
Cade la tesi del rapimento della figlia dell'ambasciatore di Pyongyang a Roma: la ragazza ha deciso di non seguire i genitori nella fuga, probabilmente verso gli Stati Uniti. Era contraria alla loro scelta, li ha denunciati e ha raggiunto i nonni in patria.Il presunto intrigo internazionale sulla figlia scomparsa dell'ex ambasciatore nord coreano Jo Song Gil a Roma sembra iniziare a sgonfiarsi, ma le tensioni a livello diplomatico tra Italia, Nord Corea e Stati Uniti non finiscono qui. Per di più tutto avviene in giornate delicate per il nostro Paese nei rapporti con l'Asia, sia perché è imminente (il 26 febbraio) il vertice in Vietnam tra il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, e Kim Jong Un dove il convitato di pietra è la Cina (è il principale partner commerciale economico della Corea del Nord), sia perché in questi giorni gli americani stanno facendo forti pressioni sul nostro governo per scartare l'ipotesi di affidarsi alla tecnologia 5G di Huawei. L'ambasciatore americano Lewis Eisenberg lo ha spiegato allo stesso ministro per lo Sviluppo economico, Luigi Di Maio, quattro giorni fa, ricordando la centralità delle strutture Nato sul nostro territorio e la possibilità che informazioni sensibili potrebbero finire in mano ai servizi segreti cinesi. Dopo gli attacchi da parte del Movimento 5 stelle dei giorni scorsi sulla giovane ragazza nordcoreana («Chi ha responsabilità pagherà, statene certi», spiegava il sottosegretario Manlio Di Stefano), la situazione all'interno dell'esecutivo appare più tranquilla. Del resto, dopo la conferma di assoluta estraneità sulla vicenda da parte del ministro dell'Interno, Matteo Salvini, e di quello degli Esteri, Enzo Moavero Milanesi, è arrivata indirettamente anche quella dei nostri servizi segreti. Lo ha spiegato bene Repubblica in un articolo, dove ha ricostruito grazie a quattro fonti dell'intelligence italiana rimaste anonime per ragioni di sicurezza, come la ragazza di 17 anni non sarebbe stata riportata nel suo Paese forzatamente, prelevata dalle forze di sicurezza nordcoreane e detenuta per la diserzione del padre. A sostenerlo, oltre a esponenti dei 5 stelle o Amnesty international, era stato Thae Yong Ho, ex numero due dell'ambasciata del Nord a Londra, rifugiatosi a Seul nel 2016. A quanto pare la figlia di Jo Song Gil avrebbe invece deciso di sua volontà di non seguire i suoi genitori nella loro fuga perché contraria alla loro scelta, e di raggiungere i nonni in Corea del Nord. Questa versione è stata confermata anche dal successore di Jo all'ambasciata in Italia, Kim Chon, in una lettera al presidente dell'unione interparlamentare Italia-Nord Corea, Osvaldo Napoli, respingendo la tesi del «rapimento» rilanciata dalla Corea del Sud per «ostacolare i nostri rapporti con l'Italia». Il tema dei disertori nord coreani è quello che più spaventa Kim Jon Un, anche perché questi diplomatici in fuga (e sono molti) sono sempre stati dei fedelissimi del dittatore, custodi dei segreti inconfessabili del regime. Secondo la Bbc il leader nordcoreano sarebbe convinto che Jo si sia rifugiato negli Stati Uniti, da qui anche l'impressione, appresa dalla Verità in ambienti diplomatici, che il «capostazione» della Cia a Roma possa aver agevolato lo spostamento. La Cina, come detto, sarà il convitato di pietra ad Hanoi il 26 febbraio. Del resto, già nel precedente incontro nel giugno dello scorso anno a Singapore, Kim Jong Un arrivò a bordo di un Air China 747. La mossa fu simbolica: in questo modo Pechino avrebbe fatto capire di essere presente al tavolo sul nucleare. Sullo sfondo, infatti, continua lo scontro a livello mondiale tra cinesi e americani, ben rappresentato dall'Italia dove il fondo Elliott sta di fatto sostituendosi a Pechino in settori strategici come quello delle telecomunicazioni ma anche nel calcio. Ma Paul Singer, fondatore di Elliott, avrebbe una visione di più ampio respiro. È di qualche giorno fa la notizia che, in Portogallo, Elliott ha annunciato di aver fatto una proposta migliore agli azionisti di Edp-Energias de Portugal rispetto a un'offerta della Cina three gorges (Ctg). Proprio i cinesi, con in mano il 26% di Edp, lo scorso anno avevano fatto un'offerta di 10 miliardi, ma era stata rispedita al mittente. E per di più Elliott aveva detto di aver scritto al board del colosso energetico portoghese affermando che «l'offerta di Ctg nella sua forma attuale renderebbe più debole Edp». In poche parole un modo per eliminare i cinesi dalla partita. Lo schema appare molto simile alla avanzata statunitense in Italia. Luigi Gubitosi, amministratore delegato di Tim, oltre a dover governare lo scontro tra Vivendi e Elliott, deve appunto risolvere la grana Huawei che sta operando con il nostro colosso della telefonia già a Torino. E non va dimenticato, sempre a livello di intelligence, che la stessa Tim, attraverso Sparkle, azienda di interesse strategico militare per il governo, ha in mano il traffico dati nel Mediteranneo. È un rompicapo di non facile soluzione. Che di sicuro passa anche dall'incontro di Hanoi fra Trump e Kim Jong Un, dove la Cina ha un ruolo non indifferente. Di certo c'è che anche la nostra intelligence resta in attesa del vertice del 26 febbraio dove si spera si possa andare verso il disarmo nucleare. Archiviato questo dossier, la battaglia si concentrerà solo sulle tecnologie.
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