2018-09-20
Il record dello spread l’ha fissato il Quirinale
Basta leggere gli andamenti per smontare la balla del governo che spaventa i mercati. Il picco massimo di 303 punti si toccò con il fallimentare incarico dato da Sergio Mattarella a Carlo Cottarelli. Tre giorni dopo, Giuseppe Conte giura e il differenziale crolla a 238. A parte Matteo Renzi, che accusava Matteo Salvini e Luigi Di Maio di far salire lo spread ancor prima che il governo di Giuseppe Conte giurasse, perfino una persona solitamente seria come Pier Carlo Padoan ama ripetere che se abbiamo lo spread con la Germania a livelli di guardia, la colpa è dei due leader di Lega e Movimento 5 stelle, che «ci hanno fatto perdere 100 punti già solo alla lettura del programma di governo». Peccato che, se si guarda come e quanto si è mosso il famoso differenziale tra rendimenti dei Btp decennali della Repubblica italiana e gli omologhi Bund di Sua Maestà Angela Merkel, si scopre che dalla nascita del governo gialloblù a oggi è addirittura sceso di 19 punti a quota 219, con una flessione del 7,9%. Eccolo il famoso disastro finanziario, e di credibilità internazionale, di sovranisti e populisti al governo. Ed è anche facile svelare il trucco dialettico per continuare a contrabbandare la suddetta fake news, come direbbero Lorsignori: basta iniziare i calcoli da venerdì 2 marzo, vigilia elettorale, buttare in caciara, come si dice a Roma, i rialzi dello spread causati dal minuetto inconcludente di tutti i partiti di fronte alla crisi di governo, chiudere due occhi e mezzo sulla gestione di tale crisi da parte di Sergio Mattarella, far finta che lo sfortunato tentativo affidato all'incolpevole Carlo Cottarelli non abbia spinto il differenziale a quote record e scaricare tutte le responsabilità, retrodatandole, su Lega e M5s. Il trio Renzi-Gentiloni-Padoan lascia lo spread a quota 134 punti, alla chiusura di venerdì pomeriggio del 2 marzo. Sviato anche da sondaggi in gran parte sbagliati, il mercato è convinto che Mattarella affiderà la formazione del prossimo governo a Forza Italia e Pd, con la benedizione di Bruxelles, della Merkel e della Bce. Ma le cose non andranno esattamente così e dalle urne esce un risultato per alcuni indigesto: Salvini sorpassa Silvio Berlusconi e i 5 stelle doppiano il Pd. Il Colle non ha neppure i numeri per affidare Palazzo Chigi a Pd e Forza Italia, per un inedito governo dei perdenti, gradito a quel che resta dei poteri forti. I quali si sarebbero sentiti un minimo garantiti se il Pd fosse andato al governo con i grillini, in modo da imbrigliarli e far perdere loro la sventolata verginità. Il 29 aprile, Luigi Di Maio scrive al Corriere della Sera per esporre i punti di un possibile governo con il Pd e lo spread con la Germania è a soli 117 punti base. Il presidente della Camera, Roberto Fico, incrocia le dita, e lo stesso fa Alessandro Di Battista, l'altro leader pentastellato che guarda a sinistra. Il Partito democratico, formalmente affidato a Maurizio Martina, risponde che deciderà nella direzione del 3 maggio. Peccato che la domenica precedente, Renzi vada in tv a dire che di fare un governo con chi «ci ha insultato per tutta la campagna elettorale» non se ne parla neppure. Lunedì 2 maggio, lo spread sale di 4 punti. Insomma, se ne frega. Ma nell'avvitarsi della crisi che il Quirinale non riesce a dipanare, sale progressivamente fino a quota 290 punti. Il 26 maggio, ancora Renzi, con lo spread a quota 206, ulula: «Cari Salvini e Di Maio, se volete sapere di chi è la colpa dello spread che sale non fate dirette Facebook urlando contro l'Europa, ma fatevi un selfie». Due giorni dopo, Matterella blocca il primo tentativo di governo Lega-M5s perché all'Economia spunta l'inviso Paolo Savona e affida l'incarico esplorativo a Carlo Cottarelli. Quando viene fuori che non prenderebbe neppure i voti del Pd, l'economista ex Fondo monetario getta la spugna e il trolley con il quale era sceso a Roma. Il giochetto del governo «tecnico» filo Bruxelles è costato il record degli ultimi anni, ovvero quota 303 punti il 29 maggio. A quel punto Mattarella si rassegna e nasce il governo di Giuseppe Conte, che quando giura, il primo giugno, registra uno spread assai meno imbarazzante, ovvero 238 punti. Insomma, ammesso che si debba usare questo parametro per regolare i conti della politica, è abbastanza chiaro chi ha fatto salire che cosa. Ma il chiacchiericcio da Bar sport dell'economia non si ferma neppure dopo questa sequenza inequivocabile. A parte Renzi, che continua come un disco rotto, perfino una persona ammodo come l'ex premier Paolo Gentiloni si mette a berciare che «bisogna essere preoccupati perché in due mesi lo spread è aumentato di 100 punti». Questa la dice il 29 luglio, con lo spread a 233 punti contro i 303 del 29 maggio, ovvero non «100 punti in più» ma 70 tondi in tondi in meno. Forse l'ex assessore di Francesco Rutelli voleva riferirsi alle elezioni del 4 marzo, dove i 100 punti di aumento ci sono, ma sono da dividere ampiamente tra tutti quanti. Passa l'estate, senza troppi patemi, e il 12 settembre Renzi ricomincia con lo spread «primo campanello d'allarme» che ci fa preoccupare. Era salito a 237 punti, addirittura un punto in meno di quando è partito l'esecutivo in carica. E visto che non si vive di solo spread, per completezza d'informazione diciamo che dal primo giugno a ieri la Borsa di Milano ha perso l'11%, in gran parte per reazione allo stacco delle cedole e a problemi di colossi come Telecom e Fca. Nel medesimo periodo, l'indice Euro Stoxx 50 ha ceduto il 2,5%, Parigi l'1,3%, Francoforte il 4% e Amsterdam il 2,8%: anche lì, sarà la paura dei «barbari» Salvini e Di Maio? Non esattamente, perché proprio ieri Bankitalia ha fatto sapere che a luglio gli investitori esteri sono tornati a comprare Btp per 8,7 miliardi. Anche loro saranno stati allettati dagli interessi, come quei milioni di italiani che stanno incassando cedole maggiori. Perché dell'altra faccia dello spread non si parla mai.