
Mentre in Italia si discute di omofobia e islamofobia nel mondo i battezzati vengono sterminati. Ogni anno sono migliaia, ma per loro nessuno sfila con la maglietta rossa.Mentre noi piagnucoliamo su omofobia e islamofobia, psicoreati di un futuro totalitario, ammazzano i cristiani come cani, il loro sangue scorre come liquido senza valore. Decine di migliaia di cristiani vengono uccisi ogni anno nell'indifferenza dei nostri intellettuali, parola dall'etimologia sempre più impenetrabile, il cui solo scopo è favorire l'ingresso di centinaia di migliaia di maschi islamici in età militare, con accuse di fascismo e ridicole magliette rosse, se qualcuno azzarda un accenno ai rischi che nascono dal far entrare persone senza documenti. Decine di migliaia di cristiani muoiono tutti gli anni nell'indifferenza delle nostre autorità politiche, in eterne granaglie per il popolo palestinese e solo per lui, sempre disposti a considerare chi uccide urlando «Allah Akbar» un isolato pazzerello, un povero zuzzerellone strambo, le sue vittime cristiane ed ebree come morti accidentali, autorità politiche stranamente disposte a stracciarsi le vesti per una ragazza colpita al viso da un uovo, ma non per una ragazza squartata in due trolley, o per una ragazza stuprata per ore mentre agonizzava. Nessuno ha pensato che questi crimini potessero avere l'aggravante dell'odio razziale o religioso. Decine di migliaia di cristiani accettano ogni anno di morire per la loro fede, nell'indifferenza evidente di quelle che dovrebbero essere le autorità religiose, salvo qualche annoiato pigolio di circostanza che interrompe una riscrittura del Vangelo ridotto a una paffuta e misericordiosa accoglienza del male, con le maggiori abortiste europee ricevute come rock star, vignettisti atei che profanano l'immagine di Cristo, e sacerdoti sempre più carini che ci presentano i loro compagni, ancora più carini. E soprattutto il Vangelo è contraddetto e ridotto alla cieca accoglienza di una maggioranza di uomini forti, ostili, sradicati, privi della dignità di un lavoro, che nelle loro terre di origine non erano i poveri, e per i quali spendiamo cifre sufficienti a risolvere la fame vera di milioni di affamati veri. Il Vangelo ordina il soccorso dei deboli, non dei forti, e permette il dialogo con chi non crede sono per la conversione. Sfamare un affamato e non parlargli di Cristo, non convertirlo o almeno non provarci, contraddice il Vangelo. Per i morti ammazzati muoviamoci noi. Ricordiamoli noi. Preghiamo noi. Protestiamo noi. Parliamone noi di questi morti. Fratelli copti che ora siete nella luce, pregate per noi. Fratelli pachistani, signora Asia Bibi, pregate per noi. E noi cominciamo a diventare una forza per chiudere le frontiere. Non accettiamo immigrati musulmani da Paesi dove i cristiani sono assassinati e perseguitati perché è banalmente pericoloso per i cristiani d'Europa. Non accettiamo immigrati da nazioni che discriminano gli ebrei o li hanno espulsi, perché è banalmente pericoloso per gli ebrei d'Europa. Perché sarà banalmente pericoloso per i nostri figli, che prima o poi malediranno la nostra bontà e le nostre magliette rosse. Magliette rosso sangue. Rosse come il sangue dei cristiani che non abbiamo soccorso, di cui non abbiamo nemmeno ascoltato le grida.
Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa podcast del 21 novembre con Flaminia Camilletti
Gianfranco Lande durante un’udienza del processo che l’ha coinvolto (Ansa)
I parenti del consigliere hanno investito una fortuna con Gianfranco Lande. Che per prendere tempo li spingeva a fare «condoni» sui capitali.
Francesco Saverio Garofani in questi giorni viene raccontato come il gentiluomo delle istituzioni, il cattolico democratico che ha attraversato mezzo secolo di politica italiana con la felpa della responsabilità cucita addosso. Quello che nessuno racconta è che lui, insieme a una fetta consistente della sua famiglia, è stato per anni nel giro di Gianfranco Lande, il «Madoff dei Parioli». E che il suo nome, con quello dei tre fratelli, Carlo, Giorgio e Giovanna (che negli atti della Guardia di finanza vengono indicati in una voce cumulativa anche come fratelli Garofani), riempie la lista Garofani nell’elenco delle vittime allegato alla sentenza che ha raccontato, numeri alla mano, la più grande stangata finanziaria della Roma bene, insieme a quello di un certo Lorenzo (deceduto nel 1999) e di Michele, suo figlio, del cui grado di eventuale parentela però non ci sono informazioni.
Getty Images
Travaglio: «Garofani deve dimettersi». Foa: «Non è super partes, lasci». Porro: «È una cosa pazzesca e tentano di silenziarla». Padellaro: «Una fior di notizia che andava pubblicata, ma farlo pare una scelta stravagante». Giarrusso: «Reazioni assurde a una storia vera». L’ex ambasciatore Vecchioni: «Presidente, cacci il consigliere».
Sergio Mattarella (Getty Images)
Il commento più sapido al «Garofani-gate» lo ha fatto Salvatore Merlo, del Foglio. Sotto il titolo «Anche le cene hanno orecchie. Il Quirinale non rischia a Palazzo, ma nei salotti satolli di vino e lasagnette», il giornalista del quotidiano romano ha scritto che «per difendere il presidente basta una mossa eroica: restarsene zitti con un bicchiere d’acqua in mano». Ecco, il nocciolo della questione che ha coinvolto il consigliere di Sergio Mattarella si può sintetizzare così: se sei un collaboratore importante del capo dello Stato non vai a cena in un ristorante e ti metti a parlare di come sconfiggere il centrodestra e di come evitare che il presidente del Consiglio faccia il bis.
Lo puoi fare, e dire ciò che vuoi, se sei un privato cittadino o un esponente politico. Se sei un ex parlamentare del Pd puoi parlare di listoni civici nazionali da schierare contro la Meloni e anche di come modificare la legge elettorale per impedire che rivinca. Puoi invocare provvidenziali scossoni che la facciano cadere e, se ti va, perfino dire che non vedi l’ora che se ne vada a casa. E addirittura come si debba organizzare il centrosinistra per raggiungere lo scopo. Ma se sei il rappresentante di un’istituzione che deve essere al di sopra delle parti devi essere e apparire imparziale.






