2022-05-17
Resa Ue su gas e petrolio. Ma non sull’Italia
Paolo Gentiloni (Imagoeconomica)
Alla fine si pagherà in rubli e non ci sarà l’embargo ipotizzato da Washington e Bruxelles. Intanto vengono tagliate le stime di crescita dell’Eurozona. E Paolo Gentiloni avverte il governo: «Basta scostamenti di bilancio».Viktor Orbán blocca l’embargo al petrolio russo. La Ue scopre che pagare in rubli è lecito. Intesa: «Senza quel gas è recessione».Lo speciale contiene due articoliIeri il commissario Ue agli Affari economici, Paolo Gentiloni, ha pubblicato e commentato il consueto report di primavera con le previsioni economiche per Ue ed Eurozona e, poiché quando si ragiona numeri alla mano lo spazio per la propaganda si assottiglia fino ad azzerarsi, il principio di realtà ha cominciato a farsi largo anche a Bruxelles.Il quadro è desolante. Stiamo andando a mani nude verso la tempesta perfetta e tutto ciò che la Ue sa fare è trovare il capro espiatorio nella invasione russa dell’Ucraina, chiudendo la strada all’ipotesi di uno scostamento di bilancio che secondo Gentiloni, sarebbe «imprudente». Per l’Italia le politiche di sostegno sono «certamente possibili, ma con prudenza», cioè finanziandole con entrate aggiuntive. Una entrata a gamba tesa poche ore dopo le dichiarazioni del segretario Pd, Enrico Letta che, buon ultimo, aveva invece espresso un’apertura verso l’ipotesi dello scostamento, inteso come estrema ratio al fine di scongiurare il rischio di recessione.Secondo la Commissione, il rimedio per il potere d’acquisto dei lavoratori dipendenti, il cui salario è eroso dall’inflazione, è semplicemente quello di mettere mano ai risparmi accumulati durante la pandemia. Il tutto accompagnato dall’essenziale premessa, ripetuta a più riprese, che si tratta di previsioni caratterizzate da un’estrema incertezza e che, nello scenario più grave, se il flusso di gas dalla Russia si dovesse interrompere improvvisamente nei prossimi mesi, la crescita dell’Eurozona sarebbe cancellata con un tratto di penna, scendendo nel 2022 dal 2,7% allo 0,2% e nel 2023 dal 2,3% al 1,3%. Se qualcuno avesse ancora bisogno di una spiegazione per il balbettio della Ue, in corso ormai da 13 giorni, sul sesto pacchetto di sanzioni alla Russia che potrebbe coinvolgere il petrolio e i suoi derivati, ecco la spiegazione. Sarebbe spazzata via la crescita di quest’anno e buona parte di quella del 2023. Il resto sono chiacchiere.Ma andiamo con ordine. Ciò che stupisce di queste previsioni, che giungono solo tre mesi dopo quelle invernali, è la drastica riduzione delle prospettive di crescita. Quel 2,7% reso noto ieri, solo a febbraio valeva il 4% e, per il 2023, il 2,8% è ora diventato il 2,3%.La crescita che oggi la Commissione riesce a prevedere è sostanzialmente l’esito del rimbalzo rispetto ad un 2021 ancora frenato. Senza questo effetto, il 2,7% si ridurrebbe a un davvero modesto 0,8%.Questi dati riflettono uno scenario base, nel quale le tensioni geopolitiche non termineranno prima del 2023 e, soprattutto, che i mercati dei prodotti energetici non saranno interessati da ulteriori gravi turbative rispetto alla situazione attuale. I prezzi di tali prodotti sono quelli espressi dai mercati a termine (futures), metodo discutibile che è già costato caro ai tecnici della Bce.Osservando l’Italia, la revisione al ribasso è ancora più clamorosa. Giusto qualche settimana fa, il Def prevedeva una crescita del 3,1% e 2,4% rispettivamente per il 2022 e 2023, che ieri la Commissione ha tagliato al 2,4% e 1,9%. Anche in questo caso, se qualcuno avesse avuto bisogno di una conferma ufficiale che i numeri su cui il governo, appena il 6 aprile scorso, ha fondato la sua politica economica per il 2022 fossero scritti sull’acqua, ecco che la Commissione l’ha fornita.L’unico spazio di manovra sul fronte di una politica di bilancio effettivamente anti ciclica è quello fornito dal Dispositivo per la ripresa e resilienza (Rrf). La famosa «pioggia di miliardi», di cui si parla da luglio 2020 e che, stando agli ultimi dati, ha eseguito pagamenti per 97 miliardi (tra anticipi e prima rata), di cui 46 a favore dell’Italia. Somme irrilevanti dal punto di vista macroeconomico per le economie dei Paesi Ue.L’inflazione dovrebbe toccare il picco del 6,9% nel secondo trimestre di quest’anno e attestarsi su base annuale al 6,1% nel 2022 e 2,7% nel 2023. Non c’è dubbio che l’incremento dei prezzi dei prodotti energetici sia alla base della gran parte di questo aumento, ma non va trascurato il fatto che ormai la Commissione ammette che anche l’inflazione «core» (quella depurata da prodotti alimentari ed energetici) sarà pari al 3% nel prossimo biennio. Insomma il cosiddetto effetto «spillover» (ricaduta) è ormai in funzione e ciò che solo pochi mesi fa si riteneva essere un fenomeno transitorio si è consolidato e trasmesso a tutti i settori. Solo i salari non manifestano alcuna reazione, portando in questo modo alla perdita di potere di acquisto.Ciò che colpisce e desta enormi perplessità è la causa, secondo Gentiloni, di questi risultati: in sostanza è tutto o quasi colpa della guerra, che è giunta ad esacerbare un quadro fatto di tensioni sui prezzi delle materie prime e dei prodotti energetici e di difficoltà nella ricostruzione delle catene di fornitura. I tecnici di Bruxelles sono convinti che tali fattori sarebbero svaniti, se non fosse arrivata la guerra ad aggravarli. Non una parola sul fatto che tali tensioni, a detta di molti commentatori, non solo non erano transitorie (e questo era chiaro già nell’autunno 2021) ma trovano origine in alcune improvvide scelte operate dalla Commissione proprio a proposito della transizione ecologica.A completare il quadro a tinte fosche, Gentiloni ci ricorda che su tutto ciò incombe il rischio di un imminente aumento dei tassi di interesse, anche superiore al previsto, che potrebbe determinare un serio ribasso del valore delle attività finanziarie ed immobiliari.Ma è tutta, o quasi, colpa dell’invasione russa. Chi può, metta mano ai propri risparmi. Gli altri mangino brioches.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/il-sogno-e-finito-la-ue-crescera-poco-e-gentiloni-mette-nei-guai-pure-letta-2657332416.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="sanzioni-in-stallo-e-berlino-si-smarca-dal-nucleare-green" data-post-id="2657332416" data-published-at="1652741092" data-use-pagination="False"> Sanzioni in stallo. E Berlino si smarca dal nucleare green A due settimane dall’annuncio di Ursula von der Leyen, il sesto pacchetto di sanzioni alla Russia risulta ancora disperso negli oscuri ingranaggi dell’Unione europea. Il governo ungherese tiene il punto e blocca qualunque ipotesi di accordo sull’embargo al petrolio russo, per il quale è prevista l’unanimità dei 27 Stati membri. Mentre Malta, Grecia e Cipro ottengono che nel pacchetto di sanzioni non vengano penalizzati i trasporti via mare dei prodotti petroliferi russi, a Bruxelles si fa sempre più strada l’ipotesi di accantonare l’embargo e di licenziare un sesto pacchetto più leggero, senza riferimenti, per ora, al petrolio russo. Si tratterebbe di un clamoroso passo indietro, rispetto ai roboanti annunci di quindici giorni fa da parte della Commissione europea. Non meno fragoroso appare il via libera al pagamento del gas da parte delle compagnie europee secondo lo schema proposto da Vladimir Putin. Con l’approssimarsi della scadenza dei pagamenti, nella fine settimana la Commissione ha lasciato trapelare che considera le proprie linee guida già dettate a suo tempo chiare ed esaustive. Non ci saranno dunque ulteriori dettagli sull’aderenza o meno alle sanzioni in vigore del processo proposto dalla Russia per il pagamento del gas. Allo stesso tempo, un anonimo funzionario ha chiarito ad alcune agenzie di stampa che «dal punto di vista dell’Europa, non esiste problema sinché la somma è pagata in euro. Una volta che la transazione è conclusa, non abbiamo controllo su ciò che succede dopo, Gazprom può fare il cambio in rubli ma la cosa importante è che non siano i soggetti europei a ordinare il cambio». Versione poi confermata anche da Frans Timmermans, Commissario europeo al Green deal.7 Dunque, aprire un conto presso Gazprombank e versarvi gli euro o i dollari per pagare il gas di per sé non infrange il quadro sanzionatorio imposto dall’Unione. Dopo due mesi di dispute sul pagamento in rubli, l’Unione europea è costretta ad ammettere a denti stretti che chi si comporta seguendo le regole dettate dal decreto russo sui pagamenti del gas non viola le sanzioni europee. Brutto colpo per gli intransigenti che all’indomani dell’emissione del decreto russo avevano parlato di inaccettabile modifica dei contratti. Mentre l’Europa inciampa su sé stessa, preoccupa il tema del riempimento degli stoccaggi di gas per la prossima stagione invernale. La settimana scorsa il gestore del gasdotto che attraversa l’Ucraina ha invocato la forza maggiore su uno dei due punti di ingresso per il transito del gas dalla Russia. Citando problemi ad un compressore che sarebbe stato manomesso dalle forze russe occupanti, ha chiuso l’entry point di Sokhranivka. L’effetto è di circa il 35% in meno di flussi gas in ingresso in Italia dalla direttrice nordorientale. Difficile che Gazprom riesca a compensare incrementando i flussi all’altro entry point ucraino, quello di Sudzha, trattandosi di due linee diverse in territorio russo. Il minor apporto di gas non ha sinora provocato problemi in Italia, anche grazie a maggiori flussi in ingresso di gas norvegese al Passo Gries, in alta Val d’Ossola. Ma ora al ritardo con cui è partita la stagione di riempimento degli stoccaggi commerciali (cioè al netto dello strategico) si viene a sommare l’incertezza sui flussi dall’estero. Nonostante i ritmi sostenuti degli ultimi 30 giorni nel riempimento, la differenza dei volumi di gas in giacenza presso Snam-Stogit oggi rispetto agli anni precedenti è ancora molto ampia: -36% rispetto al 2019, -55% rispetto al 2020, e -32% rispetto al 2021. La curva di riempimento dovrà essere molto più ripida dell’attuale, se si vuole arrivare al 15 ottobre con il 90% dello spazio occupato dal gas in giacenza. Ieri, intanto, si è registrato l’intervento nel dibattito di Carlo Messina, ad di Intesa Sanpaolo: «Interrompere il rubinetto del gas significa andare verso una recessione certa e una perdita di posti di lavoro significativa», ha affermato il manager durante un evento pubblico a Torino. Anche la situazione dell’idroelettrico preoccupa. Dopo che i primi tre mesi del 2022 hanno fatto segnare un robusto calo della produzione idroelettrica (-40%), le prospettive per l’estate appaiono assai magre. Senza l’apporto dell’energia idroelettrica sarà necessaria una maggiore produzione da fonte termoelettrica, segnatamente a gas, cosa che complica il già delicato bilancio energetico italiano. Se a vincoli e incertezze di tal fatta sommiamo le croniche difficoltà che sta avendo la produzione elettrica da nucleare di Edf in Francia, normalmente esportatrice verso l’Italia ma che potrebbe perdere questo ruolo avendo in patria continue situazioni di calo tecnico dell’offerta, ci troviamo di fronte ad un quadro di rischio medio-alto di blackout. Considerato che è attesa un’estate particolarmente calda, i picchi di domanda estiva di elettricità potrebbero verificarsi in momenti di scarsità di offerta, cosa che costringerebbe il gestore della rete a contingentare i consumi per evitare il blackout. Da notare che ieri il governo tedesco ha lasciato trapelare che voterà contro la tassonomia «green» presentata dalla Commissione europea, che vede il nucleare assimilato alle fonti rinnovabili, ma non farà ricorso contro la decisione. Sullo sfondo di una guerra dagli effetti sempre più pesanti, ciò a cui stiamo assistendo è in realtà la crisi del modello energetico italiano, corroso da una serie di scelte sbagliate e soprattutto dalle dissennate politiche energetiche europee.