2022-08-28
Il piano studiato a tavolino per far governare la sinistra senza vincere le elezioni
«Se al voto trionfasse il centrodestra, disastro finanziario e uscita dalla Nato». Luigi Di Maio ed Enrico Letta suonano la grancassa per servire così un piatto pronto al Quirinale. Il quotidiano La Repubblica prosegue con le puntate dell’inchiesta sulla spia russa che ha vissuto dieci anni in Italia con l’intento di carpire segreti agli ufficiali Nato stanziati a Napoli. L’inchiesta giornalistica è svolta dal solito network internazionale, ed è non solo molto interessante ma anche estremamente dettagliata. Maria Adela Kuhfeldt sarebbe l’alias di Olga Kolobova, figlia di un alto dirigente dell’Armata Rossa e ingaggiata dal Gru, il servizio militare russo. La spy story termina nel 2018 quando la donna, avvisata dai suoi superiori, comprende di correre il rischio di essere bruciata, molla tutto e torna a Mosca. A corollario, i giornalisti di Repubblica raccontano anche di come Olga sarebbe stata assistita dal circuito di diplomatici russi appartenenti ai servizi, lasciando intendere che la rete in Italia era ed è molto estesa. Tema vero. Lo dimostra non solo l’inchiesta della nostra testata condotta da Giacomo Amadori, ma anche la storia dei rapporti tra i due Paesi. Appena salito al potere, Vladimir Putin compie un viaggio istituzionale all’estero. La meta è l’Italia, nel giugno 2000. Perché storicamente è il Paese Nato più aperto alle relazioni con Mosca. Il partito comunista italiano aveva aperto il solco, ma l’arrivo di Putin al Cremlino ha sterzato sui temi economici. Ricordiamo che ci sono oltre 400 aziende italiani con una sede o una filiale in Russia. Il 60% di queste è un’azienda lombarda o veneta. I rapporti tra Silvio Berlusconi e Putin hanno poi consentito ulteriori legami economici, compresi gli accordi sul gas. Apprezzati anche dal premier Enrico Letta all’indomani dell’invasione in Crimea. Il culmine dei rapporti si celebra con la pandemia, quando il governo Conte invita una delegazione di militari tra cui esperti di armi chimiche e Nbc sul nostro territorio per dare una mano agli ospedali bergamaschi. All’epoca ministro degli Esteri era già Luigi Di Maio, che però ieri ha rilasciato una lunga intervista proprio a Repubblica, pubblicata al fianco dell’inchiesta sulla spia Olga, per dire che il centro destra e soprattutto Matteo Salvini trascineranno l’Italia nel pericolo del filoputinismo e del contrasto alla Nato. Ovviamente alla domanda del giornalista su sue eventuali responsabilità in qualità di ministro degli Esteri, Di Maio glissa, ma omette anche che all’epoca i generali Luciano Portolano ed Enzo Vecciarelli avvisarono dei pericoli di infiltrazioni d’intelligence tanto da bloccare alcune richieste dei russi interessati a sanificare specifiche località, considerate dai nostri militari troppo sensibili. L’amnesia di Di Maio è però consustanziale alle necessità coordinata di imbastire un pesante storytelling contro la destra. Ne è segno quanto accaduto nel primo mese di campagna elettorale, e quanto avvenuto ieri. Poco dopo la pubblicazione dell’intervista, lo stesso ministro ex grillino rilascia un video per ribadire gli stessi concetti e a mezz’ora di distanza tocca a Enrico Letta divulgare più o meno la medesima missiva sui social. «Non si può tollerare l’ingerenza di una potenza straniera ostile. Se si è patrioti, se si è per l’Italia, si condannano gli interventi della Russia di #Putin nella campagna elettorale e le azioni di spionaggio», ha scritto nel post di lancio del video. «Noi siamo seri e coerenti, la destra drammaticamente ambigua». A seguire il solito hashtag #Scegli. Buoni contro cattivi. Anche Letta dimentica però che l’inchiesta di Repubblica si riferisce a fatti precedenti ai gialloblù. A eventi avvenuti anche quando il controspionaggio dipendeva da lui. A questo punto è chiaro: c’è un piano in atto che si basa su due distinti modelli di racconto destinati a diventare la leva - o la scusa - per governare anche senza aver vinto. Il primo livello di racconto è infatti il rischio di un centrodestra che ci porta fuori dalla Nato e da tutte le logiche atlantiste. Un racconto frutto dell’utilizzo ai fini elettorali delle inchieste giornalistiche. L’altro pilastro dello schema è il continuo allarme sui conti pubblici e sulla finanza. Se va al governo il centrodestra lo spread schizza, il debito pubblico va a gambe all’aria, Bruxelles ci taglia i fondi e gli investitori stranieri si dileguano. Il terrore sui due fronti è studiato a tavolino e potrebbe servire al Colle all’indomani delle elezioni per trovare subito una maggioranza alternativa al centrodestra. Non è solo il piano Z (dall’iniziale di Ugo Zampetti, il consigliere più vicino a Mattarella) di immaginare una maggioranza Ursula, ma la scusa per non affidare l’incarico a Giorgia Meloni. Per essere più chiari. Se il centrodestra dovesse vincere con una percentuale tale che - grazie agli uninominali - possa garantire una quota vicino al 60% dell’Aula, Mattarella avrebbe serie difficoltà a cercare alternative. Ma se il centrodestra, anche con i premi, superasse di poco il 50% dei seggi in Parlamento o il Pd risultasse il primo partito (superando cioè Fdi), allora tutto il racconto imbastito nei due mesi di campagna elettorale tornerebbe utile. Il messaggio che sarà attribuito al Colle sarebbe uno: «Non ci sono alternative al centrosinistra, non vorrete mica rovinare l’Italia...».