale. «La task force a cui ha partecipato il ministro della Salute, Roberto Speranza, sarà attiva 24 ore su 24. Essa è composta dalla Direzione generale per la prevenzione, dalle altre direzioni competenti, dai carabinieri dei Nas, dall'Istituto superiore di sanità, dall'Istituto nazionale per le malattie infettive Lazzaro Spallanzani di Roma, dall'Usmaf (Uffici di sanità marittima, aerea e di frontiera), dall'Agenzia italiana del farmaco, dall'Agenas e dal consigliere diplomatico».Nel documento si leggeva pure: «Nella prima riunione è stato verificato che le strutture sanitarie competenti sono adeguatamente allertate a fronteggiare la situazione in strettissimo contatto con l'Organizzazione mondiale della sanità e il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie». Purtroppo, nel tempo abbiamo appreso che le strutture sanitarie non erano poi così pronte e che il nostro sistema sanitario non era esattamente preparato all'impatto, anzi.Ma che cosa si sono detti gli esperti di Speranza durante le riunioni della task force? Saperlo aiuterebbe a fare chiarezza sugli errori commessi nella prima fase della pandemia. Gli esponenti di Fratelli d'Italia, ormai mesi fa, si sono rivolti al ministero chiedendo di poter vedere i verbali degli incontri. «Prima non ci hanno risposto, poi abbiamo inoltrato di nuovo la richiesta segnalando che se entro 5 giorni non ci avessero mandato tutto saremmo andati in Procura», ricostruiscono da Fdi. «A quel punto si sono svegliati e il direttore delle Malattie trasmissibili e profilassi internazionali, Francesco Maraglino, ci ha detto che non aveva nulla, nessun documento». Maraglino ha poi passato la richiesta di informazioni al capo di gabinetto di Speranza. E così, dopo due settimane, finalmente è arrivata la risposta sui verbali della task force. Peccato si trattasse di una risposta incredibile.I verbali, rispondeva il ministero, non possono essere resi pubblici. E per quale motivo? Il capo di gabinetto del ministro lo spiegava: «L'attività della task force», ha scritto, «si è caratterizzata nel consistere in un tavolo di consultazione informale del ministro della Salute, tanto è vero che nemmeno sussiste un decreto ministeriale istitutivo o altro atto regolamentare [...] che ne disciplini formalmente l'attività, i tempi e modalità di procedimento». La task force, secondo il ministero, avrebbe semplicemente fornito una «attività di supporto istruttorio informale». Chiaro? La fenomenale squadra di Speranza, presentata fra squilli di tromba, si limitava a una consultazione «informale». Come se gli esperti si trovassero a far merenda.In realtà, di «informale» non c'era proprio nulla. I resoconti delle riunioni esistono, e sono ricchi di significato. Nelle carte dell'indagine che la Procura di Bergamo sta conducendo sulla gestione italiana del virus, compare ad esempio una parte del verbale della riunione della task force che si è svolta il 29 gennaio del 2020. In quell'occasione il dottor Giuseppe Ippolito dell'Istituto Spallazani era intervenuto rimarcando l'opportunità di «riferirsi alle metodologie del Piano pandemico di cui è dotata l'Italia e di adeguarle alle linee guida appena rese pubbliche dell'Oms». Esatto: Ippolito esortava a non agire a caso, ma a utilizzare il piano pandemico, magari aggiornandolo. Nessuno gli rispose, nemmeno il ministro che era presente. A dirla tutta, Speranza fece di peggio che tacere: il giorno dopo quella riunione, chiamato a riferire in Parlamento, il ministro non fece menzione dell'allarme di Ippolito: preferì citare le parole di Ranieri Guerra, secondo cui eravamo «i più preparati tra i Paesi occidentali» all'arrivo del virus. Ecco perché, come ribadisce Lollobrigida di Fdi, è fondamentale leggere i verbali della task force: perché contengono gran parte della verità su ciò che è accaduto all'inizio della pandemia, sul primo lockdown e sulle scelte prese da Speranza e soci. Non a caso il Tar spiega quanto sia importante che i documenti vengano resi pubblici, così da permettere alla cittadinanza di esercitare un'azione di controllo sull'operato delle istituzioni. Un controllo «quanto mai necessario in una situazione di così grave preoccupazione per la salute pubblica e individuale».Le riunioni erano «informali»? Per il Tar è «irrilevante». Dunque il ministero avrà 30 giorni di tempo per fornire i documenti che fino ad oggi ha tenuto nascosti. Finalmente, tutta la verità.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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Il Comune di Merano rappresentato dal sindaco Katharina Zeller ha reso omaggio ai particolari meriti letterari e culturali della poetessa, saggista e traduttrice Mary de Rachewiltz, conferendole la cittadinanza onoraria di Merano. La cerimonia si e' svolta al Pavillon des Fleurs alla presenza della centenaria, figlia di Ezra Pound.