2020-06-28
Il summit anti Covid dell’Ue è un flop. Tantissima retorica, pochi spettatori
L'evento ha raccolto 6,15 miliardi, ma 5,4 son prestiti e garanzie. Tra antirazzismo e crisi climatica, Giuseppe Conte parla tra gli ultimi.Un mix di noia, buonismo e melensa retorica. Non che ci aspettassimo granché, ma la visione del summit «Global goal: Unite for future», organizzato ieri dalla Commissione europea in collaborazione con l'Ong Global Citizen per raccogliere ulteriori fondi finalizzati alla ricerca di una cura e un vaccino contro il Covid, ha confermato i timori della vigilia. Un flop, almeno dal punto mediatico, come testimonia l'esiguo numero di spettatori presenti sui social network, attraverso i quali era possibile assistere all'evento: poche migliaia di visualizzazioni per la diretta disponibile sulle pagine social delle due istituzioni. Colpa forse delle oltre due ore all'insegna del più banale politically correct, scandite da una miriade di interventi di capi di Stato, premier, primi ministri, medici e dirigenti di organizzazioni internazionali. Tutti pressappoco sulla stessa e identica linea: abbiamo bisogno di un vaccino, ma soprattutto occorre garantire che sia accessibile a tutti, e per raggiungere questo scopo dobbiamo moltiplicare gli sforzi. Per ascoltare le parole del premier Giuseppe Conte, poche decine di secondi in un inglese stentato, abbiamo dovuto attendere circa un'ora e tre quarti. Conte ha spiegato che «se c'è una lezione da imparare dalla crisi del Covid, è il valore della solidarietà», e ci tenuto a sottolineare «il ruolo svolto sin dall'inizio in supporto dello sforzo globale per contrastare la pandemia». Tuttavia, a differenza di altri capi di governo, Giuseppi non ha promesso lo stanziamento di fondi aggiuntivi rispetto ai 381 milioni di euro già annunciati. Forse anche per questo motivo è stato il suo intervento è stato relegato tra quello del primo ministro dei Paesi Bassi, Mark Rutte, e uno spot del Sanitation and hygiene fund volto a sensibilizzare il tema del mancato accesso da parte di 3 miliardi di individui agli strumenti di base per il lavaggio delle mani.Complessivamente, come annunciato dal presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, sul finire della diretta, il Global goal ha permesso di raccogliere 6,9 miliardi di dollari (6,15 miliardi di euro) in più rispetto a quanto annunciato nelle scorse settimane, di cui 5,4 miliardi in veste di prestiti e garanzie, e appena 1,5 sotto forma di donazioni vere e proprie. Questa somma si va ad aggiungere ai 9,8 miliardi di euro già raccolti nella prima parte del Coronavirus global response, la «Telethon europea» lanciata da Bruxelles a fine aprile. Gran parte del denaro, tuttavia, proviene dalla stessa Commissione europea e dalla Banca europea per gli investimenti, le quali hanno annunciato ieri uno stanziamento extra di 5,39 miliardi di dollari (4,9 miliardi di euro). Nella classifica dei più generosi troviamo, nell'ordine, Stati Uniti (545 milioni di dollari), Germania (421 milioni), e Canada (215 milioni). C'è poi da dire che non tutte le donazioni saranno destinate esclusivamente alla causa del vaccino e della cura per il Covid. Il primo ministro canadese, Justin Trudeau, ha spiegato che solo il 40% della cifra stanziata andrà a finanziare il progetto in senso stretto, mentre il restante 60% prenderà la forma di aiuti umanitari. La Danimarca, invece, ha annunciato il versamento di 16 milioni di dollari al fondo dell'Onu che si occupa di supportare le popolazioni in crisi, mentre il Belgio ha scelto di devolvere 11,5 milioni di dollari al Programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite.Visto in controluce, l'evento di ieri è stato l'occasione per riportare alla luce argomenti da sempre cari agli autori dell'agenda setting a livello globale e che con il Covid poco o niente hanno a che fare. Ecco dunque fare capolino, tra un intervento e l'altro, il monito di Nikolaj Coster-Waldau (il Jaime Lannister de Il trono di spade) sulla crisi climatica, o quello del ministro della Cooperazione allo sviluppo danese, Rasmus Prehn, contro la violenza sulle donne. E sull'onda di un crescente sincretismo filantropico, poteva forse mancare il panel dedicato al fatto che le comunità di colore sono colpite dal Covid in maniera sproporzionata rispetto alle altre? Una discussione durante la quale, ovviamente, è stato menzionato George Floyd, il cui omicidio lo scorso 25 maggio a Minneapolis da parte di un poliziotto bianco ha scatenato le proteste del movimento Black lives matter. Ma forse il vertice si è raggiunto con l'intervento di Melinda Gates, che insieme al marito Bill presiede la fondazione di famiglia. «Quando si parla del vaccino del Covid-19, ci sono molte cose che il mondo ancora non sa», ha spiegato con voce ferma la signora Gates, ma la priorità è dare «prima il vaccino a chi ne ha più bisogno», cioè «gli operatori sanitari in prima linea e chi potrebbe soffrire di complicazioni in caso di infezione, senza considerare chi siano o dove vivano». Perché ciò avvenga l'unica via percorribile è che «il mondo deve seguire la scienza», perché «solo pochi possono sviluppare il vaccino o una cura ma tutti dobbiamo sostenere questo lavoro, ed essere così sicuri che i benefici arrecati dalla scienza vengano distribuiti in modo intelligente e giusto». Un panegirico che stride con la moltitudine di indicazioni contraddittorie dispensate proprio dagli scienziati dall'inizio della pandemia. E per nulla disinteressato, dal momento che la fondazione è coinvolta in tutte le linee di ricerca messe in piedi dalla Commissione.