2020-10-19
Marcello Pera: «Il sogno liberale ha mercato Così Salvini può realizzarlo»
Il neo consigliere della Lega: «Alle imprese offrirei più rischi e meno sussidi in cambio di tagli alle tasse. Il sovranismo ha ragioni serie, ma non si governa l'Italia contro l'Ue».Professor Marcello Pera, filosofo ed ex presidente del Senato: da quando Matteo Salvini ha fatto il suo nome per teorizzare la rivoluzione liberale della Lega, avrà il telefono incandescente. «La vita era pacifica e tranquilla: ora non mi salvo più». Di cosa avete parlato?«Al telefono gli ho spiegato che prima di vincere bisogna avere un programma coraggioso, fondato su quattro pilastri: economia, Europa, riforma della Costituzione e giustizia. Per governare non basta vincere le elezioni». Ce la spieghi meglio. «Senza un serio programma di governo c'è il rischio che il centrodestra esca comunque sconfitto alle prossime politiche, anche se oggi i sondaggi raccontano una storia diversa».Quindi?«Quindi da qui alle elezioni tutti e tre i partiti dell'opposizione devono sedersi a un tavolo per un'agenda di governo. Oggi perdiamo tempo a discutere di chi piglia più voti. Ripeto: prendere voti non è garanzia di governo». E Salvini l'ha ascoltata?«L'ho trovato ricettivo e consapevole. Mi sembra che sia in marcia». Prima di pensare ai programmi, al centrodestra serve una nuova classe dirigente?«Cercarne una buona di questi tempi è come andare a caccia di pepite d'oro. C'è una carenza diffusa, ed è un problema che non riguarda solo la Lega. Anzi, se non altro sul territorio Salvini ha amministratori eccellenti». Dunque da dove parte questa idea della «rivoluzione liberale»?«Detesto quell'etichetta. Quella è roba di Gobetti, leninismo borghese. Lasciamo perdere…».Diciamo che torna il sogno del partito liberale di massa? «Così lo chiamavamo ai tempi d'oro di Forza Italia. È un'eredità da riprendere. Forza Italia potrà ridursi a poco o nulla, ma quel sogno politico che avevamo messo sul mercato esiste ancora». Anche se all'epoca la scommessa non andò a segno…«Solo l'espressione “partito" a Berlusconi non piaceva neanche da lontano: non era roba sua. E poi va detto che tutte le mattine quel poveruomo doveva mettere d'accordo Bossi, Fini, Casini, Follini e pure Tremonti. Troppi litigi». Dunque, qual è oggi la cura per l'economia? «Ridurre assistenzialismo e pressione fiscale. E dire alle aziende: amici, prendetevi più rischi, perché è il vostro mestiere. Non può esserci rete di protezione sempre e comunque. Spesso e volentieri, da noi, si socializzano le perdite e si privatizzano i profitti». Difficile prendere voti, con questa filosofia…«Serve un patto con Confindustria: via i sussidi, ma anche l'eccesso di tasse sul lavoro. Una grande alleanza sociale con imprenditori e professionisti, i più sofferenti in questa situazione di Stato oppressivo, fiscale e burocratico».E quota 100?«È una logica superata, diciamo che se ne può discutere. E poi, riprendiamo l'idea della flat tax». Oggi non se ne parla più.«Anzi, si discute della riforma dell'Irpef: così come la stanno immaginando, mi pare l'ennesimo sussidio per avere consenso politico». Ci sarà un motivo profondo se la ricetta liberale non ha mai veramente attecchito in Italia…«Ho l'impressione che una vera esigenza di liberalismo in giro per l'Italia non ci sia mai stata. Si preferisce l'assistenza dello Stato, il sussidio, la mamma statale».Una tendenza diffusa?«In vasti strati sociali. Anche in buona parte della borghesia e del mondo imprenditoriale». Oggi poi, l'assistenzialismo è alle stelle. «Alla fine, tra assistenza statale da un lato e libertà dall'altro, in Italia si dice: meglio la prima. Quando Boris Johnson diceva che a Londra si ama la libertà più che a Roma, un po' di ragione ce l'aveva». Tutto questo però rende il suo sogno liberale più complicato. E non mi ha ancora spiegato come possa Salvini indossare il doppio petto di Einaudi, nell'era della turbopolitica. «Le concedo il pessimismo delle circostanze. Ma serve anche l'ottimismo delle conseguenze. Quanto liberalismo introdurremo non so dirlo: ma ci serve per uscire dal pantano. Se non lo facciamo, il Paese è avviato al fallimento». Non è strano che il Pd sia considerato il partito più europeista della Repubblica?«Un po' sorrido, e un po' mi arrabbio. L'europeismo è stato il succedaneo del comunismo e dell'internazionalismo operaio. Arriva da lì». Dunque? «I postcomunisti avevano bisogno di un'ideologia e l'hanno trovata nell'Europa, alla quale peraltro sono sempre stati storicamente contrari. E poi c'è un'altra stranezza». Quale?«Quelli che perdono le elezioni in casa, cioè il Pd e i democristiani tedeschi, sono quelli che guidano l'Europa ed esprimono i commissari. Strano no?».Il potere bisogna saperlo gestire…«E qui torniamo agli errori del centrodestra, che rischia di chiudersi in un pregiudizio antieuropeo». Vale a dire?«L'Europa esiste. Non possiamo eliminarla. Ma siccome a nessuno piace questa Unione talvolta tiranna, mettiamoci a discutere su come modificarla». Con la Lega nel Ppe?«Non mi impicco su quello. Berlusconi lo fece, e fu un atto di genio, perché all'epoca lo sconsigliammo tutti. Il punto è questo: se vuoi avere cultura di governo in Italia, non puoi essere pregiudizialmente contro il governo d'Europa. Anche perché molte delle carte che possiamo giocare ce le hanno in mano loro». Sull'immigrazione invece si allinea con Salvini?«Battaglia sacrosanta. L'Europa non conosce i suoi confini, e non vuole difenderli. Far cadere tutti i confini può essere l'anticamera della guerra». Più liberalismo vuol dire meno sovranismo?«Sovranista non è colui che non cede sovranità. Ma è colui che si rifiuta di cederla a istituzioni non democratiche. Oggi l'Europa non è responsabile, non la controlliamo. Quindi il sovranismo ha alcune motivazioni serissime». Vale anche per l'Ungheria di Orbán?«Guardi, diffido anche dell'Europa che impone lo stato di diritto. Se non garantisci libertà di parola e di stampa, giusto intervenire. Ma se “stato di diritto" vuol dire anche matrimonio omosessuale, allora fermi tutti». Come sarebbe? «Se si comincia a dire che in nome della libertà devo introdurre eutanasia e teoria del gender, altrimenti passo per antidemocratico, allora no: mi oppongo». Ma oggi dove sono i voti dei cattolici? «Non saprei: nell'era di Bergoglio voteranno forse tutti a favore dell'aborto. Sono sicuro di andare in Paradiso, ma se mi fate parlare del Papa andrò all'inferno…».Un papa quasi marxista?«Altroché».Sta di fatto che un partito d'ispirazione cristiana, lì al centro, non c'è più.«Prima avevamo due grandi papi, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI: due fari per l'Europa. Oggi è caduto anche quel punto di riferimento». La Chiesa si sfalda?«E non solo per via degli scandali quotidiani. Si sfalda sui principi. E se viene giù la Chiesa, viene giù l'Occidente». Lei che lo conosce: perché Ratzinger ha lasciato?«Non si sentiva più in forze». E lui che ne pensa dell'attuale pontefice?«È un uomo molto leale. Ma penso che soffra in silenzio». Tornando a noi. Le piace l'idea di un grande federazione di centrodestra, stile partito repubblicano americano? «Magari. Ma solo accompagnato da una riforma della Costituzione che consenta stabilità. O mi date un sistema presidenziale, o un premierato all'inglese. Ma il governo parlamentare così sfrangiato non si può più mantenere». Non ha fatto i conti con magistratura e burocrazia.«È il quarto punto che ho trattato con Salvini. Lo dicevamo 20 anni fa e lo vediamo oggi: le correnti tra toghe fanno sì che la magistratura diventi partito. Una riforma è indispensabile». Ha studiato a lungo la filosofia della scienza. Mai come oggi gli scienziati sono protagonisti. Si fida?«È senza dubbio la stagione degli esperti. Che d'altro canto così tanto esperti non sono, visto che l'unica terapia che ci somministrano è una mascherina». Quindi?«Vedo spesso una fiducia cieca: mi chiudo in casa perché l'ha detto l'esperto. Il pericolo, per carità, è intorno a noi. Ma non dimentichiamoci che chiuderci in casa vuol dire rinunciare ai diritti fondamentali». La Costituzione è sotto attacco.«Temo sia stata sospesa. “Costituzione" è una parola di grande retorica quando lo chiedono le circostanze. Oggi che invece avremmo bisogno di richiamarla, ecco che passano i Dpcm». Parla di un rischio democratico?«Quello sarebbe eccessivo. Temo però che gli italiani possano abituarsi ad essere eterodiretti, e a sacrificare la libertà per un sussidio in più. Il prezzo lo pagherebbe la democrazia. Detto questo, è chiaro che per Giuseppe Conte il virus è una formidabile assicurazione sulla vita». Quando torna a fare politica in prima persona, professore?«Sì, buonanotte…».