2018-12-28
Il reddito di cittadinanza muta pelle. E darà sostegno a chi assumerà
Per ogni offerta di lavoro accettata, le mensilità rimanenti passeranno all'azienda sotto forma di incentivo. Più facile perdere il sussidio se si rifiuta l'impiego. Oggi la legge di bilancio alla Camera per il voto finale.Lasciate da parte le baruffe e i comunicati furenti (addirittura sull'uso della Web tv in Commissione Bilancio), o le dispute sull'eventualità che il capo dello Stato non firmi la manovra (sarebbe pura fantascienza, dopo che il Quirinale ha spinto - perfino oltre misura - per trattare con la Commissione Ue), o la fiction sull'esercizio provvisorio (oggi le opposizioni dicono che non sarebbe un problema: ma se poi scattasse davvero, il governo salirebbe inevitabilmente sul banco degli imputati): è tutta fuffa, pura comunicazione. Tutti sanno quello che accade quando una manovra è in terza lettura in uno dei due rami del Parlamento (in questo caso, alla Camera): diventa intoccabile, e va approvata senza cambiare neppure una virgola, pena la necessità di un ritorno al Senato (impossibile per evidenti ragioni di tempo). Morale: da ieri abbondano le promesse di cambiare eventualmente qualcosa nei primi provvedimenti utili del 2019 (ad esempio, la contestata norma sul no profit), ma la manovra resta com'è. Non fidatevi di chi strilla: chiunque sia stato al governo, in passato, ha fatto così. C'è un momento in cui si tira una linea, si abbassa la saracinesca, e la manovra si approva così com'è a quel punto. Questo è ciò che accadrà nelle prossime ore alla Camera, tra Commissione e Aula, con il voto finale atteso probabilmente per domani. Meglio allora portarsi avanti con il lavoro, e ragionare sulla questione che rimane aperta: cioè il pacchetto caro ai grillini relativo a reddito e pensioni di cittadinanza. Come si sa, nella manovra è previsto uno stanziamento (che per il 2019 è di 7,1 miliardi, di cui 1 per i centri per l'impiego). Come La Verità scrive da due mesi, toccherà a un provvedimento separato, a un decreto, definirne i contorni, lo stesso dicasi per quota 100. Nella prima metà di gennaio dovrebbero vedere la luce entrambi, in parallelo. Le notizie di ieri sono tre: un problema (enorme) che resta aperto sull'uso delle risorse; il sostanziale accoglimento grillino di una proposta leghista per rendere la misura meno assistenzialista e più capace di coinvolgere le imprese; alcuni dettagli sul possibile funzionamento del meccanismo, che dovrebbe scattare da fine marzo. Cominciamo dal problema: inutile girarci intorno, i soldi per tutto non ci sono. Abbiamo detto che, detratto il miliardo per i centri per l'impiego, il primo anno sono stati allocati 6 miliardi. Secondo i conti di Alberto Brambilla, che guida il centro studi Itinerari previdenziali, «solo per portare a 780 euro il milione di persone che percepisce la pensione d'invalidità, ci vogliono 6 miliardi. Per portare a 780 un altro milione che percepisce o la pensione sociale o l'assegno sociale, ne servirebbero altri 3 e mezzo». E, in questa ipotesi, non ci sarebbe un euro per il reddito di cittadinanza, anzi si sarebbe già ampiamente oltre le somme disponibili. Morale: non sarà facile per i grillini sistemare una coperta che resterà inevitabilmente corta. La seconda notizia (questa, positiva) è che sembra essere stata accolta dai 5 stelle la proposta leghista di rendere la misura più «market friendly», prevedendo che, a offerta di lavoro accettata, il sussidio alla persona diventi un intervento a favore dell'impresa. I leghisti (a noi pare, saggiamente: comunque la si pensi sul reddito di cittadinanza) proponevano una defiscalizzazione. I grillini ci hanno pensato a lungo: e qualcuno non era favorevole a dare semaforo verde a un'ipotesi che - ad avviso dei grillini dubbiosi - avrebbe generato una commistione tra interventi assistenziali pro disoccupati e interventi di decontribuzione pro imprese. Si è giunti a un compromesso: misura pro impresa sì, ma nella forma di un incentivo. Insomma, ad assunzione effettuata, le rimanenti mensilità del reddito di cittadinanza andranno proprio all'azienda (fino alla fine del ciclo, che dura 18 mesi, e comunque per non meno di 5 mensilità). Il terzo e ultimo blocco di indiscrezioni riguarda i dettagli della misura, per come grillini e tecnici stanno cercando di concepirla. Ci sarà più rigore (si spera) rispetto all'obbligo di accettare le offerte di lavoro: la prima entro 100 km da casa, la seconda entro 250, la terza con obbligo (per chi non ha figli) di trasferirsi, pena la perdita del sussidio. Quanto al cosiddetto «navigator», cioè il tutor che opera nei centri per l'impiego, si occuperà di un numero di percettori di sussidio variabile da 100 a 150, e avrà un incentivo per ogni assunzione riuscita (l'ipotesi è quella di una somma pari a un quinto dello stipendio dell'assunto). Quanto al sussidio, le prime ipotesi distinguono tra un contributo per l'affitto (280 euro al mese per chi non è proprietario di una casa) e integrazione al reddito, che varierà (500 euro per un single, 700 per due adulti, 900 per due adulti con figli minorenni, e così via fino a 1.050 euro per tre adulti con due minorenni). Per la pensione di cittadinanza, l'ipotesi è di far scendere il contributo per l'affitto a 150 euro, mentre l'integrazione al reddito si attesterebbe sui 630 euro. Ma resta l'incognita da cui siamo partiti: le risorse sono limitate, e non si può andare oltre gli stanziamenti effettuati.