2022-02-22
        Il reddito di cittadinanza vola al Sud. In Campania e Sicilia va a uno su sei
    
 
Rielaborazione del centro studi Fiscal focus su dati Inps e Istat. Il direttore Antonio Gigliotti: «In Meridione con quella cifra si campa. In Veneto lo prende il 2%. È stato marketing politico ma ora si manda ko il mondo del lavoro».Si fa presto a dire reddito di cittadinanza. Le differenze del costo della vita tra le regioni del Nord Italia e quelle del Meridione hanno nei fatti spinto enormemente il sussidio al Sud. Il motivo è presto detto: chi si trova ogni mese 700 euro sul conto corrente, circa il massimo previsto dalla norma, in Calabria, Sicilia o Campania riesce a sopravvivere e non si sente spinto a cercare una occupazione. Chi percepisce la stessa cifra in Lombardia, Piemonte o Veneto sa bene che con quei soldi non può campare e si sente più spronato a lavorare. Da una rielaborazione dei dati Inps e Istat del centro studi Fiscal focus emerge, infatti, che nel 2021 in Campania il 16,3% della popolazione, cioè un cittadino su sei, è stato percettore per almeno una mensilità del sussidio tanto caro al Movimento 5 stelle e caldeggiato dalla presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen. Si tratta di dati molto simili a quelli della regione Sicilia, in cui a percepire almeno una mensilità del reddito di cittadinanza o della pensione di cittadinanza è stato il 15,13% della popolazione, ovvero quasi un cittadino su sette. Come in Calabria, dove i beneficiari sono stati il 13,39% della popolazione. Appena tre su cento sono stati invece i percettori della misura in Toscana (3,35%), Marche (3,32%), Lombardia (3,22%) ed Emilia-Romagna (2,69%). Sul podio abbiamo invece il Friuli-Venezia Giulia ed il Veneto con due percettori di reddito o pensione di cittadinanza su cento ed il Trentino Alto Adige con solo l’1,36% di percettori sul totale della popolazione.«La norma al Sud, così come è stata concepita, non favorisce la ricerca di una occupazione», spiega Antonio Gigliotti, direttore di Fiscal focus alla Verità. «I percettori nel Meridione non si sentono in molti casi spinti a cercare un mestiere, anche perché il sistema dei navigator è stato un flop. Gli stessi soldi andavano utilizzati per formare la popolazione, non come mero sussidio. C’è poi da considerare il fenomeno del lavoro non regolare. C’è chi preferisce tenersi il sussidio e fare lavori saltuari in nero, piuttosto che cercare una occupazione regolare e a tempo indeterminato». Nel complesso, i percettori del reddito o della pensione di cittadinanza a livello nazionale sono stati circa 3,9 milioni di persone per l’anno 2021. Al netto della pandemia, si tratta di un dato che risulta essere molto simile al numero stimato di lavoratori in nero che operano nel nostro Paese, stando a quanto riporta la Relazione sull’economia non osservata e sull’evasione fiscale e contributiva pubblicata proprio nel 2021 sul sito del ministero dell’Economia e delle finanze riferendosi ai dati relativi al periodo 2014-2019.Le differenze, è chiaro, ci sono anche al Nord. In Veneto l’1,98% della popolazione percepisce il Reddito di cittadinanza, un valore di circa un terzo in meno rispetto al 3,22% della Lombardia. «Non è che in Lombardia e Veneto non esista la povertà», continua Gigliotti. «Il punto è che in queste regioni il sussidio non basta e c’è in media più lavoro. Un lavoratore un minimo specializzato riesce quasi certamente a sbarcare il lunario meglio di quanto non farebbe con il Reddito di cittadinanza. Al contrario, al Sud le opportunità scarseggiano», dice l’esperto. In effetti, dando uno sguardo ai numeri dello studio, la tendenza è assai chiara. In tutte le regioni del Nord il rapporto tra popolazione (fonte Istat) e percettori del sussidio (Inps) non supera il 3%. Al centro, la media oscilla dal 3,22% della Marche e il 6,54% del Lazio. Al Sud, la media parte dal 5,4% dell’Abruzzo per arrivare al 16,36% della Campania. Tra le Regioni del Nord con il più alto tasso di persone che percepiscono il sussidio svetta il Piemonte con il 5% sul totale della popolazione. Un dato dovuto al fatto che molte aziende hanno preferito delocalizzare lasciando il territorio di Torino e dintorni a bocca asciutta. «Alla luce di questi dati», conclude lo studio di Fiscal focus, «è lecito pensare che il reddito di cittadinanza - andando ad incidere sugli indicatori di povertà - si sia prefigurato più come una forma di marketing politico a scopi elettorali, utile alla macchina del consenso dei partiti promotori, anziché la soluzione ad un serio problema a cui offrire altrettanto serie soluzioni. Un problema che ora rischia di diventare un boomerang sociale e politico. A ciò si aggiunga che l’Italia è attualmente estromessa dalle competenze necessarie alle imprese ed al mercato del lavoro che fanno la differenza nell’economia globale del XXI secolo», conclude lo studio.