2023-01-30
«Il politicamente corretto ci incatena»
Donatella Rettore (Marco Piraccini/Archivio Marco Piraccini/Mondadori Portfolio via Getty Images)
La cantante Donatella Rettore: «Il mio Kobra piacque a Radio Vaticana, invece le femministe mi fischiarono per com’ero vestita. Col non sense ho messo in scena l’assurdo e il dolore della vita. Le provocazioni di oggi? Studiate a tavolino».«Tre volte vent’anni, più un extra da farmi rimborsare», come dice lei, Donatella Rettore non ha smesso di accarezzare l’idea di lasciare non tanto la musica, racconta, ma forse «le scocciature» di una fama invadente. La prossima settimana non sarà sul palco dell’Ariston, ma non esclude di tornarci nel 2024. Intanto sta registrando nuove canzoni «dispettose» sulla società di oggi. Irriverente, ovviamente, è anche il suo libro Dadauffa, memorie agitate (Rizzoli). La raggiungiamo al telefono nella casa di Castelfranco Veneto e sorridendo spesso assicura che potrebbe «accadere qualsiasi cosa, in questo momento così luminoso della mia vita. Un po’ come Mina, non sono il tipo da andare avanti e ancora avanti a esibirmi in pubblico. Potrei benissimo scrivere e registrare, un po’ lontano dal mondo. Vedremo».«Diva» è una delle sue canzoni. Il successo per lei è stato pieno, ma non privo di delusioni e attacchi.«La fama non ti sfama. Oggi le direi anzi che porta soprattutto tante scocciature. Non posso farmi una benedetta passeggiata o la spesa senza venire riconosciuta e senza che qualcuno mi chieda un malefico selfie».L’ha sempre vissuta così?«Il successo ti stritola. E io, lo ammetto, non sono la donna forte che sembro. Il momento più bello è quando vedi le prime luci che si accendono all’orizzonte. Quando la fama arriva, però, ti chiede poi il conto. Alcune scelte, nella mia storia, le ho sbagliate di brutto, perché mancavo di una guida. Ma dagli errori si impara. Serve perdersi, a volte, per ritrovarsi».Qual è per lei il vero inizio della sua carriera?«A tre anni. Scappai dalla mano di mia madre per ballare e cantare con gli orchestrali del Caffè Florian in piazza San Marco a Venezia. Il suono dal vivo degli strumenti è stato ed è tutt’ora per me una stoccata allo stomaco». La mandarono poi a scuola dalle suore Canossiane. Cosa ricorda?«Ne diventai la spina del fianco. Suor Esterina era l’unica a comprendere il mio subbuglio interiore, e mi consigliava di smussare gli angoli per il quieto vivere. Un’espressione che ancora oggi evito come la peste».Sul palco dell’Ariston quest’anno non salirà. Rimpianti?«Nessuno, una pausa ci vuole. È un’esperienza anche faticosa. L’anno prossimo, chissà…». Il più bel Sanremo della Rettore?«Marzo 1974, avevo 19 anni, un sogno ad occhi aperti. Presentato da Corrado, Milva e Domenico Modugno. Non fu un successo. Ci tornai nel 1977 che ero già un’artista».Al Festival però non ci portò «Kobra».«No, volevo che fosse la canzone dell’estate del 1980. Volevo salvarla da un palco così competitivo. E così fu, con il Festivalbar».È vero che a spingerla fu inizialmente Radio Vaticana?«Sì, ma sa perché? Perché c’erano tanti sacerdoti non italiani, che amavano la musica e che non stavano tanto a badare al testo. Gli stranieri mi hanno sempre stimato moltissimo. Agli italiani in proporzione sono piaciuta meno, forse perché non appaio come tipicamente italiana».E ci fu chi «Kobra» la voleva censurare…«Una maestra di Palermo fece un esposto perché traviavo i suoi alunni, turbavo le menti dei bambini. Ma la malizia sta solo negli occhi di chi guarda». Come andò? «Il singolo era nei negozi, ma non poteva essere venduto. Quando la dissequestrarono, le vendite si impennarono. Si immagini lei il giudice: erano i tempi delle Brigate rosse, e dei femminicidi, gli mancavano solo la maestra e il serpente della Rettore».Ma come la avrebbe dovuta cambiare?«Divertentissimo: mi aspettavo che togliessero parti come “il cobra si snoda, si gira, mi inchioda, mi chiude la bocca, mi stringe, mi tocca”. Invece rimase tutto intatto, tranne la frase finale: “Quando amo”. Cioè il sesso sì e l’amore no. Mi venne il sospetto che i censori fossero più progressisti di me. Devo ammettere che il panico dei moralisti ha qualcosa di perversamente geniale. La strofa fu omessa dal testo stampato nell’lp, ma io non l’ho mai tagliata dal vivo».«Lamette» fece poi arrabbiare Famiglia Cristiana. «Più che il giornale, si arrabbiò un cardinale. Disse che avevo martoriato la sua estate e ne rido ancora, perché gli avevo fatto un dispetto attraverso i suoi nipoti».Disse che era un inno al suicidio. «Ma quando mai. Ho cresciuto una generazione vivace e non certo depressa».Scrive nella sua biografia che le canzoni le sono servite, anche, a combattere il dolore per la perdita di suo nipote.«Il dolore è più forte dell’amore. Perché è devastante, offusca il pensiero. Il ridicolo e il non sense servono, anche, a mettere in scena l’assurdo che l’esistenza ci propina. Anche se forse sarebbe meglio smettere di parlare, e tornare a incontrarci per davvero, dopo tre anni di distanza. A capirci senza parole un po’ come fanno gli animali, che adoro perché trasmettono con l’istinto».In tanti l’hanno osteggiata. Ci ha sofferto?«Sono ormai abbastanza grande da capire che non si può piacere a tutti. Detesto chi divora gli altri, chi aspetta di distruggere il castello di sabbia che hai costruito in una intera giornata al mare. Me li ricordo ancora, i vandali che lo facevano quando andavo in spiaggia con mia madre. I sentimenti sono illogici, misteriosi».Fu per i critici «Renato Zero al femminile» per i suoi travestimenti. Ma pure «De Gregori in gonnella» per i suoi testi. Accostamenti che le fecero piacere?«Per nulla, perché non imitavo nessuno. Io sono io e basta. Sui generis, unica. Perché cercare un dualismo con maschi? La battaglia delle donne non è purtroppo ancora finita. Pensavo che le lotte femministe avrebbero avuto un punto d’arrivo, ma non è così».Partecipava ai cortei?«E ho votato prima per Pannella -mi divertiva il suo fare il demonio - e poi per la Bonino. Ma un giorno le femministe mi bullizzarono».Che cosa successe?«Dovevo cantare a piazza Farnese, e appena salii sul palco partirono i “buuu”. Mi assicurarono che avevo cantato meglio di tutti, ma avevo dato fastidio per come ero vestita. È stato lì che ho capito che non bisogna tanto cambiare gli uomini, quanto le donne che non capiscono che la femminilità, l’essere belle e graziose, non è un danno».In politica però mai ha cambiato idea...«Mai. Firmai contro Achille Occhetto quando nel 1989 propose di cambiare il nome al Partito comunista e forse oggi il Pd dovrebbe tornare a chiamarsi così».Non si rischia l’anacronismo?«So solo che la sinistra è stata vittima di un autolesionismo scientifico. Pezzo per pezzo, si è disgregata. Sono delusa: ho sognato, da ragazzina, e ora sono sconsolata. La gente è confusa, ma servono idee forti, precise. Giorgia Meloni non mi dispiace perché è determinata, non cerca il compromesso. Ci vogliono più donne al potere».Quote rosa?«Ma no, che palle. Servono le capacità di una Thatcher o di una Merkel. Se poi Meloni dà un calcio in c… ai moderati mi fa un favore. Bisogna tornare ai veri ideali: un tempo si moriva per gli ideali. I giovani quando sentono la parola politica ormai si allontanano. Un tempo c’erano i ladri, ovvio, ma oggi imbrogliano di più. Vorrei una vera sinistra, un vero centro, e pure una vera destra».Anche se un tempo ci furono dei «fascistelli» che la aggredirono?«Le ho prese, sì. Ero sola ed erano più forti. Va bene così. Ci ho scritto sopra “Eroe”, per dire che non lo sono. Mi fanno antipatia da sempre gli estremisti che menano, di qualunque parte politica. Però davvero: basta con le mezze misure».Per combattere quali battaglie?«Sull’eutanasia la sinistra ha lo spazio per fare una vera lotta. E poi o si dà vera attenzione al tema del lavoro, o è meglio che cambiamo la Costituzione perché non è più valida. Questo può farlo anche Meloni, sarebbe una grande vittoria».Cantautori e impegno politico una volta andavano a braccetto. La musica di oggi le piace?«Non le farò i nomi ma c’è ancora qualche scheggia di luce nel panorama musicale italiano. Ci sono etichette libere che a volte scovano talenti veri, poco commerciali. Io ascolto di tutto ma non ciò che è commerciale. La musica è un’arte sublime».Ci sarà anche qualcosa che non le piace…«Lo sentirà nelle mie prossime canzoni: sono dispettosissima e ironica sul mondo dei social. Oggi c’è chi si incatena al politically correct che, mi perdoni, è una puttanata colossale. Pure se io difendo da sempre l’omosessualità. Mi sono formata nel periodo in cui Mario Mieli scriveva: “Meno male che ci stanno i froci che hanno un po’ di fantasia”, rivendicando il diritto di conciarsi come gli pareva, e invitando al travestitismo come forma di militanza, per distruggere definitivamente i ruoli e la polarità dei sessi».Di stravaganza in giro ce n’è ancora parecchia, no?«Amo la stravaganza, ma mai fine a sé stessa. Mi sembra che pure nell’arte e nella musica oggi sia poco… spontanea e molto pensata a tavolino». Ci fa qualche esempio?«Faccia lei, che è meglio. Di nomi ce n’è una sfilza, e anche molto noti. Si sta arrivando al paradosso, alla mistificazione. Nella mia carriera ho fatto la kamikaze con “Lamette”, mi sono sporcata la faccia di grasso e tagliata i capelli non so quante volte. Ma non per fare carnevale, quanto per comunicare qualcosa. Oggi vedo tante mascherate per avere successo. Penso che presto il pubblico se ne accorgerà, che manca la sincerità».
Nucleare sì, nucleare no? Ne parliamo con Giovanni Brussato, ingegnere esperto di energia e materiali critici che ci spiega come il nucleare risolverebbe tutti i problemi dell'approvvigionamento energetico. Ma adesso serve la volontà politica per ripartire.