Il prete aveva moglie, figli e nipoti ma era tornato a celebrare la messa
Celebrava l'Eucaristia sebbene fosse sposato. Per gli abitanti di Taneto di Gattatico, nella campagna reggiana, Roberto Camellini, 91 anni, rimaneva sempre il «don» e così è stato ricordato anche ieri, durante i funerali che hanno visto riuniti la moglie Franca, il figlio Franco, la nuora Alessandra, la nipote Beatrice e tanti parrocchiani, oltre che prelati amici di una vita. L'ex sacerdote è morto sereno perché papa Francesco gli aveva permesso di tornare a dir messa, nonostante avesse lasciato la tonaca un lontano marzo di 47 anni fa. L'autorizzazione del Pontefice era arrivata nella primavera del 2017 su richiesta di Massimo Camisasca, vescovo di Reggio Emilia. «Sono stato io a sollecitare la dispensa papale», spiega alla Verità Paolo Bizzocchi, parroco dell'unità pastorale Gioia del Vangelo, che comprende anche la parrocchia della Natività di Maria Vergine a Taneto, dove Camellini viveva. «Era una persona di grande fede, molto umile, stimato da tutti. Aveva tanta nostalgia del sacerdozio e comunicai alle autorità religiose il suo desiderio di riprendere a officiare», racconta Bizzocchi. Il sì del Pontefice è forse l'unico rilasciato in Italia a chi non era più prete e restava sposato. Ordinato sacerdote nel 1951, Roberto si era occupato della parrocchia di Sassuolo e poi di quella di Olmo di Gattatico prima di entrare in crisi e decidere di non essere più solo uomo di Dio. Voleva dividere il resto della sua vita con una donna.
Non successe solo a lui. Nello stesso periodo pure il fratello Paolo, più grande di dieci anni, uscì dal ministero per metter su famiglia, come dovette commentare amareggiato l'allora vescovo di Reggio Emilia, Gilberto Baroni. In una lettera ai sacerdoti della diocesi, datata 8 marzo 1971, il monsignore scriveva: «Dolore e tristezza occupano il mio cuore. Nella nostra comunità presbiterale del prossimo giovedì santo mancheranno due confratelli, don Roberto e don Paolo Camellini. Essi hanno domandato e ottenuto dalla Santa Congregazione per la Dottrina della fede la riduzione allo stato laicale e la dispensa da tutti gli obblighi dello stato sacerdotale». Aggiungeva che «dispensa non significa approvazione. La Chiesa domanda a coloro che vogliono servirla nel ministero sacerdotale quella disponibilità totale al Signore che si esprime nel celibato». Il vescovo ribadiva «la necessità di riaffermare con umiltà e convinzione il valore positivo della verginità cristiana: più che una rinuncia, essa è piena adesione al Signore», e invitava a pregare per i due confratelli che erano venuti meno al loro impegno.
Senza più vocazione, Roberto Camellini si sposò con rito religioso, ebbe un figlio e aprì un'azienda di compressori, la Cr (dalle sue iniziali) di Taneto. Grande esperto di meccanica, aveva anche il brevetto di pilota privato di aereo. A differenza del fratello Paolo, ex parroco di Tressano di Castellarano e fondatore del Movimento internazionale dei preti sposati (con la moglie Carla organizzò diversi congressi in Italia, Spagna, Olanda, Stati Uniti per sostenere la causa del sacerdozio coniugale, prima di morire a 71 anni), l'ex prete di Taneto non fece mai della sua scelta un'ostentazione. «Molto schivo, molto ben voluto, è stato anche un bravo padre», osserva don Bizzocchi. Alla Gazzetta di Reggio il figlio Franco, 46 anni, ha confidato che per lui era normalissimo avere un genitore prete. A chi glielo ricordava, sempre rispondeva: «Mei fiol d'un pret che d'un esen, meglio figlio di un prete che di un asino». Quando arrivò la lettera di papa Bergoglio, don Roberto «rimase talmente scosso che fu costretto a rimanere a letto per tre giorni con la febbre altissima. Abbiamo temuto per la sua salute», ha riferito sempre il figlio. Ogni domenica Camellini concelebrava assieme al parroco, mentre negli altri giorni le sue erano messe in forma privata, per poche persone, sempre nella chiesa di Taneto. Ultimamente officiava in casa perché le sue condizioni di salute erano peggiorate. La nascita della nipote Beatrice gli aveva procurato una grandissima felicità e aspettava con trepidazione l'arrivo della secondogenita del figlio, previsto per il prossimo febbraio. Se ne è andato via prima, dopo una brevissima malattia scoperta appena due mesi fa. Ha lasciato un diario, iniziato a scrivere da quando era in seminario e aggiornato con quotidiana costanza. Pagine di una vita, trascorsa a inseguire, perdere e forse ritrovare quella «speciale vocazione alla santità», che San Giovanni Paolo II riteneva fondamentale per un sacerdote «in un mondo sempre più secolarizzato».





